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Uno sguardo profondo nei villaggi d’animazione

Festival  ◆  A Locarno la regista greca Sofia Exarchou presenta una pellicola crudele e brillante, così sincera che mette a disagio.
/ 07/08/2023
Giorgia e Muriel Del Don

Scoperta da pubblico e critica grazie a Park, il suo primo, potentissimo lungometraggio in cui narra le vicissitudini di un gruppo di giovani alla deriva alle prese con un futuro che non ha ormai più niente da offrire, Sofia Exarchou ha ammaliato il pubblico del Locarno Film Festival con la sua ultima fatica.

Interessata da sempre al suo Paese natale, la Grecia, alle contraddizioni di una terra ricca di cultura e tradizioni ancestrali ma anche di mostruose logiche di mercato che trasformano molti abitanti in utilitaria forza lavoro, in Animal Sofia Exarchou ha deciso di puntare nuovamente la cinepresa là dove il Governo preferirebbe posare un telo oscurante. Animal (nella foto un’immagine del film), proiettato al Festival in questo fine settimana, è uno di quei film che fanno catarticamente male, un dolore estatico che spinge a trovare la luce nell’oscurità, la bellezza tra le macerie di un mondo in disfacimento. Ambientato nella Grecia dei pacchetti turistici all inclusive, dei resort da divertimento assicurato 24 ore su 24, il suo secondo lungometraggio ci mostra da vicino, in modo epidermico, il rovescio della medaglia di questi luoghi in apparenza paradisiaci. Abbiamo incontrato la regista a Locarno in questi giorni festivalieri.

Da dove nasce il suo bisogno di indagare e cosa si nasconde dietro l’immagine da cartolina che molti hanno della Grecia?
Mentre stavo finendo il mio film precedente sapevo già che avrei voluto farne un altro sul mondo del lavoro, sul sistema lavorativo in un mercato capitalista dell’Europa dell’ovest. Volevo esprimere il mio punto di vista attraverso gli occhi di un gruppo di lavoratori. Sapevo anche di voler lavorare sull’industria del turismo, prima di tutto perché sono greca, Paese dove il turismo è l’attività più redditizia. Poi perché volevo immergermi nel complesso mondo degli aminatori. Si tratta di persone che ricoprono un ruolo ben specifico all’interno dei resort. Un altro tema che volevo esplorare era quello dell’industria del divertimento che si sviluppa in parallelo a quella del lavoro. L’industria del divertimento è fondamentale in un’ottica capitalista, è essenziale per la sopravvivenza del sistema. Esprimermi attraverso i corpi di questi lavoratori è stata una sfida molto affascinante. Volevo creare un universo, un microcosmo specifico che si trasformasse in un circo contemporaneo. Per questo ho fatto molte ricerche, sono andata negli hotel e ho parlato con gli animatori, sono andata su YouTube alla ricerca di testimonianze di lavoratori provenienti da contesti anche molto diversi.

Come ha scelto i suoi attori?
Sin dall’inizio volevo includere nel cast dei ballerini o dei performer. Questo per due ragioni. La prima: il film comprende molte scene di danza e avevo bisogno che almeno alcuni dei miei attori fossero in grado di proporre un vero show. La seconda: sapevo che mettere insieme attori, ballerini, performer e artisti circensi sarebbe stato virtuoso per tutti. I ballerini avrebbero potuto aiutare gli attori nelle coreografie, ispirarli insegnandogli come usare al meglio il loro corpo. Allo stesso tempo, gli attori avrebbero potuto dare ai ballerini consigli sull’interpretazione. Il lavoro di attore e quello di animatore sono molto diversi così come il tipo di rapporto che hanno con il pubblico. Ho cercato di costituire un gruppo solido nel quale ognuno potesse sentirsi a suo agio. All’inizio – per conoscerci meglio – ci siamo concentrati sull’improvvisazione delle scene. Questa prima fase è stata molto importante perché volevo creare l’illusione di una famiglia strampalata. Poi siamo passati alle coreografie che i protagonisti – durante un periodo di due mesi – hanno ripetuto con un professionista imparando a relazionarsi con il pubblico e a sorridere. Pensavo che per un attore sarebbe stato facile capire il lavoro di un animatore ma sono due cose molto distinte. Non è facile entrare nella sua pelle, capire cosa significa essere un lavoratore estivo, quant’è duro, quante ore di lavoro implica.

Perché ha deciso di focalizzarsi su tre personaggi femminili in diversi stadi della loro vita (Kalia la trentenne, Eva la diciottenne e Mary che è ancora una bambina)?
Questi tre personaggi rappresentano uno dei punti di partenza del film. Volevo che il mio personaggio principale conoscesse molto bene il mondo degli animatori, che ci lavorasse già da molti anni. Volevo anche che fosse accompagnata da due personaggi più giovani per proporre punti di vista diversi sul mestiere. Volevo che alla fine del film il pubblico non riuscisse più a distinguere le tre, come se fossero diventate un solo e unico personaggio in tre momenti differenti della vita. Volevo che lo spettatore percepisse le storie di Eva e Mary come dei complementi a quella principale di Kalia. Nel film il binarismo di genere sembra scomparire, nel senso che uomini e donne lottano insieme, fanno i conti con gli stereotipi che entrambi devono mettere in scena ogni sera.

La fragilità sembra essere il comune denominatore di tutti. Come si posiziona rispetto alle questioni di genere e come le esprime nei suoi film?
Sin dall’inizio ho deciso di focalizzarmi sui personaggi femminili perché volevo esplorare il loro ruolo all’interno della macchina del divertimento: quali stereotipi devono incarnare? Quale ruolo devono interpretare? Come devono usare il loro corpo? Allo stesso tempo volevo mostrare che anche gli uomini subiscono lo stesso genere di sfruttamento. Il problema è il sistema all’interno del quale gravitano, basato su regole ferree che devono essere rispettate affinché la macchina funzioni correttamente. E credo che nel film sia chiaro che queste regole non si basano sul genere. Nel sistema capitalista tutti gli impiegati devono indossare un costume, devono crederci e sorridere 24 ore su 24. Per un animatore la cosa è ancora più palpabile perché deve indossare un costume, sorridere costantemente e partecipare all’immensa industria del divertimento.

La fisicità dei suoi personaggi è molto forte. Cosa ci dice il loro corpo?
Il corpo è un elemento importante nei miei film ed è già fortemente presente in Park. Nel caso specifico di Animal sapevo che il corpo dei personaggi doveva essere forte perché il lavoro degli animatori è basato sulla fisicità: devono ballare, recitare, ecc. Alla fine della giornata sono esausti. Per rilassarsi consumano molto alcol: prima dello spettacolo gli permette di trovare l’energia per andare in scena, dopo diventa il mezzo per rilassarsi e riuscire a dormire. Focalizzarmi sul loro corpo è anche un modo per avvicinarmi alle loro emozioni, alla loro intimità, al dolore, alla fragilità che provano. Il loro corpo mi permette di rendere visibili i loro stati d’animo e arricchire la storia.

Può dirci qualcosa in più rispetto all’intrigante titolo del film?
Il titolo deriva dalla parola latina «anima». Ho fatto risalire il termine «animatore» a questa stessa parola: coloro che ti danno l’anima, che ti fanno sentire felice, che ti danno gioia, l’energia per goderti le vacanze al massimo. «Anima» è anche il vento leggero, lo stesso che muove il boa di piume indossato da Eva. Nella scena finale i due significati si fondono: l’anima e il vento leggero. Ho aggiunto poi una «L» trasformando il titolo in Animal. L’intensità, la violenza che percepiamo partecipano a questo cambio semantico «anima» – «animale».