azione.ch
 


Dove e quando

Niele Toroni. Impronte di pennello n.50, dal 1958 al 2024.
Museo Casa Rusca, Locarno.
Fino al 17 agosto 2025.
Orari: ma-do 10.00-16.30.
www.museocasarusca.ch

Omaggio a Niele Toroni e Harald Szeemann.
Museo Comunale d’Arte Moderna, Ascona.
Fino all’11 maggio 2025.Orari: ma-sa 10.00-12.00 / 14.00-17.00; do 10.30-12.30.
www.museoascona.ch

Niele Toroni, 2012 (© Niele Toroni. 2025ProLitteris Zurigo. Foto Giuseppe Micciché, Premio Meret Oppenheim 2012, Ufficio federale della cultura, Berna)


Niele Toroni, il pittore delle impronte di pennello

Locarno ripercorre la sua carriera artistica, Ascona mette in luce il suo sodalizio con Harald Szeemann
/ 10/04/2025
Alessia Brughera

«Noi non siamo pittori»: era iniziato da pochi giorni l’anno 1967, quando, in occasione del Salon de la Jeune Peinture di Parigi, Niele Toroni, insieme a Daniel Buren, Olivier Mosset e Michel Parmentier, manifestava apertamente con questa dichiarazione polemica la sua volontà di non sottostare ai dettami convenzionali dell’arte, scegliendo invece di portare avanti un’indagine che avesse come unico obiettivo la restituzione di una pittura oggettiva, sistematica, embrionale.

Pochi mesi prima, i quattro artisti avevano fondato il gruppo BMPT, nato proprio in opposizione alla tradizione pittorica consolidata e proteso verso una ripartenza «da zero» che ridefinisse gli statuti del dipingere. Malgrado la breve durata di questa esperienza (un solo anno), ciò che destava interesse era il bisogno di Toroni e compagni di sfidare un sistema che riponeva troppe aspettative nel valore estetico dell’arte. Il modo di lavorare del gruppo veniva così ridotto a pratiche ripetitive e predeterminate: alla base della creazione artistica non c’era più la ricerca di uno stile distintivo e inimitabile ma l’adozione di un processo sempre uguale e anonimo. E per negare con ancor più forza le consuetudini su cui si reggevano la qualità e la funzione dell’arte, i quattro pittori erano soliti scambiarsi i dipinti tra loro, facendosi beffe dei concetti di originalità e unicità dell’opera.

Dopo lo scioglimento del BMPT, Toroni è l’unico a portare avanti con incondizionata fedeltà ed estrema caparbietà questo modus operandi, mettendo in atto una metodologia rigorosa basata sull’applicazione di impronte di pennello n.50 ripetute a intervalli regolari di trenta centimetri sulla superficie. Dal 1967 a oggi il suo protocollo è rimasto immutata espressione del desiderio di Toroni di demistificare l’arte attraverso un approccio essenziale, anti virtuosistico, svincolando l’atto creativo dalle sue zavorre ideologiche e «lavorando per lasciare che la pittura lavori su sé stessa».

Attraverso questo procedimento così sistematico in cui gli unici elementi che apportano variazioni all’opera sono il colore e il supporto (dalla tela al legno, dalla carta di giornale agli spartiti musicali, dai tessuti fino ad arrivare alle pareti di edifici), Toroni coinvolge tutte le componenti specifiche del linguaggio pittorico, facendo delle proprie creazioni una sorta di compendio dell’essenza stessa del dipingere. Ecco allora che per lui l’artista non ha il compito di interpretare la realtà esterna o di narrare il proprio vissuto: ciò che conta è il gesto artistico al di fuori di ogni urgenza espressiva. Non a caso uno dei maestri più amati da Toroni è Jackson Pollock, «la cui pittura racconta solo di essere stata lanciata».

A dispetto di chi lo ha criticato per la ripetitività della sua produzione, Toroni ha dimostrato nel corso dei decenni la validità del proprio credo artistico non cedendo mai alla spasmodica ricerca del nuovo. Anzi, proprio per questo motivo i suoi «lavori-pittura», come egli stesso definisce le sue opere, si sottraggono al concetto di temporalità, di sequenzialità, impedendo la distinzione di un prima e di un dopo a favore di un inizio che si compie all’infinito.

Originario di Muralto, emigrato a Parigi nel 1959 e diventato una delle figure più importanti della scena artistica contemporanea internazionale, Toroni, pur nella sua pertinace coerenza, non manca di confrontarsi con artisti di ogni epoca, traendo di continuo spunti su cui riflettere: ama il Giotto della Cappella degli Scrovegni a Padova e il Piero della Francesca della Madonna del parto di Monterchi; apprezza i maestri russi Malevič e Rodčenko, gli esponenti del Bauhaus e Mondrian; conosce Jean Arp, per cui lavora alla fine degli anni Sessanta nei mesi estivi che trascorre a Locarno da Remo Rossi; a Parigi ammira le opere di Jean Tinguely, Yves Klein e Hans Hartung, che lo interessano nonostante le preoccupazioni artistiche di questi pittori siano lontane dalle sue; frequenta Jesús-Rafael Soto, Marcel Broodthaers e Balthasar Burkhard.

A Niele Toroni, oggi ottantottenne, il Ticino dedica due mostre: una grande retrospettiva dal titolo Niele Toroni. Impronte di pennello n. 50, dal 1959 al 2024, allestita negli spazi del Museo Casa Rusca di Locarno (fino al 17 agosto 2025), e l’esposizione Omaggio a Niele Toroni e Harald Szeemann, ospitata presso il Museo Comunale d’Arte Moderna di Ascona (fino all’11 maggio 2025), entrambe curate dal critico e storico dell’arte Bernard Marcadé.

Si tratta di due rassegne di particolare rilevanza poiché omaggiano un artista che in patria, nonostante non sia mai venuto a mancare un suo forte legame con la terra natia, non ha goduto dell’ampio riconoscimento avuto invece a livello internazionale. A dimostrare ciò basti pensare che Toroni ha esposto con costanza nei più grandi musei del mondo (dal Centre Pompidou di Parigi al MoMA di New York), mentre nel nostro Cantone la sua ultima mostra istituzionale risale al 1991, anno in cui, proprio ad Ascona, Harald Szeemann ha curato la prima personale ticinese del pittore.

A Locarno sono state radunate ottanta opere circa che testimoniano l’intero arco dell’attività di Toroni, dagli anni Cinquanta a oggi. La retrospettiva ha il merito di presentare non solo alcuni pezzi emblematici della produzione dell’artista ma anche lavori che documentano le sue sperimentazioni antecedenti al trasferimento a Parigi o che sono stati realizzati per amici e collezionisti ticinesi. Sono soprattutto queste opere, emerse da una scrupolosa ricerca sul territorio e in molti casi esposte per la prima volta in un museo, a costituire la parte di maggior interesse della rassegna poiché restituiscono una visione intima e completa del pittore.

Tra le creazioni giovanili più rappresentative troviamo il piccolo Errore di gioventù del 1959 corretto nel 2017 e Omaggio a Paolo Uccello, quest’ultimo un acrilico datato 1965 che esprime l’ammirazione dell’artista per il grande maestro italiano. D’impatto, poi, è la serie Sans titre del 1984, costituita da cinque Impronte di pennello n.50 ripetute a intervalli regolari di 30 cm realizzate da Toroni su carta da lucido, a cui sono accostate altrettante grandi fotografie in bianco e nero di Balthasar Burkhard.

Ad Ascona il focus sul sodalizio intellettuale tra Toroni e Szeemann è stato sviluppato attraverso l’esposizione di alcuni dipinti e la presentazione di fotografie e di documenti di vario genere, tra cui lettere e cartoline, che testimoniano il profondo rapporto di amicizia e stima, non scevro di ironia, che legava le due figure. Sono tutti materiali che danno risonanza all’opera murale permanente eseguita dall’artista all’interno del museo in occasione della già menzionata mostra del 1991. Un lavoro, questo, che si pone come esempio significativo della capacità del pittore di realizzare interventi che rispettano il contesto in cui si inseriscono ma che allo stesso tempo riescono a esprimere appieno la loro valenza estetica. «Semplice, facilmente imitabile da altri, ma, come tutte le cose semplici, molto complesso, pieno di vita, pieno di sorprese, pieno di perfidia, pieno di gioco», così proprio Szeemann si era espresso in merito alle iconiche impronte di pennello del «metodo Toroni».

Un metodo che nel corso dei decenni si è alimentato di un valore originario mai tradito e, anzi, riproposto ogni volta come fosse la prima. Forse perché, come ha affermato lo stesso Toroni, il suo obiettivo è sempre stato quello di «continuare a cercare di fare pittura. Pur essendo sempre più convinto che l’arte non si lasci fare».