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Lettera M come... Massini
L’autore di <i>Lehman Trilogy</i> sarà a Chiasso sabato 13 maggio alle 20.30 con Alfabeto delle emozioni
Sabrina Faller
Non è facile catturargli un po’ di tempo per un’intervista. Stefano Massini è impegnatissimo e richiestissimo, deve perciò ben distribuire e dosare le ore della sua giornata. Laureato in lettere classiche all’università di Firenze, sua città natale, drammaturgo di solida preparazione ed esperienza, realizzata anche attraverso un sodalizio con l’attrice Ottavia Piccolo, protagonista di tanti suoi drammi – da Processo a Dio a Donna non rieducabile, da Occident Express al recente Eichmann – è divenuto una star internazionale con Lehman Trilogy, il testo teatrale (dapprima romanzo) sulla famiglia Lehman, responsabile del disastro finanziario del 2008, prima allestito da Luca Ronconi al Piccolo Teatro di Milano, poi approdato a Londra con la regia del premio Oscar Sam Mendes, e a Broadway dove ha vinto lo scorso anno il Tony Award come best play, ed è il primo italiano a cui viene assegnato il prestigioso premio. Dopodiché, il suo ruolo di raccontastorie a Piazza Pulita su La7, gli spettacoli, i romanzi, tutto questo e molto altro lo hanno reso popolare e noto al grande pubblico. Stefano Massini sarà ospite della 17esima edizione di ChiassoLetteraria (9-14 maggio) sabato 13 maggio alle 20.30 al cinema teatro di Chiasso con Alfabeto delle emozioni, da lui scritto e interpretato. Al telefono gli dico che mi interessa il processo creativo che porta alla stesura dei suoi testi teatrali.
Come sceglie un tema e come sceglie di svilupparlo in un certo modo? Scrive regolarmente ogni giorno o si lascia guidare dall’ispirazione del momento? Rielabora molto i suoi scritti o scrive di getto? Qualche indizio su questo processo creativo, per favore!
Ognuno di noi ha il proprio metodo creativo e sono tutti diversi e tutti legittimi. Per quello che mi riguarda detesto la scrittura da fermo dietro il computer, nel senso che sono uno che ha sempre dovuto creare una scrittura molto dinamica, molto mossa. E come tale preferisco nettamente andare a camminare, fare un giro in bicicletta, percorrere chilometri, dire le cose ad alta voce, correggerle, poi quando arrivo a casa comincio a scriverle. È un’idea che ho sempre avuto, non mi nasce da una scelta, ma in modo empirico, è una cosa molto delicata, nasce da equilibri interiori, forse dal bisogno di rendere simmetrico quello che simmetrico non è. E anche l’atto stesso di scrivere nasce da una forma di urgenza, di necessità, e per me non può aver luogo stando a sedere con le gambette sotto il tavolo, perché questo mi riporta a una dimensione scolastica o universitaria che non appartiene al mio modo di scrivere.
Quanto è importante il talento e quanto la costanza, la disciplina, il rigore?
Credo che abbia ragione Nietzsche, ovvero che ogni tragedia e anche ogni opera nasca dall’incontro fra Apollo e Dioniso, cioè fra una componente fatta di rigore, di schemi, di disciplina, e una componente emotiva, anarchica, fatta di ebbrezza, che è l’opposto dell’altra. Più che in termini di costanza ragionerei dunque in termini di incontro. Ci sono il rigore, la disciplina e la tenacia, ma ci vuole anche il sacro fuoco. Tra l’altro io vengo a Chiasso con uno spettacolo, Alfabeto delle emozioni, che è un trionfo di questo incontro. Lo spettacolo ha una struttura ben precisa, sono ventuno le lettere dell’alfabeto e ognuna la collego a un’emozione che inizia con quella lettera: A di ansia, D come dolore, C come coraggio, P come paura, T come tristezza, ad esempio. Un materiale incandescente. Ogni sera davanti al pubblico proponiamo sette lettere su ventuno, dunque va in scena solo un terzo di tutto il materiale scritto per lo spettacolo. E questo è veramente un incontro fra Apollo e Dioniso, rigore ed emozioni.
I suoi drammi sorprendono per la varietà degli stili: in forma di ballata per Lehman Trilogy, drammaturgia di tipo cinematografico per Freud. l’interpretazione dei sogni, testo di stampo tradizionale per 7 minuti, dramma processuale per Stato contro Nolan… questa varietà è stata una conquista o un approccio naturale?
Sarò sincero con lei. Da giovane soffrivo di una forma molto evidente di claustrofobia. La claustrofobia non è solo quella che si prova stando chiusi dentro un ascensore. Questo è in fondo forse l’esempio più immediato e più banale. Ci sono molte altre forme di claustrofobia. Nel mio caso la claustrofobia si applicava anche agli stili di scrittura, al fatto che ho sempre avuto il terrore della maniera. Quando poi uno comincia a mettere insieme le proprie opere, a livello critico, è molto probabile che le persone tendano ad analizzarle.
Son passati tredici anni da quando ho scritto Lehman Trilogy, che è diventata, come altri miei scritti, oggetto di tesi di laurea. Quando mi chiamavano per le tesi mi correva un brivido lungo la schiena perché mi rammentavo di quando non avevo ancora vent’anni e già mi sentivo sclerotizzato in uno stile, che ora qualcuno attraverso una tesi di laurea analizzava e archiviava, in uno schema che diventava maniera, diventava gabbia, perciò ho sentito il bisogno di rompere quello schema proprio come un claustrofobico vuole rompere le pareti della sua stanza, e ho cominciato a scrivere con la massima libertà. Poi ho avuto la fortuna di avere un maestro eccezionale, Luca Ronconi. Aveva una curiosità meravigliosa, leggeva cose di argomento diversissimo e ha fatto spettacoli su argomenti diversissimi, sull’eugenetica, sull’economia, la storia, spettacoli epistolari e via dicendo. Era ritenuto il fondatore del metodo Ronconi. Quando gli facevano leggere nelle recensioni termini come «ronconiano» o «ronconismo», diceva «che palle!». Ecco, la mia grande libertà nasce da questo, dalla voglia di andare a pescare, a trovare, di sporcarmi le mani all’interno non soltanto di modi diversi ma anche di generi diversi, perché pur essendo innamorato perso del teatro, è evidente che mi dedico anche ad altri tipi di scrittura.
Avendo frequentato l’ambiente teatrale a Londra e a Broadway, che idea si è fatto di quello che è oggi il teatro italiano all’estero?
Non mi piace parlare di cose che non mi riguardano, cioè di cose che riguardano gli altri. Quando si parla di estero, si parla di tradizioni teatrali diverse e di storie che affondano radici nei secoli, proprio come quella del nostro teatro. Quello che accade nel teatro tedesco è radicalmente diverso da quello che accade nel teatro francese o inglese o americano. Cambia tutto, cambia il rapporto dello spettatore con il teatro. La prima volta che mi sedetti a vedere un mio spettacolo nel più importante teatro di Londra, i cinque seduti davanti a me andarono a comprarsi un cartoccio di pollo fritto e una lattina durante l’intervallo e assistettero al secondo tempo sgranocchiando pollo fritto e bevendo coca-cola. Un simile comportamento sarebbe impensabile al Piccolo Teatro di Milano o al Teatro Argentina di Roma. Questo che al principio mi scandalizzava era in realtà meraviglioso perché mi sono reso conto che avevano con il teatro un rapporto molto meno sacrale di noi. D’altra parte all’epoca di Shakespeare ci si abbracciava, si baciava, si faceva sesso in teatro. In America è ancora diverso. A New York il teatro si fa in un quartiere, Broadway. Decine e decine di teatri l’uno accanto all’altro, nello stesso quartiere, una cosa per noi impensabile. E la gente si affanna per la ricerca di un biglietto introvabile e costosissimo. Ho avuto successo prima all’estero che in patria, forse anche perché i miei testi sono in italiano e non in dialetto, dunque più facili da tradurre. E poi per i temi trattati. La domanda che m i veniva fatta sempre con Lehman Trilogy era come mai un toscano si era interessato alle vicende della Banca Lehman invece che a quelle del Monte dei Paschi, che è a chilometro zero… ma per il quale non ho mai provato nessun interesse! Sono fatto così. A proposito di estero, è la prima volta che mi esibisco nel Canton Ticino. Alcuni miei testi sono approdati sui vostri palcoscenici, ma non io personalmente come interprete. C’è sempre una prima volta.