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Dove e quando

Luciano Rigolini. Fotografica, Porza, Museo Villa Pia (via Cantonale 24). Orari: ve, sa, do 10.00-17.00. Ingresso gratuito. Fino al 27 aprile 2025. Fondazione Lindenberg


Luciano Rigolini, oltre la fotografia

Primi piani: la dimensione concettuale dell’immagine e nuove frontiere dell’arte
/ 10/03/2025
Stefano Spinelli

Difficile, anzi, davvero improprio sarebbe considerarlo alla stregua di un normale fotografo: anche se Luciano Rigolini – vincitore, tra l’altro, del Gran Premio svizzero di design 2024 – in un qualche modo agli inizi del suo percorso, fotografo lo è stato; da tempo va semmai collocato in qualità d’artista in quell’area dell’arte nella quale il media fotografico viene scandagliato per vie concettuali. Ma andiamo con ordine.

Nato a Tesserete, già a 14 anni Luciano scopre la fotografia, o meglio, la sua complessa natura, incappando in un banale errore di manipolazione della macchina fotografica, una Zeiss Ikon prestatagli dal padre in occasione di una gita scolastica. Vuole fare il ritratto di una sua compagna ma, fotografando, involontariamente carica più volte l’otturatore senza far avanzare la pellicola. Ne sortirà un ritratto sorprendente, composto dalla sovrapposizione delle varie immagini scattate.

Nasce così in lui la fascinazione per questo media: «Da lì è partita la mia ossessione. Ero giovane, ma avevo già capito questo distinguo, tra realtà e fotografia. È nato lì il desiderio di lavorare proprio sul linguaggio. Per me la fotografia è il linguaggio, l’autonomia fotografica rispetto al reale. La realtà è la realtà, l’immagine fotografica è qualcosa di diverso». Questa asserzione lo guiderà lungo tutto il suo percorso di esplorazione del mezzo fotografico, sia dal punto di vista della riflessione estetica sia nella sua personale produzione.

Le avanguardie

Tra i suoi riferimenti troviamo le avanguardie storiche – e in particolare, il Bauhaus, il Costruttivismo e la Nuova oggettività – come pure quelle successive correnti concettuali portate all’indagine dello statuto dell’immagine. Di questi movimenti artistici, oltre al pensiero di fondo, Rigolini assorbe il rigore dell’analisi e lo spirito sperimentale, ludico e poetico con cui operare.

Da autodidatta, la sua formazione pratica la effettuerà sul campo, ma soprattutto, da un punto di vista intellettuale, frequentando l’effervescente ambiente culturale parigino, città che raggiunge nei primi anni Ottanta – fuggendo la sua iniziale professione di disegnatore di macchine per l’industria –, e in cui ha poi vissuto a lungo, trasformandola nella sua patria d’adozione. Ed è proprio a Parigi che, sempre in quegli anni, compirà degli studi accademici di cinema, durante i quali avrà l’occasione di seguire dei corsi di Gilles Deleuze, uno tra i filosofi più incisivi del secolo scorso e autore, tra gli altri, di due importanti saggi sull’immagine-movimento.

Dalla fotografia, dunque, la sua riflessione si porta anche sul mezzo cinematografico, lavorando con questo media tanto come regista di documentari quanto da produttore. In quest’ultima veste, ha avuto il privilegio – per vent’anni, a partire dal 1995 – di produrre con grande soddisfazione film di registi emergenti per la trasmissione La Lucarne, spazio creativo dell’ancora giovane e sperimentale rete televisiva Arte. Avrà in questo ambito il piacere di seguire e sostenere esponenti dell’arte cinematografica del calibro, tra gli altri, di Laurie Anderson, geniale artista della scena newyorkese, musicista, regista e moglie dell’indimenticabile Lou Reed. O di Apichatpong Weersasethakul, immenso e acclamato regista tailandese. E anche di Chris Marker, regista francese dalla grande e intricata poesia, di cui Rigolini con Arte produrrà l’ultimo suo film, Chats perchés.

Tornando alla fotografia, negli anni Novanta Rigolini dà vita alla serie Urban Landscapes, esteso corpus d’immagini realizzate fotografando spazi urbani, come dice lui, «provando a scardinare la visione prospettica attraverso la scelta del punto di vista. È il punto di vista che costruisce l’immagine». Questo lavoro verrà esposto al Kunstmuseum di Zurigo nel 1997 col titolo Zürich – Ein Fotoportrait e in seguito al Museo cantonale di Lugano.

Sono scatti in bianco e nero, stampati in grande formato, sprovvisti di qualsiasi tipo di manipolazione, nei quali la città è spunto per la creazione d’immagini complesse, non didascaliche, costituite da spazi ambigui, con punti di vista eccentrici, ispirate ai collage costruttivisti, in cui la forma diventa il contenuto stesso.

Seguendo il suo pensiero, se è il punto di vista che infonde senso all’immagine, se è dunque fondamentalmente lo sguardo, l’azione del guardare – azione in cui si esplicita il bagaglio culturale, intellettuale ed estetico dell’osservatore – a costituire l’atto fotografico, ne scaturisce l’irrilevanza dell’operare fotografando: il lavoro di creazione può venir svolto a partire dalla pletora di materiali fotografici già esistenti. È una svolta che Rigolini elabora negli anni e che di fatto compie nel 2002, quando smette di usare la macchina fotografica per buttarsi corpo e anima nella ricerca e nell’acquisizione di archivi fotografici. Archivi di ogni sorta (ma in particolare, di ordine scientifico), che trova su internet o visitando rigattieri e mercati dell’usato: documentazioni aziendali, fotografie tecniche, di macchinari, di automobili, persino di due missioni Apollo (che attinge dagli archivi della NASA). Ma anche foto amatoriali, vernacolari.

Costituisce, così, una vasta collezione di photos trouvées, immagini scattate da autori anonimi – perlopiù per necessità funzionali, documentarie – sprovviste di un valore artistico specifico. Attraverso un mirato lavoro di selezione, Rigolini compone delle serie con cui – portando nel contempo queste immagini su un altro piano estetico – proporre una narrazione, diretta espressione del suo personale universo poetico e concettuale. Queste serie, costruite seguendo fili tematici, daranno luogo a svariate esposizioni, prima tra le quali What You See (Fotostiftung, Winterthur, 2008), come pure a diversi libri d’artista, vere opere d’arte a sé. Un campo di creazione, quest’ultimo, in cui da tempo si dedica con infaticabile passione.

Negli ultimi anni, Rigolini – che non si è mai sottratto al confronto con i cambiamenti tecnologici caratterizzanti la storia della fotografia – si è anche misurato con la produzione d’immagini generate con l’intelligenza artificiale. Ne ha fatto un uso non banale, coerente con il suo percorso creativo, portato all’esplorazione delle possibilità offerte da questa nuova frontiera tecnologica, come pure delle faglie che s’insinuano nel modello di perfezione al quale tale tecnologia (e l’ideologia che l’accompagna) pensa di tendere.

Modalità sconosciute

Di questo approccio ci parla con la sua abituale chiarezza nell’opuscolo edito in occasione del conferimento del Gran Premio svizzero di design, menzionato all’inizio: «È nella dimensione pionieristica attuale [dell’IA, N.d.r.] che tutte le possibilità sono aperte per interrogare l’immagine, la sua verità e la sua natura, con modalità finora sconosciute. Come sempre il mio approccio è concettuale, mentre non ho alcun interesse per l’imitazione del reale o per il realismo. A motivarmi è esclusivamente la potenzialità di generare opere dove l’ambiguità fra la qualità pittorica e quella fotografica tende a rendere difficoltosa l’identificazione dell’immagine».

Nel suo complesso, l’opera di Luciano Rigolini – come si è probabilmente intuito da questa breve e assai parziale introduzione – non è di ovvia e immediata lettura. Richiede di certo nell’osservatore uno spirito disposto a cogliere la sofisticata trama di concetti e rimandi che la sottende. Condizione senza la quale andrebbe disperso, oltre al senso di questo lavoro, anche il godimento estetico che ne deriva dalla sua diretta fruizione.

Godimento che può essere offerto dall’occasione di vedere i suoi lavori dal vivo, approfittando di una stimolante esposizione – una piccola antologica, si potrebbe quasi definire – proposta fino al prossimo 27 aprile dalla Fondazione Lindenberg-Museo Villa Pia, nella sua sede di Porza.