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Dove e quando

Festival Tra Sacro e Sacro Monte, fino al 27 luglio al Sacro Montedi Varese.

Giancarlo Giannini sarà protagonista giovedì 27 luglio alle 21.00 alla Cappella XIV in Conversazioneda Dante a Leopardi.

www.sacromontedivarese.it


«Non mi chieda di parlare di letteratura»

Intervista  ◆  Giovedì prossimo l’attore Giancarlo Giannini sarà ospite a Varese del festival Tra Sacro e Sacro Monte
/ 24/07/2023
Enrico Parola

«Non mi chieda di parlare di letteratura, sono un perito tecnico-industriale». Premessa confortante, quando l’intervista è sulla sua presenza al Sacro Monte di Varese. Lì giovedì, alla XIV Cappella della Via Sacra varesina, Giancarlo Giannini si racconterà in dialogo con Andrea Chiodi, direttore artistico del festival Tra Sacro e Sacro Monte, rassegna dedicata non solo al teatro sacro, ma aperto a tutte quelle opere, teatrali e letterarie, che mettono a tema le grandi domande esistenziali.

Quest’anno l’inaugurazione è stata con Simone Cristicchi che – tra racconti e canzoni – ha ripercorso la Divina Commedia dantesca; quindi Maria Paiato ha interpretato il 21esimo capitolo dei Promessi sposi, la celebre Notte dell’Innominato, e settimana scorsa Giacomo Poretti, del trio Aldo, Giovanni e Giacomo, ha portato il suo spettacolo Chiedimi se sono di turno ispirato agli undici anni trascorsi in corsia quando lavorava come infermiere, da cui aveva già tratto il libro Turno di notte.

Giancarlo Giannini sarà il gran finale della rassegna, e per l’occasione il grande attore leggerà i versi di Dante, Shakespeare, Leopardi e altri poeti. Una voce, oltre che un volto, inconfondibili, eppure alla prima richiesta di discettare sui giganti della letteratura mondiale si schernisce e si schermisce, richiamando i suoi studi e la sua prima vita lavorativa.

Credo che la letteratura più alta sia profondamente filosofica, nel senso che affronta le grandi questioni dell’uomo

Perito tecnico-industriale, dunque.
Ero piuttosto bravo: appena diplomato trovai subito lavoro, l’ambito era quello dei satelliti, e poi andai un anno in Brasile.

Perché non continuò? E come arrivò a imboccare la strada della recitazione?
Perché volevo fare il militare, o meglio avrei voluto fare il militare.

Non è chiaro il nesso.
Volevo fare il militare, avevo fatto richiesta, ma venni rifiutato. Perché? Perché mia nonna era vedova e non aveva figli maschi: secondo la legge io, nipote maschio, ero una sorta di suo tutore, di aiuto. Con questa motivazione mi fu recapitata a casa la lettera di congedo definitivo.

E da lì a diventare attore?
Un mio amico mi propose di entrare in Accademia. Io accettai entusiasta, convinto che fosse quella militare dei cadetti; mi ritrovai nell’Accademia di Arti Drammatiche, e da lì è iniziato tutto.

Bravo anche lì, evidentemente.
Durava tre anni, dopo un anno venivo già scritturato regolarmente; e presto arrivarono anche i primi allestimenti importanti: ricordo un Sogno di una notte di mezza estate con la regia di Strehler e Carla Fracci a fianco.

E la letteratura?
È parte integrante della formazione di un attore; io stesso, quando insegnavo all’Accademia, chiedevo agli studenti di portare delle poesie, era un esercizio obbligatorio. Quando iniziai a studiare come attore mi dovetti confrontare non solo con la grande letteratura per teatro, dai greci a Shakespeare fino ai contemporanei, ma anche con prosa e poesia. E poi c’era mia sorella.

Letterata?
No, studiava filosofia e mi propinava insistentemente questo o quel testo, Platone, Socrate, poi i moderni. Confesso che alcuni li leggevo e mi interessavano, altri li evitavo. Però mi hanno segnato, vi leggevo le grandi domande; e ancora adesso che sono passati parecchi anni da quando noi eravamo studenti, continua a leggere, a interessarsi e a propinarmi: non più passandomi i testi, ci chiamiamo al telefono e ci capita abbastanza di frequente di discutere per un’ora abbondante su temi filosofici.

Insisto: e la letteratura?
Credo che la letteratura più alta sia profondamente filosofica, nel senso che affronta le grandi questioni dell’uomo. Leggo Leopardi, per fare un esempio tra i più evidenti, e vi trovo le grandi domande sul perché della vita, della morte, della felicità e del dolore, dell’insoddisfazione e della nostalgia. Però i poeti e in generale i letterati hanno un vantaggio rispetto ai filosofi: questi devono porre tutto in modo chiaro, netto, perfettamente preciso domande, spiegazioni, risposte. Invece, come direbbe Montale, il poeta non deve trovare la «parola che squadri», è tutto più sfumato, suggestivo; il che non significa impreciso, anzi.

Sente sue queste domande? E più adesso o da giovane?
Più che l’anagrafe, conta l’età dello spirito, cioè l’essere vivi, tesi, curiosi dentro; come diceva Pascoli, il «fanciullino» che c’è in noi. Le sento urgere in me, così come l’esigenza di una risposta.

Non pochi pongono le domande, in letteratura e in generale nell’arte, meno sembrano essere le risposte.
Ci sono, bisogna saperle leggere. In Dante è evidente, la sua fede cristiana rende tutto esplicito. Però anche Leopardi ha delle sue risposte, che non sono solo pessimistiche; pensi all’Infinito, c’è il verbo «naufragar», ma lo definisce «dolce»: c’è, in questa parola, una percezione che sfida il senso generale del pensiero filosoficamente svolto.

Lei ha delle risposte, delle verità?
Sono un credente, ho delle mie verità che mi portano a vedere un mistero nelle piccole cose quotidiane: è il cercare il senso della vita ponendo la domanda nella cosa che si sta facendo, nella circostanza che si sta vivendo; non pensando astrattamente, ma vivendo.

Queste domande interessano alla gente? O quando lei tiene delle letture viene più che altro per vedere il famoso attore?
Tutte e due le cose, talvolta magari anche più perché c’è Giannini che Dante o Ungaretti. Però non è un male, perché noi attori e la nostra voce siamo lo strumento attraverso cui un autore, un testo parlano al pubblico.

Affermazione di notevole umiltà; gli attori non sono vanitosi? Per uno che ha avuto una nomination all’Oscar, ha vinto sei David di Donatello e tanti altri premi, tra cui la stella nella Walk of Fame di Hollywood… Non c’è sempre in agguato la tentazione di insuperbirsi?
Tanti attori sono timidi, poi quando si rompe il ghiaccio si entra davvero in scena. Confesso che vedere il proprio nome, la propria stella tra le stelle della Walk of Fame mi ha fatto davvero piacere. Perché è Hollywood, perché sono gli americani, perché è una stella e tutte e tre le Cantiche della Divina Commedia terminano con la parola stelle.