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Com’è profondo il mare
Sostenibilità – Acqua Dal 1. gennaio si è aperto il «Decennio delle Scienze oceaniche per lo sviluppo sostenibile 2021-2030», indetto dalle Nazioni Unite. Perché una Giornata Mondiale degli Oceani non basta più
Amanda Ronzoni, testo e foto
«Pensava sempre al mare come a la mar, come lo chiamano in spagnolo quando lo amano. A volte coloro che l’amano ne parlano male, ma sempre come se parlassero di una donna» così scrive Ernest Hemingway nel suo celebre Il vecchio e il mare. Occupa due terzi della superficie del nostro pianeta. Da lui (o da lei), dalla sua biodiversità e dagli ecosistemi marini e costieri dipende la vita di circa tre miliardi di persone.
Il mare, i mari svolgono un ruolo essenziale in un’ampia gamma di attività economiche umane: forniscono cibo, ma anche combustibili fossili, come petrolio e gas, sono arterie di trasporto che convogliano merci ed energia, ma anche un punto di attrazione fondamentale per il turismo. Eppure, conosciamo meglio la superficie lunare di quello che si nasconde nei fondali del nostro pianeta.
Nel 2006, appena il 6% dei fondali era mappato precisamente, oggi siamo al 19%, grazie al progetto Seabed 2030, lanciato dalla giapponese Nippon Foundation e da General Bathymetric Chart of the Oceans (GEBCO). L’obiettivo di Seabed 2030 è raggruppare, in crowdsourcing, in un unico database tutti i dati batimetrici a oggi disponibili, per produrre una mappa mondiale dei fondali marini entro il 2030.
Il progetto, lanciato nel 2017 dalla Ocean Conference delle Nazioni Unite, è in linea con il #17esimo Obiettivo dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, che si propone di conservare e utilizzare in modo sostenibile gli oceani, i mari e le risorse marine.
Con la Ocean Decade indetta dalle Nazioni Unite per il decennio 2021-2030, inoltre, il mondo della ricerca mondiale è chiamato a raccolta per definire una leadership con solide e condivise basi scientifiche per la gestione e la salvaguardia del mare. La salute, la sicurezza e il benessere dell’uomo dipendono dalla salute e dalla conoscenza del mondo sommerso nel suo insieme. Abbiamo bisogno di conoscerlo meglio per imparare a proteggerlo in modo efficace e sostenibile.
Jules Verne, nel suo Ventimila leghe sotto i mari, fa esclamare al capitano Nemo: «Il mare è il grande serbatoio della natura, è dal mare che il globo è, per così dire, incominciato, e chissà che non finisca in lui». E serbatoio è una parola chiave anche prendendo in considerazione l’oceano in relazione alla sua capacità di «sequestrare» anidride carbonica (in un anno circa un quarto di quella prodotta in totale), con gli effetti che ben conosciamo sull’atmosfera e le temperature.
L’aumento delle emissioni di CO2 dovuto alle attività antropiche sta però mettendo in stress il sistema alterandone la chimica e generando il fenomeno dell’acidificazione degli oceani. Si innesca così un circolo pericolosamente negativo: più CO2 nell’acqua significa oceani più caldi, che prima o poi smettono di sequestrare anidride carbonica, anzi ne rilasceranno a loro volta, accelerando gli effetti del riscaldamento globale.
I cambiamenti climatici stanno creando problemi oggettivi in molte aree del pianeta, ma in alcuni luoghi, come nell’Artico, generano anche nuove opportunità finora precluse da condizioni ambientali difficili (si veda il report del IPCC – Intergovernmental Panel on Climate Change delle Nazioni Unite, www.ipcc.ch).
Con i ghiacci che si ritirano, la regione artica intravede una possibilità di crescita dovuta a un maggior traffico navale, a un incremento del turismo, allo sviluppo del settore minerario e della pesca. È cruciale gestire con attenzione e lungimiranza queste opportunità affinché si possa governare il cambiamento in ottica di adattamento, salvaguardia dell’ambiente e rispetto delle popolazioni locali.
La chiave della sostenibilità, se supportata da solide basi fondate su conoscenza scientifica, ricerca, innovazione e cooperazione internazionale, sposta l’asse dalla Green Economy alla Blue Economy. La sfida è quella di diminuire la pressione delle attività antropiche più impattanti sul mare per portare le blue technologies (innovazioni sostenibili e basate su una gestione circolare delle risorse) nell’economia dell’oceano: controllo delle industrie marittime, riduzione degli inquinanti, utilizzo di nuovi materiali e di energie rinnovabili, nuove applicazioni nel settore delle nano – e biotecnologie, ma anche recupero dei saperi tradizionali delle popolazioni locali. La Svizzera, pur essendo una nazione priva di sbocchi diretti sul mare, ha un’intensa attività marinara: ha un suo Ufficio della navigazione marittima (USNM) ed è la seconda potenza a livello mondiale per il trasporto di merci via nave, grazie alla presenza di alcuni colossi del settore. La sua attenzione per gli oceani, a livello di ricerca scientifica e di regolamentazione, non può essere da meno rispetto a quella dei paesi rivieraschi. E proprio quello della navigazione e del trasporto navale è un settore in forte evoluzione e cambiamento, che si tratti di navi mercantili, da pesca o da crociera: nuove rotte cambiano gli assetti economici e geopolitici; la presenza di navi di grandi dimensioni comporta l’adeguamento delle infrastrutture portuali; carichi pericolosi possono, in caso di incidente, creare danni all’ambiente; la pesca intensiva genera un crollo negli stock ittici mondiali.
Fino ad ora ci siamo spostati su questa immensa tavola blu, senza preoccuparci degli effetti della nostra presenza, come se fosse un’entità infinita, impassibile, insensibile alle nostre attività, sorda ai rumori. Eppure, ricordo chiaramente che da piccola sentivo gli adulti ripetere spesso: non si butta nulla in mare, perché, prima o poi, il mare te lo restituirà.
«Frattanto i pesci / Dai quali discendiamo tutti / Assistettero curiosi / Al dramma collettivo di questo mondo / Che a loro indubbiamente doveva sembrar cattivo / E cominciarono a pensare / Nel loro grande mare / […] / Certo, chi comanda / Non è disposto a fare distinzioni poetiche / Il pensiero come l’oceano / Non lo puoi bloccare / Non lo puoi recintare / Così stanno bruciando il mare / Così stanno uccidendo il mare / Così stanno umiliando il mare / Così stanno piegando il mare» per prendere in prestito le parole di Lucio Dalla, della sua bella canzone Com’è profondo il mare.
Speriamo di no. Anzi, facciamo in modo che non succeda.
Informazioni
Sul tema dell’acqua vedasi anche l’articolo di Fabio Dozio.