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Bibliografia

Bert Hölldobler e Edward O. Wilson, Formiche. Storia di un’esplorazione scientifica, Adelphi Edizioni (Milano), 1997, 350 pp.

Leonardo da Vinci, Trattato della pittura. Condotto sul Codice urbinate-1270, ristampa anastatica, Newton Compton Editore (Roma), 2015, 324 pp.

Stefano Mancuso, Plants Revolution. Le piante hanno inventato già il nostro futuro, Giunti Editore (Firenze), 2017, 265 pp.

Umberto Mònterin, Questioni termiche e idrologiche del deserto libico, Bollettino Società Geologica Italiana (Roma), 1938, 116-150.


Fichi d’India e deserti rugiadosi

Biologia - Sebbene occulta, la rugiada è un’essenziale fonte di rifornimento idrico: ettolitri di acqua che nessuno strumento può registrare
/ 13/06/2022
Alessandro Focarile

Ustica, con una superficie di otto chilometri quadrati, è un’isoletta vulcanica a Nord di Palermo, in Sicilia. È la primavera, il periodo propizio per realizzare un’esplorazione naturalistica dell’isola, che si esprime con il giallo delle cespugliose euforbie, delle esili ferule (cugine dei finocchi), e delle sgargianti ginestre. Il tutto circondato da un mare di cobalto.

Qui regna il fico d’India (Opuntia ficus-indica), una vistosa e singolare cactacea caratteristica per il suo sviluppo cespuglioso e per le sue grandi «pale». Con innumerevoli fiori gialli che, durante la prossima estate, si trasformeranno in scialbi frutti dolciastri, con molti semi e pericolosamente spinosi.

Originaria del Messico, reminiscenza dei primi conquistatori spagnoli (che credevano di trovarsi nelle «Indie occidentali»), l’Opuntia si è rapidamente diffusa e naturalizzata lungo tutte le coste del Mediterraneo diventando emblematica del paesaggio. Verso Nord si è spinta fino a occupare le aride pendici nel Sud Tirolo (Alto Adige) e in Valtellina, lungo le rotte degli uccelli migratori, veicolatori dei semi prelevati dalle coste del Mediterraneo. È ottima come frangivento e per delimitare i confini delle proprietà, formando una barriera impenetrabile.

Dopo una notte calma e serena, le «pale» condensano notevoli quantitativi di acqua sotto forma di rugiada, e questa è quanto basta per lavarsi al mattino. È «acqua dolce» che ha origine da un mare di «acqua salata». Chi ha montato la tenda nel bosco, in riva al mare, oppure attraversa un prato di prima mattina, conosce la rugiada. «Anche la superficie della mia tenda l’ho trovata bagnata al mattino» scriveva Umberto Mònterin durante la sua spedizione scientifica nel Sahara libico del 1938. Infatti, le regioni desertiche, e le montagne oltre una certa altitudine – sottoposte a un brusco ricambio termico della temperatura al suolo tra il giorno e la notte (che può raggiungere i 60°C) – presentano tutte le condizioni che favoriscono la condensazione notturna del vapore acqueo, la sua trasformazione in rugiada, il suo deposito sugli affioramenti rocciosi, al suolo e sulla vegetazione sotto forma di goccioline.

Stiamo parlando di migliaia di ettolitri di acqua dolce che nessuno strumento può registrare. Ma, nondimeno, costituiscono un notevole e prezioso apporto al bilancio idrico di una regione. Nelle zone desertiche, come il Sahara, è l’unica fonte di alimentazione delle falde freatiche profonde, come ebbe la possibilità di verificare Mònterin (1938) nel deserto libico.

Esperienze condotte in talune regioni caratterizzate da particolari condizioni climatiche e di terreno, hanno dimostrato che la formazione della rugiada può talvolta superare la quantità delle precipitazioni registrate dai pluviometri (strumenti per raccogliere e calcolare la quantità di pioggia e di neve). E questo può verificarsi in modo particolare nel Sahara, deserto che è stato considerato come un tipico bacino collettore di assorbimento del vapore acqueo.

Un apporto non indifferente alle riserve idriche nel sottosuolo viene fornito dalle precipitazioni occulte (Mònterin, 1938). La grande superficie di condensazione di questo deserto, con la sua area di migliaia di chilometri quadrati, e la durata plurimillenaria del fenomeno, possono ben spiegare l’origine delle falde freatiche profonde, senza ricorrere a una ipotetica origine sotterranea delle stesse. Le quantità di rugiada possono variare da uno a tre millimetri (un millimetro è uguale a un litro d’acqua per metro quadrato).

Quantità che si aggiungono all’eventuale e aleatoria quantità di pioggia. Con la fondamentale differenza che la rugiada è permanentemente assicurata, mentre le precipitazioni meteoriche sono notevolmente precarie e irregolari.

Insetti, ragnatele, e rugiada. Animali e piante, che popolano le zone aride e desertiche presenti sulla Terra, hanno elaborato nel corso della loro evoluzione efficaci meccanismi fisiologici per utilizzare la rugiada. In Sud Africa esiste una vasta regione desertica che si affaccia sull’oceano Atlantico. È la Namibia, una terra che si estende lungo una fascia di 1500 chilometri e larga fino a 150 chilometri: un deserto immutato da 80 milioni di anni; l’età giurassica dei dinosauri, tuttora uno zoo di arcaici esseri viventi. Il deserto più arido e desolato tuttora esistente, che riceve 10 miseri millimetri di pioggia all’anno. Eppure, anche in situazioni ambientali così estreme, c’è vita vegetale e animale grazie alla rugiada notturna che consente la sopravvivenza in questi luoghi.

Un esempio è offerto dalla presenza di 200 specie di coleotteri: i tenebrionidi. Singolari esseri «deserticoli», che sono evoluti attraverso milioni di anni, realizzando sofisticati meccanismi fisiologici di sopravvivenza. La loro unica fonte di alimentazione è costituita dai detriti vegetali trasportati dal vento, e la loro unica fonte di acqua è la rugiada notturna. Essi inclinano il corpo verso il capo, e le goccioline di rugiada condensate sulle elitre raggiungono la bocca!

Il più grande pericolo, che le formiche incontrano nell’ambiente che le ospita, non è l’eccesso di caldo oppure di freddo, o l’annegamento (la maggior parte può vivere sott’acqua per ore, o addirittura per giorni), ma la siccità che provoca la letale disidratazione. Le colonie della maggior parte delle specie hanno bisogno di una umidità ambientale più elevata di quella presente nell’aria esterna. Possono morire entro poche ore se sono esposte a un’aria molto secca.

Per tale motivo, talune specie di formiche realizzano una varietà di tecniche (alcune rasentano la bizzarria) per innalzare e regolare l’umidità dell’aria nel nido. Per esempio: i monticelli sembrano essere costruiti per mantenere non solo la temperatura, ma anche l’umidità entro limiti tollerabili all’interno del formicaio. Inoltre, le operaie nutrici spostano continuamente le uova e le larve attraverso i corridoi verticali per assicurare l’umidità ottimale.

Una forma di regolazione molto differente dell’umidità è praticata da una formica cacciatrice gigante dell’America centro-meridionale. Durante la stagione secca, le colonie che vivono in ambienti aridi sono in costante pericolo di disidratazione. Per tale motivo, squadre di formiche operaie compiono ripetuti viaggi per raccogliere la rugiada dalla vegetazione prossima al nido. Conservano le goccioline tra le mandibole spalancate senza rompere la membrana di tensione superficiale delle stesse, e le trasportano nel nido alle compagne assetate. L’acqua che avanza viene quindi offerta alle larve, cosparsa sui bozzoli che contengono i futuri adulti. Grazie a queste brigate di «addette ai secchi», le foraggiatrici mantengono la parte interna del nido molto più umida del suolo circostante (Hölldobler & Wilson, 1997).

Il sistema Warka-Water, progettato e realizzato dall’architetto italiano Arturo Vittori in Etiopia, ha la forma stilizzata di un albero, grazie a speciali reti che richiamano la condensazione della rugiada sulle ragnatele dei ragni. Appositamente ideate per una alta efficacia di condensazione, queste strutture sono in grado di produrre fino a 100 litri di acqua al giorno ottenuti dall’atmosfera per condensazione notturna del vapore acqueo in ambienti aridi come quelli presenti in Etiopia. (Mancuso, 2017).

Persino strutture all’apparenza delicate, come sono le ragnatele, possono essere motivo di ispirazione per realizzare strumenti tecnicamente perfetti per ottenere acqua. Per molti secoli, fin dall’epoca dei Sumeri (5mila anni or sono), queste tecniche a lungo dimenticate hanno fornito l’approvvigionamento di acqua alle popolazioni stanziate in molte aree del Medio Oriente, e hanno consentito la sopravvivenza dell’uomo anche in zone inospitali come il Sahara.

Dalle «pale» dei fichi d’India e dall’ispirazione tratta dalle ragnatele, molte sono le opportunità che offre la Natura all’uomo assetato.

«Le parti dirette delle loro foglie stanno volte verso il cielo per ricevere il nutrimento della rugiada che cade la notte» (Leonardo da Vinci, 1452-1519)