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Quando la terra trema, all’ombra di un vulcano

Fenomeni ambientali – 1  / La caldera dei Campi Flegrei, in Italia, è da tempo interessata da scosse fino a 4.2 della scala Richter; si tratta più esattamente di uno sciame sismico
/ 16/10/2023
Sabrina Belloni

Papua Nuova Guinea scosse di magnitudo 6.7; Afghanistan 6.4; Indonesia (in oceano) 6.3; sud-est di Honshu (mar del Giappone) 6.1; Chiapas (Messico) 6.0: sono solamente alcuni dei più recenti fenomeni sismici, occorsi in ottobre a meno di un mese dalle devastanti scosse di magnitudo 6.8 che, l’8 settembre, hanno interessato il Marocco, (3mila morti e 5600 feriti). Più vicino a noi, la caldera dei Campi Flegrei, in Italia, è da tempo interessata da scosse fino a 4.2 scala Richter; si tratta di uno sciame sismico, cioè una lunga sequenza di scosse di lieve e media intensità, aventi una magnitudo simile, che colpisce una determinata zona in un periodo di tempo relativamente breve e in cui non avviene un singolo terremoto di magnitudo predominante.

Gli sciami sismici non sono il segnale premonitore di terremoti devastanti; in Italia, nei territori dei Campi Flegrei (Campania) e dell’Etna (Sicilia) essi accadono ciclicamente, ma non si verificano spesso dei sismi violenti. In particolare, i Campi Flegrei sono interessati dal bradisismo, che consiste in un periodico innalzamento e abbassamento del livello del suolo; è un fenomeno di origine vulcanica e solitamente la formazione di uno sciame sismico è collegata alla fase di innalzamento.

La caldera dei Campi Flegrei è una zona dalla struttura singolare: non un vulcano dalla forma di cono troncato ma una vasta depressione o caldera, ampia circa 12x15 km, ben più estesa del vicino Vesuvio. Nel 1538 si è verificata l’ultima eruzione di magma che, pur essendo fra le minori dell’intera storia eruttiva dei Campi Flegrei, ha interrotto un periodo di quiescenza durato circa 3mila anni; è durata solo una settimana, con l’emissione di 0,025 km3 di magma distribuito in un raggio di circa 1 km intorno al centro di emissione, dando origine al cono di Monte Nuovo, alto circa 130 m; l’eruzione fu preceduta da deformazioni del suolo molto vistose e da attività sismica avvertita fino a Napoli; da allora, l’attività ai Campi Flegrei è caratterizzata da fenomeni di bradisismo, attività fumarolica e idrotermale.

L’età di inizio del vulcanismo nell’area flegrea non è nota. I prodotti vulcanici più antichi in affioramento hanno 60mila anni e sono stati prodotti prevalentemente da eruzioni esplosive e solamente poche eruzioni effusive. Solo alcuni degli edifici vulcanici che si formarono in questo periodo più antico sono oggi esposti e si può ipotizzare che l’area vulcanica attiva doveva essere più ampia dell’attuale caldera, all’interno della quale, negli ultimi 39mila anni, sono stati attivi più di settanta centri eruttivi.

La struttura attuale deriva dalla sovrapposizione di due principali episodi di sprofondamento connessi all’eruzione dell’Ignimbrite Campana (39mila anni or sono), del Tufo Giallo Napoletano (12mila anni) e da numerosissimi successivi eventi bradisismici, fra i quali i due maggiori e più recenti hanno avuto luogo nei periodi 1969-1972 (il massimo sollevamento del suolo fu di 170 cm) e 1982-1984 (180 cm). Dal 1984 il suolo è stato interessato da subsidenza (abbassamento dovuto al peso dei sedimenti che si accumulano sopra) interrotta da piccoli episodi di sollevamento nel 1987 (7 cm), 1994 (1 cm) e nel 2000 (4 cm).

La generale subsidenza della caldera dei Campi Flegrei è testimoniata dai numerosi resti archeologici di età imperiale che costellano, a profondità per lo più comprese entro l’isobata dei –10 m, il litorale flegreo-napoletano e in particolare quella che fu la città imperiale di Baia, della quale possiamo ammirare i resti che si celano fra le costruzioni più recenti della città di Bacoli e sott’acqua, nel fondale antistante Punta dell’Epitaffio.

Giuseppe De Natale (geologo e fisico di fama internazionale, dal 2013 al 2016 direttore dell’Osservatorio Vesuviano, coordinatore del progetto Campi Flegrei Deep Drilling Project e dirigente di Ricerca dell’INGV, l’Istituto Nazionale di Geologia e Vulcanologia) non cela la preoccupazione per le conseguenze che potrebbero occorrere qualora si avverasse un’eruzione esplosiva. «Il sollevamento del suolo sta aumentando, nel porto di Pozzuoli dal 2006 a oggi la superficie si è innalzata complessivamente di 120 cm. La risalita è l’indicatore che in profondità, tra zero e tre chilometri, c’è una sorgente di pressione, cioè magma o acqua che si sta riscaldando, che spacca anche le rocce e, quindi, determina modesti e frequenti terremoti. L’8 settembre c’è stato il sisma di magnitudo 3.8; il 27 settembre, un altro di magnitudo 4.2, che è stato il più forte finora registrato nei Campi Flegrei da 40 anni ad ora… È un’area densamente abitata e a forte vocazione turistica. Considerando il rischio vulcanico, sarebbe opportuno incentivare la popolazione residente a spostarsi altrove e a trasferire le attività».

Il dipartimento locale dell’INGV monitora costantemente, e da decenni, i fenomeni: «Quello che registriamo sono deformazione del suolo, terremoti, degassamento, risalita di grandi quantità di gas», spiega il direttore dell’Osservatorio Vesuviano, Mauro Di Vito. Anch’egli chiarisce che le frequenti scosse di modesta entità sono tra i segnali del bradisismo, cioè di sollevamento lento del suolo che deforma la crosta terrestre per la spinta di gas e di magma profondo, fratturandola e generando i terremoti.