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Dove e quando
Sono diversi gli incontri e gli eventi in calendario fino a maggio. Per saperne di più si può consultare il sito: https://uomoeclima.org
Mentre la mostra La mano del Clima e la mano dell’Uomo, presso il Museo cantonale di storia naturale, in via Carlo Cattaneo 4 a Lugano, resterà aperta fino al 21 febbraio 2026. Orari di apertura: ma-sa 9.00-12.00 / 14.00-17.00
Percorsi visivi e riflessioni sull’impatto umano
Mostre, incontri e opere d’arte raccontano la sfida del riscaldamento globale al festival diffuso L’Uomo e il clima
Giovanni Medolago
È in pieno svolgimento la kermesse L’Uomo e il clima, un festival diffuso (soprattutto nel Luganese) che ha offerto – e continua a offrire – incontri con personalità particolarmente sensibili sul problema dei cambiamenti climatici (Luca Mercalli), mostre come Lost Ice, che presenta oltre sessanta photobooks (Artphilein Library a Paradiso), o La mano del Clima e la mano dell’Uomo, al Museo Cantonale di Storia Naturale, dove si spiega come in Ticino e nel Settentrione dell’Italia si sia passati da una fauna tipica dei climi temperati – con leoni, ippopotami, rinoceronti e iene – e da una fauna glaciale con tanto di mammut, a quella che conosciamo noi oggi.
Con buona pace dei negazionisti, ecco poi l’expo al Musec di Riva Caccia L’Uomo e il Clima che dà il titolo all’intera rassegna e si sofferma sia sulle grandi oscillazioni climatiche vissute dall’Umanità nel suo passato remoto, sia sulle possibili conseguenze del (sur)riscaldamento che le molteplici attività dell’Uomo stanno generando a livello globale.
Risponde, per così dire, la Biblioteca cantonale di Lugano con La scoperta dei cambiamenti climatici nelle opere dei pionieri della scienza con una selezione di pubblicazioni originali dal XVII secolo ai giorni nostri.
Una kermesse composita, dunque, fortemente voluta da Gianluca Bonetti (fotografo e consigliere d’amministrazione della Fondazione Corriere del Ticino); il quale spiega che «ci stiamo muovendo nella giusta direzione, però lo facciamo troppo lentamente: le tensioni geopolitiche e la corsa all’egemonia economica stanno ponendo in secondo piano la crisi climatica».
In effetti, l’onda verde che ha portato il partito ecologista a risultati insperati in qualche recente tornata elettorale è presto rientrata, e oggi ci si preoccupa più dei venti di guerra che minacciosamente spirano qua e là sul pianeta Terra che dell’aumento delle temperature e/o della minaccia dell’esondazione degli oceani, prevista ahinoi per i prossimi decenni.
Tra la cornucopia di proposte offerte dal festival diffuso, abbiamo puntato la nostra particolare attenzione a Il canto della Terra, l’expo in corso alla Galleria Repetto di Lugano-Loreto. Una mostra, spiega con toni poetici Paolo Repetto, che «esplora l’intimo e complesso rapporto tra l’essere umano e il mondo naturale. Un percorso visivo che celebra l’eterna danza del fremito dell’acqua e del respiro della Terra. La Natura intesa come un’immensa superficie, un ammasso di creta con e sul quale lavorare. L’opera d’arte? – continua Repetto citando il gallerista tedesco Gerry Schum – Non si tratta più della rappresentazione del paesaggio: l’opera diventa il paesaggio stesso».
Nel composito universo culturale, forse sono stati per primi gli artisti (fotografi, pittori, scultori, incisori e via elencando) a lanciare grida d’allarme riguardo ai cambiamenti climatici, a invitarci sin dagli Anni Sessanta a riflettere su quanto stava accadendo sotto i nostri occhi piuttosto distratti, a riconoscere il potere antropologico dell’arte.
Ricordiamo Joseph Beuys (1921-1986), capace di una performance dove mise a radice ben settemila querce (7mila!), naturalmente non presenti chez Repetto. C’è però Christo, l’altrettanto folle performer bulgaro voglioso d’impacchettare tutto quanto gli suscitasse un minimo d’appetito, in questo caso una Coast non identificabile. Si situa invece precisamente a Gibellina Cretto bianco – lavoro definito d’Arte ambientale – di Alberto Burri, riverbero della testimonianza/omaggio di quel «Grande Cretto» poi sistemato dall’artista proprio dove sorgeva la città, completamente distrutta dal terremoto del Belice nel 1968.
Siamo davanti alla «Formula della Creazione», concreta variante del simbolo matematico dell’Infinito al quale Michelangelo Pistoletto inframmezza un terzo cerchio. Chiarisce lo stesso Pistoletto: «Il simbolo del Terzo Paradiso, riconfigurazione del segno matematico dell’infinito, è composto da tre cerchi consecutivi. I due cerchi esterni rappresentano tutte le diversità e le antinomie, tra cui natura e artificio. Quello centrale è la compenetrazione fra i cerchi opposti e rappresenta il grembo generativo della nuova umanità». Nei suoi tre cerchi, Pistoletto ha poi inserito le parole io e tu alle estremità, unendole infine nel cerchio più grande con la scritta Noi. Il 92enne artista piemontese è oggi ufficialmente candidato al Premio Nobel per la Pace, sostenuto dalla Fondazione Gorbachev.