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25 dicembre

Generalmente l’oratorio di Villa Coldrerio è chiuso; ma se volete vederlo in tutto il suo splendore potete approfittare delle feste per recarvi alla messa di Natale del 25 dicembre alle ore 8.00.


«Certe canzoni sono profetiche»

Rientrato dal tour teatrale <i>Maader de Autünn</i>, che ha fatto tappa anche a Zurigo, Van De Sfroos si racconta
/ 19/12/2022
Enrico Parola

«Più che farmi effetto, cantare a Zurigo, come già fatto a Berna o in altri posti della Svizzera interna, mi ha dato affetto: quello dei tanti ticinesi che si sono trasferiti là e che gioiscono nell’ascoltare un dialetto simile al loro. Ma anche i germanofoni seguono con passione: più mossi dai suoni, ma so che poi vanno a tradursi e studiarsi i testi, un po’ come succede in Italia in regioni con dialetti molto diversi. Perché il dialetto non è una maschera buffa che deve ricorrere a battute e temi sconci per far ridere: per me è stato il linguaggio “filologicamente” più aderente alle realtà, ai luoghi e alle storie che racconto nelle mie canzoni. Da piccolo, quando la zia mi portava dalle amiche, restavo ipnotizzato a sentirle raccontare, in dialetto, le loro storie; e loro, a trovarsi davanti un bimbetto interessato, si dilungavano meravigliosamente. Penso che la mia vocazione artistica e soprattutto la forma particolare che ha assunto sia nata lì, nei soggiorni e nelle cucine delle amiche di mia zia».

Maader de autünn è il titolo della tournée che Davide Van De Sfroos ha appena concluso dopo aver fatto tappa a Zurigo, era prevista una data anche a Chiasso ma è saltata, poi Veneto, Emilia e Lombardia. Oltre due ore ininterrotte tra canzoni dell’ultimo album (Maader folk) e tanti titoli passati. «Quando abbiamo ripreso ad esibirci dopo le chiusure (causa covid, ndr.) dei teatri, il pubblico era distanziato e con la mascherina, eppure cantava e dal palco si percepiva la sua partecipazione attiva. Però quando sono cadute le restrizioni, il ritrovarsi tra tanta gente e il rivedere la calca lungo le transenne ci hanno trasmesso un’energia pazzesca; così, dopo aver portato in giro un po’ ovunque Maader folk, abbiamo deciso di continuare questa esperienza, recuperando assieme alle canzoni nuove tutte quelle che la gente ci chiedeva immancabilmente ad ogni concerto».

Si tratta dei titoli più noti e amati, da 40 pass a Camionista ghost rider fino a Pulenta e galena fregia. «Sono canzoni che anno dopo anno acquistano sempre più carne, più spessore: canto persone precise, lo Ziu Toni, il Genesio, però incarnano dinamiche universali. Ovvio pensare adesso, con la guerra, a Sciuur capitan, a L’infermiera o Agata, quest’ultima immagine non solo di una donna del tempo antico, quando giovani ragazze si trovavano a dover essere madri e padri, a lavorare duramente attendendo il ritorno, magari dalla guerra, di un figlio o un marito; è la condizione potenzialmente perenne per cui una donna deve essere madre, dolce, sensuale, e al tempo stesso forte, guerriera e lavoratrice». Titolo icona di Maader folk, anche perché cantata in duo con Zucchero, è Oh Lord, vaarda gio: «L’avevo scritta prima del Covid parlando di maschere indossate storte, e senza neppure poter ipotizzare una guerra vicina cantavo la richiesta a Chi sta lassù in cielo di guardare giù e salvarci dai disastri che combiniamo.

Il bello di certe canzoni è che risultano profetiche; io stesso, a distanza di anni, mi domando da dove mi siano venute certe idee: credo da un subconscio che si era fatto largo, ma di cui non ero lucidamente consapevole. Quando scrissi, già dieci anni fa, Oh Lord vaarda gio (Oh Lord, please tell me / Indè gh’ho de na’ adess / Oh Lord, please tell me /Cussè gh’ho de fa’ adess / Quand’el tira vent a s’piga tot i fior) sentivo semplicemente di aver bisogno di una mano; oggi sono più consapevole che, inondati da nozioni scientifiche e bollettini medici, travolti da una fretta vorace che tutto consuma, nel profondo ci sappiamo bisognosi di uno sguardo verso un infinito, un assoluto, a prescindere da come lo si voglia identificare, e ci sentiamo naufraghi senza una guida che sappia indicarci una rotta, un senso alla nostra navigazione in questo mare agitato».

Altro tema eterno, che riecheggia in Hemm imparaa è «la speranza che la felicità consista nell’accumulo, per poi cercare la sottrazione per ritrovarsi. Conosco persone che hanno inseguito la carriera, hanno avuto successo e sono andate a vivere agiatamente nelle grandi città; e poi sono tornate al paesino natale e hanno ristrutturato la cascina del nonno. Non è un elogio della povertà né un’accusa a certi beni, voglio solo evidenziare che ci si può sbagliare su quel che serve veramente, ma non ci si può illudere a lungo». Il refrain del brano recita: «Hemm imparaa a fa’ mea tant casott / Quand che giren i stagiun / El sent che ’l temp el passa / E quand che ’l passa g’ha sempru pressa / E cambierà la sua pell cume la cambierà la bissa».

Montale diceva che si tenta di «riempire il vuoto con l’inutile»; Van De Sfroos ama riempire taccuini: «Sono i cassetti dove ripongo parole, inizi o pezzi di storie, anche immagini che mi hanno colpito – disegno e coloro oltre che scrivere perché il senso del tutto fa capolino nei dettagli, e per coglierli bisogna ritornare a quell’antico stupore con cui l’uomo guardava al mondo. Sono frasi, talvolta storie ormai quasi complete, che rimangono lì anche per anni e poi arriva il momento in cui sbocciano. Ci stavo riflettendo: tengo in gestazione una canzone per anni, ma quando le persone mi scrivono per raccontarmi come quella canzone sia stata d’aiuto in un momento di difficoltà, che vi si sono aggrappate perché si sentivano descritte, capisco che non sono più mie».