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Scheda
Nome: Diego Gilardoni
Nato a: Lugano
Età: 49
Abito a: Lisbona
Lavoro: Consulente internazionale
Hobby: Lettura, viaggi, flânerie e, da qualche tempo, per combattere un metabolismo impietoso, boxe.
Rimpianto: «Regrets, I’ve had a few, but then again too few to mention…» (da My way di F. Sinatra)
Sogno nel cassetto: Nulla di iperbolico. Tornare in Asia non per una semplice vacanza ma per un viaggio vero, lungo e lento.
Amo: Quel senso, allo stesso tempo, di smarrimento e di libertà di quando arrivi per la prima volta in un Paese culturalmente lontano.
Non sopporto: La combinazione, oggi molto in voga, di ignoranza, arroganza, mediocrità e fanatismo.
La mia foto preferita: Una foto dei miei genitori a Central Park quando vennero a trovarmi negli Stati Uniti 15 anni fa, un momento molto felice della mia vita.
Tre momenti chiave di una vita
Diego, ha a disposizione 666 battute per illustrare tre momenti topici della sua vita:
1) La morte di mio padre, certamente, che mi ha messo per la prima volta a confronto con il dolore, quello vero, e con la precarietà della vita. Come vorrei potermi abbeverare alla sua intelligenza ironica in questi tempi bui e confusi.
2) Racchiuderei in un momento unico le due esperienze di vita fuori dall’Europa, prima negli Stati Uniti e poi in Cina. Entrambe, in modi diversi, mi hanno segnato in modo importante. Soprattutto, mi hanno fatto capire che, davvero, al di là di quelle che potevano essere astratte ambizioni intellettuali di gioventù, sono di natura mosso dalla ricerca di nuovi orizzonti che, inevitabilmente, passa attraverso nuove sfide e spinge a rimettersi in gioco.
3) Spero sia quello che sto vivendo ora. Un momento di passaggio fortemente simbolico visto il numero in questione, e quindi un contesto non sempre facile di bilanci, che implica una non ovvia ridefinizione di sé e dei propri orizzonti; ma anche, e soprattutto, un momento di nuove sfide, di nuovi incontri, di nuovi luoghi, di nuove prospettive e di nuove dinamiche che spero di riuscire a trasformare in altrettante opportunità di crescita.
Diego e l’esplorazione del futuro
Incontri – 11 ◆ Nato e cresciuto a Lugano, Diego Gilardoni ora vive a Lisbona, ma la sua attività di consulente internazionale in Strategic Foresight lo porta a essere cittadino del mondo
Matilde Casasopra
Lo vedi arrivare col trolley e ti dici che sì, è lui. Non è cambiato molto da quando, trent’anni fa, ancora liceale, apparve nella redazione di un quotidiano per proporre un graffiante articolo su alcuni giovani rampanti della politica ticinese di quel tempo poi rapidamente finiti nell’oblio.
Stesso sorriso, medesimo modo di fare, sense of humor allenatissimo. A novembre compirà 50 anni. Lui, adesso, è cittadino del mondo e, come tale, vive. Un mondo senza confini (per lo meno mentali), nel quale le culture si mescolano e, a volte, si fondono originando nuove dinamiche e prospettive. Diego Gilardoni, dopo una lunga esperienza nel giornalismo per la SSR (culminata con il posto di corrispondente dagli Stati Uniti per il Telegiornale della RSI, un’esperienza che considera fra le più formative), si è spostato in Cina, dove ha intrapreso nuove vie nell’ambito della consulenza aziendale.
Questo cambiamento lo ha quindi portato, nel corso degli anni, a misurarsi con la complessità del mondo a cavallo di contesti e ruoli diversi: consigliere in comunicazione strategica per dirigenti, esperto di management interculturale per aziende multinazionali, conferenziere, saggista e consulente in Strategic Foresight, una metodologia di elaborazione strategica prospettica con cui aiuta organizzazioni e aziende a sviluppare visioni e strategie per il futuro.
Un profilo eclettico, il suo, che riflette il desiderio di esplorare il mondo al di là di griglie predefinite, categorie consumate e silos intellettuali nella convinzione che le scoperte più affascinanti non si realizzino all’interno di singole discipline, ma all’intersezione fra discipline diverse; un desiderio che si riflette anche nel suo percorso di studi accademici e formazione continua: laurea in Storia contemporanea a Friborgo e specializzazioni in Global Business a Oxford e in comunicazione strategica internazionale a Ginevra, arricchite da un mosaico di certificazioni professionali a cavallo di leadership, neuroscienze, cultura, strategia e futuro.
Speaker internazionale, negli anni Diego è intervenuto a eventi aziendali e conferenze internazionali dall’Europa all’Asia, passando per Africa e Medio Oriente. È pure stato invitato a tenere lezioni in diverse istituzioni accademiche, fra cui la Judge Business School dell’Università di Cambridge e la University of International Business and Economics di Pechino.
Diego, nel suo mondo c’è ancora spazio per la Svizzera e… il Ticino?
Certo, sempre. E non solo perché lì ci sono la famiglia, buone amicizie e luoghi e sapori che rimangono cari. Ci sono anche nuove relazioni a livello professionale che, per quanto riguarda in particolare il Ticino, mi hanno fatto scoprire realtà dinamiche a me prima ignote che ho potuto conoscere solo prendendo le distanze e riavvicinandomi da una prospettiva diversa. Realtà in cui ho l’opportunità di confrontarmi con persone molto interessanti che guardano al mondo con curiosità e non con paura, che si interrogano rifiutando le risposte facili e banali e che, soprattutto, non si prendono troppo sul serio.
Fra le sue attività di consulenza, lei lavora con aziende per aiutarle ad anticipare rischi e opportunità sviluppando una visione per il futuro. Ma lei ha una sfera di cristallo?
Ovviamente no. Il futuro non si può prevedere, ma ci si può preparare in modo strutturato e strategico al cambiamento. Lo Strategic Foresight è uno strumento che permette di semplificare la complessità, facendo chiarezza sul contesto che ci circonda e immaginando possibili sviluppi futuri e le loro implicazioni per le strategie aziendali. Per poterlo fare con successo è indispensabile essere pronti a mettere in discussione le proprie certezze e ad abbandonare vecchie mappe mentali inadeguate a leggere la realtà di oggi. Doti rare, ma che faranno sempre più la differenza fra chi avrà un futuro e chi diventerà irrilevante. Da sempre, chi ha saputo vedere oltre il presente, immaginando orizzonti nuovi prima mai pensati (e quindi inevitabilmente scontrandosi con le mediocrità, le ottusità e i conformismi del loro tempo), da Leonardo Da Vinci a Steve Jobs, ha in comune la capacità di abbracciare l’incertezza e l’ambiguità del mondo. Soprattutto, ha in comune la consapevolezza che le domande sono molto più importanti delle risposte, perché le risposte tendono a chiudere un discorso, mentre le domande aprono nuovi orizzonti.
Lei ha anche vissuto in Cina, sulla quale ha pure scritto un libro. Com’è cambiata la Cina in questi anni?
È cambiata moltissimo, ma non mi chieda dove porterà questo cambiamento. A parte il fatto che non vi sono più tornato dal 2019, e quindi è da tanto che non ne sento direttamente il polso, una cosa che ho imparato è che, molto socraticamente, più sai di questo Paese straordinario e complesso meno ne capisci; per questo sono particolarmente allergico a chi cerca di spiegare la Cina con formule riduttive e semplicistiche. L’unica cosa di cui sono sicuro è che pure io, come tanti altri, presi un abbaglio al momento dell’arrivo al potere di Xi Jinping, bevendomi la narrazione secondo cui, essendo stato vittima lui stesso dei deliri della rivoluzione culturale di Mao, Xi avrebbe portato il Paese verso nuovi orizzonti di apertura. Un proverbio cinese dice che quando soffia il vento del cambiamento, alcuni costruiscono muri, altri mulini a vento. Il progresso è sempre stato possibile solo grazie ai secondi, in Cina come altrove. Se quindi la Cina si chiude, questo non fa bene a nessuno, Cina per prima.
Si parla spesso di cervelli in fuga. Lei si sente un cervello in fuga?
Per carità! Di sicuro non sono un cervello. Al massimo ne ho uno, che cerco nel limite del possibile di usare, non sempre con successo, a fini costruttivi e non di rimbambimento. Ciò detto, l’espressione stessa è assurda, perché parte dal presupposto che il destino di una persona debba per forza essere legato indissolubilmente al luogo in cui è nata. Che partano i nostri cervelli, che vadano a scoprire il mondo. C’è solo da imparare, e tanto. Invece di lamentarci dei cervelli che se ne vanno, impegniamoci per attirarne di nuovi da fuori affinché vengano portando con sé nuove prospettive e nuove visioni.
Considerato ciò che ha appena detto, che cosa significano le radici per lei?
Le radici sono il punto di partenza, ma non necessariamente e per forza anche il punto di arrivo. Siamo troppo complessi per ridurci a farci definire solo dal luogo in cui – senza alcun merito – siamo nati.
Per dirla con Walt Whitman, «io sono vasto, contengo moltitudini». La nostra identità di individui è lo specchio delle nostre esperienze, delle nostre scelte, dei nostri incontri, dei nostri successi e dei nostri fallimenti; è lo specchio di quell’avventura straordinaria che è la vita. Se quindi l’unico modo che hai per esprimere la tua identità di individuo è brandire il tuo passaporto vuol dire che non hai molto altro da dire e da dare.
In ogni caso, almeno per quanto mi concerne, le radici più importanti e solide non sono necessariamente legate a un luogo particolare, ma piuttosto a persone, affetti e valori che ti hanno dato e continuano a dare la linfa necessaria per crescere e continuare a crescere.