azione.ch
 



La paffuta e timida tinca

Mondo sommerso - Un pesce molto comune nelle acque calme, torbide, quasi stagnanti
/ 09/05/2022
Franco Banfi

È un terso pomeriggio invernale, di quelli in cui i colori vividi e contrastati del paesaggio si illuminano di una luce particolare, ricreando una tavolozza di sfumature disordinate sulla superficie immota del lago. Con la mia inseparabile attrezzatura fotografica, mi immergo lungo il litorale del Ceresio alla ricerca di tinche. Sono pesci dall’incedere lento, elegante, talvolta ipnotico quando flettono ritmicamente le pinne pettorali pur restando ferme, senza spostarsi di un centimetro. Hanno corpi ovali e paffuti, e sono abbastanza comuni nelle acque sotto costa, calme, torbide, quasi stagnanti. Essendo timidissime e relativamente miopi, preferiscono ambienti con scarsa visibilità, dove sperano di passare inosservate.

Trascorsi pochi minuti di immersione, incontro il primo esemplare, mezzo sprofondato in un fondale melmoso su cui trascorrerà i rigori invernali, in uno stato di torpore, per non disperdere energie. Mi scruta con gli occhi molto mobili, dall’iride rossa, quasi fossero iniettati di sangue, con uno sguardo terrorizzato. Però non si sposta: non arretra, non scarroccia, non attacca. Resta immobile, confidando di non destare la mia attenzione.

Strategicamente, la livrea si adegua ai colori del territorio in cui vive (omocromia), imitandone le tonalità per incrementare il mimetismo. Il dorso è verde oliva scuro, colore che schiarisce in modo progressivo scendendo verso il ventre giallastro; lateralmente ha invece riflessi dorati bellissimi che luccicano alla luce della torcia subacquea. Decido di lasciarlo in pace: considerata la sua posizione, non riuscirei a fotografarlo adeguatamente.

Vado oltre, e subito noto un’altra tinca posizionata a favore di obbiettivo, ed è un bell’esemplare. Deduco che è un maschio osservando la base muscolosa delle due pinne ventrali e le pinne inferiori più ricurve. Riesco a scorgere i due brevi barbigli che sporgono alla base della bocca, con i quali la specie grufola nel fondale per cercare cibo: larve d’insetti acquatici, piccoli molluschi, chioccioline, vermi. Si abbuffa al crepuscolo e di notte, prevalentemente nei mesi estivi, dopo il periodo della riproduzione, quando la natura si risveglia e le prede abbondano. In inverno digiuna, rallenta il metabolismo ed entra in uno stato di letargo. Il suo corpo tozzo, subovale denota la sedentarietà e la scarsa attitudine al nuoto.

Il secondo esemplare che ho scorto si sposta alzando una nuvola di limo; ottima strategia per celarsi dai predatori, ma ora è impossibile fotografarlo perché illuminerei il pulviscolo sospeso nell’acqua. Soprattutto durante i mesi invernali, la tinca si adagia fra le alghe e nella vegetazione accumulata sui fondali, riuscendo a sopportare (meglio di altre specie) acque piuttosto acide e con bassi livelli di ossigeno, ambienti dove le carpe non resisterebbero.

Le tinche sono animali gregari, si riuniscono in piccoli gruppi, avvistata la prima se ne trovano altre. Soprattutto durante la stagione riproduttiva, di solito in tarda primavera (a dipendenza della temperatura dell’acqua), se ne possono contare alcune decine in un’area relativamente piccola, sempre in acque ferme e torbide, il che di sicuro non aiuta a trovare un compagno di sesso opposto. Nell’arco temporale di due mesi, una femmina riproduttiva (oltre i tre/quattro anni) depone oltre 300mila uova minuscole (diametro 0,8-1 mm) che aderiscono alla vegetazione e che in seguito vengono fecondate dai maschi (oltre i due anni). La schiusa delle uova avviene dopo 4/8 giorni, in base alla temperatura dell’acqua. Nei primi giorni di vita, gli avannotti rimangono fissati alla vegetazione, fino al riassorbimento del sacco vitellino. Poi iniziano una crescita abbastanza lenta (possono vivere oltre 15 anni), sino a raggiungere mediamente i 30/40 cm di lunghezza per 2/3 kg di peso.

Non demordo e mi allontano dal polverone lo stretto necessario per ritrovarmi faccia a faccia con un piccolo gruppetto di esemplari, in posizione perfetta per scattare alcune fotografie. Faccio attenzione a regolare i flash subacquei affinché la luce non venga riflessa dalla pelle spessa, dorata, con squame piccole a grana fine. È mucosa e viscida, e questa caratteristica le ha valso il soprannome di «pesce dottore». A tal proposito vale la pena ricordare una credenza popolare: tutti i pesci malati che si strofinano contro la pelle della tinca si ristabiliscono. Non solo: nell’antichità, i guaritori, in equilibrio instabile fra alchimia e fitoterapia, sostenevano che la pelle della tinca posta sulla testa di un malato curasse l’itterizia e il mal di testa, oltre a far cessare la febbre.

In passato, il valore commerciale della specie era una risorsa importante per le povere economie agricole. Durante la guerra d’Italia tra francesi e spagnoli, il 14 aprile 1544 venne combattuta la battaglia di Ceresole d’Alba (in Piemonte), in cui prestarono servizio anche 4mila soldati svizzeri comandati dal capitano Wilhelm Fröhlich. Pochi giorni dopo la battaglia, i mercenari svizzeri saccheggiarono una peschiera di tinche, per un valore equivalente a 800 fiorini, corrispondenti a circa 1600 pasti in osteria e 800 galline.

Le tinche erano allevate nelle peschiere, ovvero in rudimentali stagni ricavati nei terreni argillosi (l’argilla impedisce all’acqua di essere drenata nel terreno). Oggi come allora, in Piemonte è diffuso l’allevamento della specie, in particolare della Tinca Gobba Dorata del Pianalto di Poirino, primo pesce europeo di acqua dolce a essere riconosciuto DOP (denominazione di origine protetta) nel 2008. Questa tinca, allevata in modo semi-naturale fin dal Medioevo, è il risultato di una selezione naturale della specie selvatica Tinca tinca: si caratterizza per la colorazione delle squame e la tipica gibbosità sul dorso, ma soprattutto per il sapore più gustoso rispetto agli esemplari selvatici (i quali spesso sanno di fango).

L’altopiano del Poirino è costituito prevalentemente da terreni di argilla rossa (usata largamente per la costruzione di mattoni e tegole, da cui la presenza di numerose fornaci), materiale abbastanza povero che inibisce lo sviluppo di materia organica e alghe che fioriscono e marciscono nelle acque stagnanti. Conseguentemente, le tinche gobbe dorate allevate nella zona vivono in acque più pulite e calcaree, ricche di sali minerali che si trasferiscono nelle carni del pesce.

Le tinche e i pesci litorali selvatici (non allevati) sono solitamente più piccoli di altre specie. Pur vivendo in ambienti ricchi di sostanze nutritive, questi ecosistemi sono più competitivi e le probabilità di divenire prede di altri predatori incrementano. La specie è particolarmente gradita ad aironi, cormorani, gamberi: l’acqua relativamente bassa e la sedentarietà facilitano le catture. Ognuno ha la propria strategia alimentare: i gamberi divorano le uova, i cormorani e gli aironi prelevano sino a mezzo chilo di pesci al giorno pro-capite. Gli uccelli acquatici fanno infuriare i pescatori professionisti che si sentono derubati dei pesci già catturati dalle reti e dalle nasse, che vengono lacerati danneggiando anche il resto del pescato, tanto da renderlo invendibile.

Analizzando i dati diffusi dall’Ufficio della caccia e della pesca per il lago Ceresio, negli anni dal 2011 al 2019 , la quantità di tinche pescata con le reti è altalenante ma in netto declino: 1055 kg nel 2019 rispetto ai 1701 kg nel 2011. Nel 2019, la tinca rappresenta il 5% dell’intera biomassa pescata, al quarto posto dopo il luccioperca, il pesce persico e i coregoni. Al contrario, il lago di Ginevra è il più produttivo, considerando che la metà del pescato è rappresentata dalle tinche.

Il decremento delle specie litorali è dovuto al progressivo sfruttamento urbano delle rive, all’incremento del fosforo disciolto in acqua e all’inquinamento urbano, oltre che alla drastica riduzione dei pescatori professionisti.