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Bibliografia

Viktor Allenspach, Insecta Helvetica: ScarabaeidaeLucanidae (Lausanne, 1970, 186 pagine).

Guido Grandi, Introduzione allo studio dell’Entomologia (Bologna, 1951, 43 pagine).

Giuseppe Della Beffa, Gli Insetti dannosi all’agricoltura Hoepli (Milano, 1961, 978 pagine).

Novak V., Hrozinka F., Stary B., Atlante degli Insetti di interesse forestale (Pra-ha,1974). In Ceco.


Quali e quanti maggiolini?

Entomologia - Flagello per secoli, diventano sempre più rari
/ 22/03/2021
Alessandro Focarile

II mese di maggio è il simbolo del risveglio primaverile e della rifiorente bellezza. Dante cantava: «L’aura di maggio movesi ed olezza». In questo mese si tiene il calendimaggio, la festa popolare che si tramanda nella tradizione toscana. Maggio deriva dal latino Maius dedicato a Maia, figura della mitologia greca, e dea della fertilità nel culto romano. E maggio è comunemente considerato anche il mese dei maggiolini, se cade l’annata giusta per la loro comparsa.

In realtà, le cose sono un po’ più complicate, in quanto il maggiolino più noto (la melolontha) compare da aprile a giugno. Inoltre, non esiste un solo maggiolino, ma ne conosciamo diverse specie e di differenti dimensioni. Sono coleotteri appartenenti alla famiglia degli scarabeidi, la stessa che annovera il famoso scarabeo sacro degli antichi Egizi. E le poche specie europee sono ben poca cosa se confrontate alle parecchie decine note dall’Asia temperata al Mediterraneo.

Melolontha melolontha è il nome scientifico della specie più comune, descritta da Linneo fin dal 1758. Melolontha hippocastani, il suo prossimo parente. Si tratta di coleotteri lunghi circa 2,5 centimetri che, da adulti, divorano le foglie di molti alberi, soprattutto fruttiferi, e allo stadio larvale si accaniscono subdolamente (in quanto non si vedono all’opera) sulle radici degli stessi. Il ciclo di sviluppo delle due melolonthe è molto lungo: 3-4 anni per la prima specie, 4-5 anni per quella dell’ippocastano.

Da questa caratteristica biologica derivano le comparse massicce, le cosiddette «annate di maggiolini». Ma questo ciclo, abbastanza regolare, e documentato da vecchia data (nel canton Berna fin dal 1693, e in quello di Uri dal 1664), da qualche decennio è diventato un fenomeno episodico e sporadico, privo di quel clamore quantitativo qual era in passato. Il fenomeno, almeno da noi, era stato già evidenziato da Pietro Fontana, il ben noto e benemerito entomologo dilettante di Castel San Pietro. Egli così scriveva nel 1947: «Dal rigido inverno 1929 si ruppe il ciclo del suo sviluppo. Degli esemplari morirono gelati, altri ritardarono la loro comparsa, in maniera che a Chiasso non c’è stata né regolarità, né abbondanza. Nel 1944 ebbi solo sette maggiolini. Il 18 aprile 46, ultima apparizione. Volavano pochi esemplari intorno alle lampade elettriche. Ma a Bellinzona, invece, il viale che dalla stazione va al ponte di Montecarasso era letteralmente cosparso di maggiolini schiacciati, e le piante dei viali avevano tutte le foglie rosicchiate!». A dimostrazione (come attualmente) che le comparse massicce si sviluppano a macchia di leopardo, senza continuità.

L’adulto delle due specie di maggiolini rode completamente le foglie, lasciando solo le loro nervature, e l’albero assume un desolante aspetto scheletrico. Originariamente, la dieta dei due maggiolini doveva essere erbivora, ma successivamente e in epoca storica (quindi documentata), per cause a noi sconosciute, questi insetti hanno tro-vato più prelibate le foglie di molti alberi, specialmente quelli da frutto, con una particolare simpatia per il noce.

Quest’albero, in passato, costituiva una preziosa fonte per la produzione dell’olio, unico grasso liquido disponibile per l’illuminazione. E la produzione dell’olio era condizionata dalle periodiche pullulazioni dei maggiolini. Un po’ dovunque nelle regioni alpine e prealpine esistevano dei frantoi. Tra l’altro, l’olio di noce costituiva una parte pregiata della decima dovuta al clero. Narrano le cronache che i montanari valdostani della Valpelline e della Valtournenche avevano l’obbligo di fornire ogni anno al Vescovo di Sion (nel Vallese) un litro d’olio e due pernici. La decima era solennemente trasportata attraverso perigliosi colli alto-alpini, oltre i 3000 metri. In seguito, dopo il 1600, l’avanzata dei ghiacciai rese intransitabili questi itinerari, e i bravi valdostani implorarono il Vescovo di essere esonerati dalla consegna dell’obolo, e da allora il prezioso olio di noce rimase in valle, maggiolini permettendo.

Al pari delle cavallette, nei secoli passati, il maggiolino costituiva alle nostre latitudini un vero flagello, e comprometteva periodicamente e seriamente certi raccolti essenziali per l’economia di sussistenza dell’epoca. In simili frangenti, si implorava l’intervento di una Potenza superiore. È documentato, per esempio, che un Vescovo francese, giunse a maledire i maggiolini, con un rito di stampo esorcistico. Ed è pure documentato che, nel 1644, l’intero Capitolo della Cattedrale di Aosta si recò in processione solenne fino alla Valdigne (20 km!), implorando la benevolenza divina perché facesse cessare il flagello.

I maggiolini, dunque, erano in grado di condizionare l’esistenza di intere popolazioni che non nuotavano nell’abbondanza. Uccidi il tuo nemico e… mangialo. Narra Antonio Villa, ben noto entomologo milanese della metà dell’800 (dunque contempora-neo di Carlo Cattaneo) che i «villani» dell’agro milanese gustavano gli addomi dei maggiolini, estremamente ricchi di grassi, proteine, ferro e fosforo, come si poté appurare con le analisi, eseguite all’uopo, nel 1913.

La notorietà di questi insetti era tale e così diffusa nel popolo contadino, da giustificare una vivace e singolare ricchezza di denominazioni dialettali. Il termine italiano «maggiolino» è comparso nella lingua ufficiale molto recentemente, e i vocabolari lo registrano solo a partire dall’800. Per contro, con quanti nomi di insolita e arcaica assonanza l’insetto è conosciuto nelle regioni della Padania e del Ticino. Nel Bresciano «pampògnola, pampogna». Nel Comasco e nel Mendrisiotto «garzela, sgarzela». A Biasca «bou dri nosc» (cioè insetto dei noci). In Piemonte (Ghiliani, 1886: […] «in certi anni nel nostro paese, danneggia in modo lacrimevole varie specie di alberi, ed altre piante fruttifere».), «givo, bertìcola, baricela, coquara, quaqquara». In Val d’Aosta «cucurui, cocoé, tampanéle».

Oltre ai due maggiolini, abitano le nostre contrade il maggiolino del pino e i due maggiolini minori. Il primo (Polyphylla fullo) è un bellissimo e corpulento coleottero, a livree marmoreggiate, i cui maschi portano sette enormi lamelle antennali.

È lungo quasi 4 centimetri. L’adulto, ottimo volatore, può essere convogliato dalle correnti ascensionali e trasportato molto in alto, essendo stato raccolto sui nevai della Gazzirola, e sulla vedretta del Pizzo Ligoncio, a 3000 metri nelle Alpi Retiche Valtellinesi. Sporadico sulle gemme di pino a basse quote, la larva sta sulle radici. I due maggiolini minori (Amphimallon assimile, e A. solstitiale) sono molto comuni tra maggio e luglio nei prati fino a 1700 metri, e svolazzano all’imbrunire.

Dove sono finiti i due maggiolini più noti, i «vachitt» e le «sgarzéle», che i ragazzi di un tempo non troppo lontano si divertivano a infilare nel collo delle ragazzine, oppure con un filo sottile ne guidavano il volo ronzante e stizzito? Indubbiamente, le moderne pratiche agricole, la lavorazione profonda del terreno, l’impianto delle serre, l’uso dei fitofarmaci, la diminuzione delle aree allo stato naturale in pianura, sono stati tutti fattori che hanno contribuito, in pochi decenni, al rarefarsi e alla scomparsa dei maggiolini, insetti che hanno accompagnato per lunghi secoli la vita di chi ci ha preceduto. Forse, un altro tassello sta venendo a mancare nel mosaico dell’attuale biodiversità.