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Una giungla ticinese a portata di mano
Alla Ciossa Antognini, tra Gudo e Cadenazzo, si sono conservati preziosi aspetti naturali dell’antica foresta padana
Alessandro Focarile
Dapprima era il disordine (naturale). Un continuo manto forestale occupava il fondovalle, e il fiume (il Ticino) si sbizzarriva con una infinità di meandri, di ghirigori, di lanche. E alvei in permanente divagazione si spostavano assecondando ed esprimendo il gioco, mai uguale, delle correnti. E poi arrivò l’uomo, circa 7mila anni or sono, e decise che per sopravvivere doveva porre mano al caos che lo circondava. Un po’ alla volta, il bosco ridotto a più miti consigli con tagli e incendi. E da elemento egemone del paesaggio, vide le sue superfici sempre più limitate e tra loro isolate, configurando lentamente il territorio qual è oggi ai nostri occhi.
Sono occorsi lunghi decenni, tante energie e sacrifici umani, e tanti soldi per fare cambiare volto alla piana di Bellinzona-Magadino. E, alla fine, l’uomo ha dominato: un fitto reticolo viario, la ferrovia, insediamenti urbani, serre, capannoni, depositi diversi hanno ridefinito le superfici e il loro utilizzo. Non si è conservato molto tra Biasca e Lumino a monte, e il Lago Maggiore a valle, lungo il fiume Ticino e il Moesa. Il grande e continuo bosco di farnie (querce), tigli, olmi, frassini, pioppi, salici, a seconda della falda freatica più o meno prossima alla superficie, che occupava tutto il fondovalle, è stato progressivamente «rosicchiato», ridotto a piccoli lembi per lo più isolati e relitti, immersi in terre utilizzate da un’agricoltura più o meno intensiva, oppure completamente distrutto da vecchia data.
Da Lumino al Lago Maggiore sono però tuttora conservati alcuni preziosi e interessanti resti relitti dell’antica foresta padana, che penetrava più o meno profondamente fino a una certa quota nel cuore delle Alpi. Attualmente si trovano fino ai boschi di ontani e salici nella conca di Faido in Leventina, e alle selve di rovere fino a Mesocco nella Mesolcina… A Lumino, a Sementina, a Gudo, alla Ciossa Antognini, fino agli ultimi aggregati arborei attestati nel comprensorio delle Bolle di Magadino. Questa preziosa area è stata dichiarata protetta a livello internazionale, dopo non poche battaglie, a causa dei numerosi e conflittuali problemi di gestione aggravati per il ricorrente ritorno di imponenti esondazioni del Lago Maggiore (fino a 4 metri sul normale piano di campagna) che sconvolgono periodicamente il territorio. Sottoponendo il manto vegetale e il popolamento animale a un incessante (e non sempre positivo) dinamismo.
A qualche chilometro a monte, e al di fuori dell’argine insommergibile costruito lungo il fiume Ticino, si estende un comprensorio boschivo di grande interesse naturalistico e ambientale: la Ciossa Antognini, tra Gudo e Cadenazzo. Questo luogo, insperatamente risparmiato tra il fiume, campi di ravizzone ed estese coltivazioni di granoturco, costituisce uno dei rari (nel Cantone Ticino) lembi, relitti della foresta padana a latifoglie che ricopriva gli ambienti ripariali e golenali dal Friuli al Piemonte lungo i grandi fiumi: Po, Ticino, Adda, Sesia, e Adige.
Alla Ciossa Antognini possiamo osservare e ammirare un ricco serbatoio di biodiversità, vocabolo alla moda che definisce (senza nulla aggiungere) il vecchio concetto di diversità biologica, noto da più 200 anni. Sono pochi ettari di bosco, di chiarie, di impaludamenti alimentati dalla falda freatica del vicino fiume Ticino. Ma quanta ricchezza di fauna minuta e di flora racchiuse in uno spazio relativamente ristretto! Una serie di ricerche, condotte in tutte le stagioni, ha permesso di censire finora circa 500 specie di coleotteri e imenotteri, e circa 150 specie di vegetali superiori: dagli alberi alle erbe, senza contare funghi, licheni e alghe, e per non parlare delle numerose specie di felci.
Il calendario della Natura inizia con la vistosa fioritura dell’aglio selvatico (Allium ursinum), che ricopre con un tappeto continuo estesi settori del bosco. In altre plaghe è rimpiazzato, a causa delle differenti qualità del terreno, da estesi tappeti di equiseti (code di cavallo), vegetali primitivi ascritti alle felci. Questi, ospitano alcuni insetti coleotteri e imenotteri tentredinidi (vespe primitive prive del pungiglione) di elevato interesse biogeografico, trattandosi di specie a diffusione boreale, molto rare a sud delle Alpi. Con l’avanzare della stagione, la chioma degli alberi favorisce la penombra; altre piante erbacee meno esigenti di luce diversificano gli strati inferiori di vegetazione, e si delinea l’organizzazione della vita vegetale e animale su più strati: muscinale ed erbaceo, arbustivo, arboreo. Tutti in funzione della disponibilità di luce e quindi di calore.
Ogni biostrato alberga popolazioni di organismi più o meno specializzati e particolari, come quelli che vivono sotto le cortecce degli alberi abbattuti, e la ricca, di specie e di individui, fauna legata ai vegetali (i fitofagi), e con complicate catene alimentari composte in sequenza da utilizzatori primari, demolitori, parassiti, predatori. A una fiorente ed esuberante primavera seguono i mesi estivi, caratterizzati da un caldo umido debilitante, con molte zanzare. L’autunno, con il fiammeggiare dei pioppi, e con la sua ricchezza di colori mai uguale, giustifica una passeggiata alla Ciossa Antognini.
E ritorna, infine, l’inverno. Anche durante questa stagione, il bosco ha il suo fascino quando, si dice, la Natura sonnecchi. Aria tersa e immobile durante lunghi periodi. Cristalli di brina e arabeschi di ghiaccio sull’acqua immobile delle paludi, uno spettacolo da ammirare e fotografare, e quadri irripetibili e fugaci da non perdere.