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Bibliografia

Andrea Bajani, L’anniversario, Feltrinelli, 2025.


Un racconto chirurgico di memoria e distacco

L'esattezza dello stile e l’indagine sui rapporti familiari nell’ultimo libro di Andrea Bajani
/ 03/03/2025
Angelo Ferracuti

È senza dubbio lo stile della scrittura, ciò che colpisce più di ogni altra cosa dell’ultimo libro di Andrea Bajani L’anniversario (Feltrinelli, 2025), in corsa per lo Strega. Una storia che poteva riempirsi sin da subito e fino all’inverosimile di pathos, una vicenda drammatica e, purtroppo, molto comune e nostra contemporanea – quella di un figlio, nella fattispecie l’autore io narrante, che decide unilateralmente a 41 anni di non vedere più i suoi genitori naturali e sfuggire così al potere paranoico del padre e della famiglia – è raccontata spegnendo ogni furore espressivo, spogliata da ogni enfasi drammatica, come coglie alla perfezione Emmanuel Carrère nella fascetta, scrivendo «un libro scandalosamente calmo».

In un’epoca dove media e romanzi fanno uso spettacolare dei sentimenti, lo scarto linguistico, e aggiungerei etico, è proprio questo, scrivere per sottrazione, paradossalmente raffreddare la materia incandescente della storia. Un altro elemento che caratterizza questo lungo e intenso racconto, che è anche un apice della maturità di uno scrittore in grande stato di grazia, infatti è l’esattezza del fraseggio, una misura che calibra alla perfezione azioni e rarefatti dialoghi con una lingua semplice, francescana, ridotta ai minimi termini e in virtù di questa sua nudità ancora più espressiva.

Bajani è scientifico, usa la materia dei rapporti umani come un entomologo, quella «attitudine chirurgica specifica» che gli serve per scorporare la madre dal padre che la ingloba e di cui è diventata una «emanazione», compie una indagine dall’interno della sua condizione umana e diventa il detective, il reporter che indaga su quella che immagina come «una famiglia sventurata», la sua, colta nella normalità del male, stretta tra «amore e paura» che «insieme producevano solo distruzione».

Bajani ricorda con ragionevolezza, senza rabbia, la memoria e i suoi vuoti, una memoria che inventa nel tempo e che sottrae sequenze diventando romanzesca, oppure – come ha detto qualcuno – è davvero più potente quando cancella interi pezzi di vita. Bajani esamina i reperti con il distacco di chi non sembra più toccato da quello che la memoria riporta alla luce, come se tutto l’agone di quella sofferenza fosse ormai altrove, non lo riguardi più o lo riguardi come lo spettatore che ne registra l’ineffabile, al pari di quanto accade in un libro come questo, piccolo ma di una intensità travolgente, Infelicità senza desideri di Peter Handke, dove la vita si fa miracolosamente letteratura in tutta la sua necessità.

Centrale anche qui il racconto della madre, la reclusa che «stava dentro un potere assoluto in cui il marito era la voce, e il braccio, della legge» in quella che viene chiamata «la giurisdizione», la madre vittima «dell’assolutismo del tiranno», privata di socialità, persino delle poche ritenute da lui «pericolose» amiche, privata per molto tempo del telefono, umiliata a una condizione di serva: «Mio padre teneva i conti», scrive l’autore in un passo, «guidava l’auto, stabiliva le linee dell’educazione di noi figli, si occupava della nostra istruzione, e a lei restava la gestione spicciola del cambio letti, cucina e pulizie». Il ritratto che Bajani fa di questa donna che rinuncia alla vita, «malata di timidezza» e con una «vaga zoppia», è struggente, e il racconto è sempre mirato sul corpo di lei, sulle azioni che compie, sugli atti mancati, su di lei si spinge l’indagine psicologica, mentre il padre, il perturbante, risulta fisicamente più sfumato ma è il detonatore che fa esplodere la paura, «il tragico protagonista» di questo romanzo famigliare, quello che ricattatorio e folle attraverso la violenza «pretendeva amore».

Lei, una donna che diventa sempre più distratta e indifferente. «Per lei la morte non contava nulla, esattamente come non contava niente la vita» scrive Bajani, «La sua, quella dei suoi figli, quella di suo marito, quella di tutti». Poi, dopo i tempi del telefono seguiti dai tremori, il distacco per dieci lunghi anni con la scena dell’ultimo incontro che apre in maniera fulminante il libro: «Quel giorno ho visto i miei genitori per l’ultima volta. Da allora ho cambiato numero di telefono, casa, continente, ho tirato su un muro inespugnabile, ho messo un oceano di mezzo. Sono stati i dieci anni migliori della mia vita». Ma ci si può sottrarre veramente ai propri genitori con un abbandono «semplicemente togliendo il proprio corpo di mezzo con un gesto netto e definitivo? E condannando a vivere il resto dei propri giorni, per così dire, con un arto fantasma?», si chiede l’autore e questo libro.

Alla fine, Bajani scrive dalla sua nuova vita, l’ultima è una pagina di congedo, forse l’impossibilità di chiudere un romanzo che come una ferita resta aperto, perché la vita al contrario dei libri continua con le sue infinite trame, con il suo caos. Adesso è diventato padre e quando, guidando in auto verso la scuola del figlio, incrocia il suo sguardo, scrive: «Ogni tanto sul suo viso vedo il viso di mia madre, è quello il posto dove la incontro da due anni a questa parte. Di solito è un istante poi sparisce. E non fa bene, e non fa male».