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Di alberi, di guerra e di cieli innaturali

Dal 30 marzo al 2 aprile tornano gli Eventi Letterari. Ospite, tra gli altri, la scrittrice e poetessa Anja Kampmann
/ 20/03/2023
Natascha Fioretti

Se pensiamo a Bertolt Brecht di cui quest’anno ricorrono i 125 anni dalla nascita, alla nuova edizione – ormai alle porte – degli Eventi Letterari Monte Verità (si inaugura il 30 marzo al Palacinema di Locarno con lo scrittore Giuliano Da Empoli) e ai tempi che stiamo vivendo, corrono alla nostra mente i versi del drammaturgo e poeta di Augsburg: «Quali tempi sono questi, quando / discorrere d’alberi è quasi un delitto, / perché su troppe stragi comporta silenzio!». Versi ai quali la manifestazione letteraria – quest’anno giunta alla sua undicesima edizione con la nuova direzione di Stefan Zweifel – si è ispirata. Pensandoci bene però, c’è un’altra poesia di Brecht che risuona in noi in questo particolare frangente. Si tratta del famoso pioppo di Karlsberg, l’unico dei suoi fratelli ad essere sopravvissuto alla guerra. Ruth Berlau, regista, fotografa, scrittrice danese ma soprattutto collaboratrice e compagna di Brecht che viveva a pochi passi da lì, amava raccontare di quando il poeta una mattina uscì sul balcone e alla vista di quel pioppo circondato dalle macerie scrisse di getto quei versi che furono poi imparati a memoria in tutte le scuole della DDR. «Un pioppo c’è, sulla Karlsplatz, / in mezzo a Berlino, città di rovine, / e chi passa per la Karlsplatz / vede quel verde gentile. / Nell’inverno del Quarantasei / gelavano gli uomini, la legna era rara, / e tanti mai alberi caddero / e fu l’ultimo anno per loro. / Ma sempre il pioppo sulla Karlsplatz / quella sua foglia verde ci mostra: / sia grazie a voi, gente della Karlsplatz / se ancora è nostra».

Quel verde gentile, quella sua foglia verde suonano come un messaggio di speranza. E di speranza abbiamo bisogno anche oggi come ben racconta Anja Kampmann che nelle sue opere, siano esse in prosa o in poesia, si confronta con le questioni spinose e complesse del nostro tempo – la globalizzazione, l’economia, lo sfruttamento delle risorse naturali – ma non senza aprire lo spiraglio alla bellezza, non senza dare alla luce e al calore la possibilità di aprire feritoie nei suoi testi. Vale per il suo romanzo Dove arrivano le acque (Keller editore, 2022) e anche per la sua seconda raccolta di poesie Il cane ha sempre fame (uscito in tedesco per Hanser Verlag), presto disponibile in italiano per La nave di Teseo.

Partiamo dal primo e diciamo subito che il tratto distintivo di Anja Kampmann risiede nella sua scrittura, quella che Katrin Hillgruber sul «Tagesspiegel» ha definito «Der Rausch des Schauens» (L’ebbrezza dell’osservare) da cui scaturiscono descrizioni e momenti di intensa liricità. Per capire bastano le prime righe che introducono l’opera la storia di Waclaw, tedesco di mezza età impegnato a lavorare su una piattaforma di trivellazione nell’Atlantico che perde il suo collega e amico Mátyás: «Gli uomini sono inermi davanti a quella tempesta che imperversa in mare. Se ci si avvicinasse da molto lontano, il buio calerebbe a lungo su tutto, le creste delle onde inghiottirebbero la pioggia, inghiottirebbero i fulmini, si sentirebbe odore di metallo e di salsedine, ma non c’è nessuno che possa sentire quell’odore. Non ci sono occhi che osservino. E se ci fossero, non vedrebbero che i flutti impennarsi paurosamente. Il Sud e il Nord cesserebbero di esistere. L’acqua inghiottirebbe anche l’urlo impetuoso della tempesta che non giungerebbe all’orecchio di nessuno. Buio, superfici che si innalzano, onde che si infrangono in un’oscurità impenetrabile, e poco più in là, in fondo, la luce lontana è solo un tremolio inghiottito dalle onde, solo un attimo, una luce».

La luce, seppur temporanea, flebile, come la speranza espressa dall’unica foglia rimasta sul pioppo di Karlsplatz, torna sempre nell’opera della Kampmann che a partire dalla citazione in esergo del commesso viaggiatore («There’s a new continent at your doorstep, William.») delinea il contesto e le atmosfere in cui opera e protagonista si muovono: «C’è una sorta di parallelo tra il commesso viaggiatore che insegue il sogno americano e pieno di speranza gira da una parte all’altra per vendere la sua merce e Waclaw, trivellatore che lascia il suo piccolo paese in cerca di fortuna nel vasto mondo dei mari. E se in principio sembra essere molto promettente, la realtà, proprio come nel caso del commesso viaggiatore, si rivela essere tutt’altra. Tanto che Waclaw alla fine è stanco della vita sulle piattaforme petrolifere. Esprimo e descrivo il suo stato attraverso un termine che in tedesco viene utilizzato per i metalli: “Ermüdungsbruch”». “Rottura da fatica” è il corrispettivo italiano e ben spiega cosa succede a Waclaw. D’altra parte l’autrice nel suo romanzo esplora l'intimità degli uomini, indaga la natura della memoria e del dolore e mette a nudo il costo della libertà per un uomo che vive ai margini della società.

Viene allora da chiedersi come sia venuto in mente ad Anja Kampmann di ambientare la sua storia su una piattaforma petrolifera nell’Atlantico: «Il mondo delle trivellazioni petrolifere mi affascinava perché sono una realtà dalla quale dipendiamo ogni giorno e al contempo però non conosciamo, tanto meno le condizioni in cui le persone lavorano là fuori sul mare in nome della flessibilità. Per riuscire ad entrare in questo ambiente ho fatto diverse ricerche, sono entrata in contatto con alcuni trivellatori, in diversi mi hanno inviato video di cabina, foto che descrivono la loro routine e i mezzi avanzati che oggi utilizzano per trivellare i fondali marini».

Da qui nasce una riflessione aperta sulla nostra società, sulle conseguenze della globalizzazione che ci ha abituati, in particolare le nuove generazioni, a coniugare le sfide della professione con l’idea di mobilità e flessibilità. «Mi sono chiesta quale sia l’impatto di tutto questo sulle persone – da un lato la fascinazione del petrolio – dall’altra lo sfruttamento illimitato delle risorse. Mi premeva indagare quali sono i sogni, le motivazioni che spingono una persona a spingersi là fuori. Waclaw ci va con le migliori intenzioni, sogna di dare una nuova direzione e un nuovo senso alla sua vita, ma alla fine scopre di essersi nutrito di illusioni».

Ad aprirgli gli occhi è la scomparsa di Mátyás e l’indifferenza dimostrata dalla compagnia petrolifera che non indaga sul suo amico considerato solo un numero tra tanti. Per fare luce sul mistero Waclaw si mette in viaggio, visita paesi e città che sono stati importanti per Mátyás – Marocco, Budapest, Malta, Roma – fino al suo paese d’origine in Ungheria dove scopre un lato inedito del suo amico che credeva essere senza radici e senza legami come lui. «E il cavallo?» domanda Waclaw a sua moglie Patricia. «Ah, non lo sai? He didn’t tell you? Matyi, il grande allevatore di cavalli.» Chi ha un cavallo – quello di Mátyás è un purosangue pazzo – ha sempre un posto in cui tornare e questo Anja Kampmann – classe 1983, nata ad Amburgo e oggi di casa a Lipsia – lo sa molto bene. Lì dove è cresciuta, al confine con la Bassa Sassonia, ci sono cavalli ad ogni angolo, l’equitazione non è uno sport elitario e sin da quando era ragazzina ha conquistato anche lei. E di cavalli, di paesaggi nordici della Germania, di temi ambientali e sociali si parla anche nelle sue poesie. An eiken cura, ad esempio, racconta di un cavallo da polo che è stato clonato otto volte. In Argentina ci sono intere squadre di cavalli da polo clonati che vincono i migliori e più costosi tornei del mondo. Aiken Kura, il cavallo di punta di Adolfo Cambiaso, è stato un grande campione e quando si è rotto la gamba è stato clonato». «Nachfahrfahr» è la parola dal bel suono onomatopeico che Anja Kampmann ha creato per chiamare i cloni. Parola che il poeta e traduttore Federico Italiano su «Doppiozero» ha tradotto con «discen-discen-discendente».

Un’altra poesia che stimola la riflessione sull’oggi – in tempi di intelligenza artificiale e ChatGPT – è deep blue (come il primo calcolatore che vinse la partita a scacchi contro il Campione del Mondo Garry Kasparov). Cosa deve aver provato il campione russo quando è stato battuto da questa forza artificiale? Ci chiedono i versi che in chiusura recitano «pompa da stagno / un oceano contro il potere mentale / dell’anima umana, ah / e quale blu pensi/ che vedremo oggi?». Anja Kampmann mi spiega che il blu a cui si fa riferimento «è un blu diverso, un blu innaturale per cui il cielo sembra essere sempre lo stesso ma non lo è. Cosa vediamo effettivamente? Cosa dicono di noi questi cambiamenti tecnologici?». Domande che aprono scenari e pensieri complessi ai quali preferiamo rispondere con una (felice) constatazione conclusiva: la raccolta poetica si chiude parlando d’amore, probabilmente in virtù di quella luce e quella bellezza – soprattutto linguistica – che sempre trovano posto nei suoi testi. «Sarebbe tragico se l’amore non esistesse, scrivere una poesia d’amore è anche il tentativo di scoprire se nonostante tutto ciò che sta accadendo, ci sia la possibilità di tenere salda e viva una cosa bella che possa sempre risplendere».

Il pioppo di Karlsplatz insegna, la speranza è ciò che mai dobbiamo lasciare andare.