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A Cannes quest’anno avvengono miracoli
Da Kaurismaki a Wes Anderson i film in concorso quest’anno ci fanno sognare più del solito
Nicola Falcinella
Al Festival di Cannes avvengono anche i miracoli. Non solo le vite e le carriere delle persone, gli attori e i registi ma pure gli addetti ai lavori che si notano meno, svoltano a volte improvvisamente dopo un passaggio sulla Croisette (in altri casi precipitano), ma avvengono fatti che solo la magia di grandi cineasti sa innescare.
Specializzato in miracoli è il finlandese Aki Kaurismaki, che a inizio carriera si era fatto conoscere e amare per i quadri iperrealistici e violenti, per quanto surreali e ironici, quasi senza speranza. Con gli ultimi film si è deciso ad abbandonare il pessimismo per iniziare a remare contro la direzione del mondo e offrire vie d’uscita allo spettatore, riuscendoci come in Le Havre (2011). Anche in Fallen Leaves, il cui titolo si ispira alla stagione autunnale in cui si conclude la vicenda, conferma un’ispirazione limpida. Un film di una semplicità disarmante, profondamente chapliniano, una favola intrisa di realtà, ma non del realismo che Kaurismaki tende a rifuggire.
Il suo mondo esiste solo nei film, un po’ come quello di Wes Anderson che al festival ha portato The Asteroid City zeppo di star, da Scarlett Johansson a Tom Hanks. La differenza sta nel fatto che il finnico sogna ancora che dallo schermo diventi reale, mentre l’americano lo richiude (letteralmente, visto l’insistere con cornici visive e parentesi narrative) dentro la finzione. Il lavoro di Anderson sembra tendere all’astrusità, per quanto affascinante, con tante trovate sul piano figurativo o lessicale, quanto Kaurismaki tende a un’essenzialità spoglia di tutto tranne che di cuore e ironia.
Mentre scriviamo il festival è ancora in corso, ma Fallen Leaves (nella foto i due protagonisti Alma Poysti e Jussi Vatanen) è uno dei grandi favoriti per la Palma d’oro che ancora manca alla bacheca del regista scandinavo cui Locarno consegnò il Pardo d’onore nel 2006. Una delle rivali più accreditate è Alice Rohwacher con La chimera, coproduzione italo-ticinese passata nell’ultima giornata di proiezioni.
La pellicola segue le esistenze della commessa Ansa e dell’operaio Holappa, che si sfiorano più volte prima di conoscersi. Il loro amore genuino, che nasce andando al cinema a vedere I morti non muoiono di Jim Jarmusch, è messo a dura a prova da un fato mai favorevole a loro. Kaurismaki parla di esistenze precarie, di difficoltà di lavoro, di solitudine, di depressione (Holappa non sa dire se beva perché è depresso o viceversa) con ironia e il tono da favola amara.
Tra gli elementi che lo distinguono dentro la selezione di Cannes c’è anche l’essere uno dei pochi calati nella contemporaneità, con le notizie dalla guerra e l’aumento delle bollette dell’energia elettrica. Molti degli altri film, anche collocati nel presente e dal taglio realistico, sembrano invece stare in un tempo sospeso e hanno pochi appigli con ciò che ci succede intorno. Dalle vecchio radio dei protagonisti (non a caso mezzi démodé, Kaurismaki non ama mostrare la tecnologia: i due posseggono cellulari che quasi non usano) escono in continuazione notizie dei bombardamenti russi in Ucraina: «Maledetta guerra» commenta Ansa.
Curiosamente il Pardo alla carriera lo accomuna all’altro autore di miracoli del 76° Festival di Cannes, lo spagnolo Victor Erice con Cerrar los ojos inserito nella sezione non competitiva Cannes Première con polemica: il regista classe 1940 non si è presentato sulla Croisette, inviando una lettera aperta lamentandosi per la collocazione fuori gara. Il cineasta iberico, autore di pochi e fondamentali film come Lo spirito dell’alveare o Il sole della mela cotogna, ritirò il riconoscimento in Piazza Grande nell’edizione del 2014. Stavolta mette in scena un regista fallito, che non era riuscito a terminare un lungometraggio a causa dell’improvvisa sparizione dell’attore protagonista. Anni dopo, sollecitato da una trasmissione televisiva che si occupa di misteri irrisolti, si mette alla ricerca dell’amico, avendo come unici elementi le bobine delle riprese e alcuni oggetti di scena. Se un regista fallito è l’unico ad avere ancora fiducia nel cinema, Erice omaggia a modo suo gli spaghetti western, come Kaurismaki lo fa con Bresson, Godard, Huston e Visconti.