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Una lezione dolceamara sull'invecchiare
Al Luzerner Theater fino al 10 aprile va in scena Il Cavaliere della Rosa di Richard Strauss
Marinella Polli
Scrive Hugo von Hofmannsthal il 12 gennaio 1911: «La Sua musica mi procura immensa gioia. È come una ghirlanda, tutta di graziosi fiori e così miracolosamente coerente nelle connessioni».
Nel solido rapporto fra il sommo poeta austriaco e Richard Strauss – di cui testimoniano le opere create in collaborazione, ma anche un carteggio che non ha pari nella storia della musica –, il vertice della perfezione si tocca proprio con Der Rosenkavalier, una commedia per musica in tre atti che mantiene una salda posizione anche nel repertorio internazionale di oggi. Il librettista si ispira a Molière, Beaumarchais e a Mozart, ma i suoi personaggi rappresentano piuttosto dei tipi come nella Commedia dell’Arte, che non veri e propri caratteri. Il libretto è divertente e vaporoso, ma pur sempre ricco di quelle ripercussioni filosofiche e psicologiche tipiche dell’arte di Hofmannsthal. Peraltro all’unisono con la variegata partitura straussiana in bilico fra passato e futuro: sonorità Fin de Siècle, ma anche wagneriane, la pongono in una dimensione fuori dal tempo. Una partitura tra l’altro celebre anche per i valzer che, se nel periodo in cui si svolge l’azione non erano ancora di moda, rimangono fra i motivi più orecchiabili del Der Rosenkavalier.
Per la nuova produzione, nella versione per orchestra di media dimensione di Eberhard Kloke, il Luzerner Theater affida la direzione musicale a Robert Houssart, la regia a Lydia Steier (co-regia di Matthias Piro), le scene a Blake Palmer e i costumi a Alfred Mayerhofer. Sotto la bacchetta del maestro Houssart, la Luzerner Sinfonieorchester mette agevolmente a fuoco questa straordinaria ricchezza. Ottimo anche il Chor des Luzerner Theaters preparato da Mark Daver, ma sul versante vocale brillano soprattutto Eyrùn Unnarsdòttir nel ruolo della Marescialla, e Solenn Lavanant Linke in quello di Octavian. Il soprano islandese interpreta con sensibilità e grande capacità di differenziazione sul piano vocale e scenico quello che è uno dei grandi personaggi del teatro lirico. È affascinante e sensuale durante la notte con Octavian, da lei chiamato Quinquin e suo giovane amante (oggi si direbbe Toyboy), ritorna ragazzina nella scena della piscina (o fontana dell’eterna giovinezza?), per poi abbandonarsi alla malinconia, nella consapevolezza che la giovinezza è ormai finita, durante il cerimoniale mattutino del ’lever’, con i servi che la vestono, il parrucchiere, il tenore italiano che le canta il buon giorno e, soprattutto, di fronte al volgare cugino barone. Le è pari vocalmente il mezzosoprano Solenn Lavanant Linke nella parte en travesti di Octavian, il Cavaliere della Rosa, ovvero colui che consegnerà la rosa dell’anziano barone a Sophie, innamorandosi poi di lei; fra un Hugh Grant giovane e il commissario Manara, scenicamente insuperabile. Senza una nota fuori posto anche Tania Lorenzo Castro, come combattiva Sophie in short e anfibi. E bravi anche Jason Cox nel ruolo del Signore di Faninal, il nuovo ricco padre di Sophie, nonché Valérie Junker, fumatrice silenziosa, ma onnipresente. Ottimo Christian Tschelebiew nei panni del ridicolo predatore Barone Ochs di Lerchenau, nobile squattrinato che pensa di sposare la non nobile, ma ricca Sophie, pur essendo già sposato, e che del movimento MeToo non ha ancora sentito parlare. L’allestimento è moderno e un po’ trasgressivo, come ci si poteva aspettare dalla regista Lydia Steier, tuttavia coerente e, a parere del pubblico premieristico, spassoso, quasi troppo.
Una messinscena che non punta su un unico periodo, bensì su interdipedenza e contrasto fra le diverse epoche, evidenziando elementi del rococò, dell’aristocrazia viennese ai tempi di Maria Teresa, dell’anno della composizione e di oggi. In occasione della prima, ovazioni all’indirizzo di tutti. Repliche fino al 10 aprile.