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Shani, contro l’ostracismo culturale
Il giovane musicista e direttore d’orchestra dirigerà al LAC giovedì 23 gennaio
Enrico Parola
Suonerà un programma tutto russo «perché l’arte e la musica creano ponti e avvicinano, l’ostracismo culturale è assurdo», e lo dice forte di un’esperienza straordinaria: la direzione della Divan Orchestra, creata e affidatagli nel 2022 dal suo mentore Daniel Barenboim unendo, attorno agli stessi leggii, israeliani e palestinesi, arabi, ebrei, musulmani. Dalla stagione precedente aveva ricevuto un’altra tanto gloriosa quanto onerosa eredità: la guida stabile della Israel Philharmonic Orchestra, per mezzo secolo diretta e portata in tutto il mondo da Zubin Mehta, l’altro suo padre artistico. Lahav Shani aveva poco più di trent’anni; giovane, giovanissimo per i canoni del podio, ma non certo inesperto: nel 2016, a due mesi dal concerto di debutto, la Rotterdam Philharmonic lo aveva voluto come suo direttore principale, e nel 2017 i Wiener Symphoniker l’avevano nominato direttore principale ospite.
Le due più importanti orchestre al mondo? Coi Wiener Philharmoniker aveva suonato nella duplice veste di direttore e solista a ventisei anni, coi Berliner ha diretto il concerto di San Silvestro 2021, sostituendo l’indisposto Petrenko con meno di due ore di preavviso: «Abito a Berlino, ero a casa, non c’erano problemi di viaggio. Con i Berliner ho diretto anche il debutto di Francesco Piemontesi».
Giovedì è l’ospite d’eccezione di Lac Musica: dirigerà la «sua» Israel nell’ouverture della «Covanshina» di Musorgskij, nella quinta sinfonia di Čajkovskij e, esibendosi come pianista, nel secondo concerto di Shostakovich. Trentasei anni compiuti il 7 gennaio, Shani non è più definibile solo come un astro emergente del podio: il suo status è di stella di prima grandezza nel firmamento concertistico internazionale. «Non amo parlare di carriera; amo la musica e amo fare musica, in tutte le sue forme». Il primo amore fu il pianoforte: «Sono nato nella musica; mio padre Markus dirigeva un coro, abitavamo a cinque minuti dal Centro Culturale di Tel Aviv dove andavamo a sentire concerti e opere, nel nostro palazzo c’erano musicisti; uno di loro, Shlomo Gronich, mi sentì suonare e disse a mio padre che avevo talento. I miei mi hanno sempre supportato, ma senza mettermi pressioni; quelle vennero dalla mia prima insegnante, Hannah Shalgi, cui però devo tutta la mia tecnica: se ancor oggi posso permettermi di non suonare per mesi e sedermi alla tastiera senza problemi, è per l’impostazione che mi ha dato lei, mi fa subito e sempre sentire a mio agio».
Il passaggio dai tasti alla bacchetta non fu diretto: «Durante la scuola superiore iniziai a studiare contrabbasso perché volevo fare l’esperienza di suonare in un’orchestra. Il momento dove ho provato la maggior tensione nella mia vita è stato l’assolo nella prima sinfonia di Mahler! Però, come capita a tanti orchestrali, maturavano in me idee precise su come dovessero essere certe sinfonie o concerti, diverse da quelle del direttore che ci stava guidando; così ben presto volli provare a dare io all’orchestra le mie idee». Giovedì le darà alla Israel, «in cui avevo iniziato suonando il contrabbasso; la prima volta sul loro podio fu strano ed emozionante, quando mi proposero la guida stabile non ci potevo credere». Shani è nato a Tel Aviv, come la Filarmonica: «Nel 1936, allora si chiamava Filarmonica della Palestina: vi suonavano ebrei cacciati da orchestre europee a causa del nazismo, ma anche americani, soprattutto agli ottoni, e russi, agli archi; una formazione nata per salvare esseri umani».