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Marco D’Anna, fotografo viaggiatore
Primi piani: inseguendo avventure reali e visioni prattiane, dal Canale di Beagle alla Transiberiana, il fotografo ticinese ha nutrito per anni la propria ricerca di bellezza e di significato
Stefano Spinelli
«Se qualcuno mi avesse detto che avrei scalato vulcani alle Azzorre, navigato a vela nel Canale di Beagle, fatto picnic a -40 gradi sul lago Bajkal in Siberia, scalato le piramidi Maya in Guatemala, viaggiato su treni nelle montagne Schaan in Birmania, percorso le piste dei deserti del Rajasthan in sella alle Royal Enfield, disceso il Mekong in Vietnam, scommesso agli incontri clandestini di galli a Cuba, bevuto whisky alle Orcadi, incontrato i cercatori d’oro sulle spiagge del Pacifico in Cile, rincorso i cavalli selvaggi in Mongolia, reso omaggio alla tomba di R.L. Stevenson ad Apia in Polinesia, mangiato cavallette nei mercati di Harbin in Cina, navigato nelle paludi del Suriname, cercato i pirati nel golfo di Aden in Somalia a bordo di elicotteri militari, attraversato i deserti della Dancalia, e potrei andare avanti ancora un bel po’… avrei detto: “È impossibile”. Invece ho fatto tutte queste cose con Marco Steiner nella nostra ricerca improbabile degli itinerari di Corto Maltese».
Marco D’Anna – fotografo di lungo corso, con una carriera di oltre quarant’anni, attraverso i quali ha potuto affrontare e portare a buon fine numerose sfide professionali di non poco conto – oggi raccoglie a piene mani i frutti delle sue esplorazioni, con mostre importanti in giro per il mondo, pubblicazioni, acquisizioni da parte di collezionisti.
Ancora adolescente, segue la canonica formazione di apprendista. Muove poi i primi passi lavorando per diversi giornali locali. Presto si rende però conto – ammirando, come ci dice, il senso di leggerezza dei gabbiani in volo, che una redazione mandava a fotografare per esercitare le capacità di reazione – di aspirare lui medesimo a quella libertà, di voler soddisfare il bisogno insorgente di viaggiare alla scoperta del mondo e di sé.
Approfondisce la conoscenza della materia collaborando con fotografi di fama, tra i quali Gabriele Basilico, René Groebli, Marco De Biasi, René Burri, Gianni Berengo Gardin. Nell’1986 apre il suo primo studio da indipendente. Ma è nei primi anni Novanta che gli si presenta l’occasione di conoscere e instaurare una proficua relazione d’amicizia e di lavoro con Franco Maria Ricci, editore italiano che per decenni sarà di riferimento per le sue raffinatissime pubblicazioni d’arte.
Grazie a questa collaborazione, Marco inizia a viaggiare in varie parti d’Europa – vere e proprie spedizioni, con quintali di materiale e assistenti al seguito – per fotografare opere d’arte: quadri, affreschi, sculture, chiese, giardini… L’esperienza, durata sette anni, diventa un formidabile periodo formativo durante il quale acquisisce una grande perizia tecnica, perizia che gli tornerà utile nel corso della carriera.
Non dimentichiamo che allora, per questo tipo di committenze, si lavorava ancora in pellicola positiva (e, in questi frangenti, col banco ottico) con tutta la complessità operativa che ciò comportava. Allo stesso tempo, grazie ai tanti viaggi arricchisce il proprio bagaglio culturale e artistico.
È un periodo di cui serba un indelebile ricordo: «È stato bellissimo, un grande azzardo, ma anche una grande volontà di farcela. Poi ho fatto tanti libri e tanti reportage con lui. Ovunque. Bellissimo. Ho raramente incontrato una persona così colta, così speciale e di straordinaria competenza come lui».
Periodo che però si esaurisce in forza del fatto che il lavoro, in buona sostanza, consisteva prettamente in un esercizio d’ordine tecnico, documentario. Di grande impegno, certo, ma che escludeva qualsivoglia mira interpretativa. La fotografia implica invece anche altre dimensioni – creative e di comunicazione – di cui, alla lunga, un fotografo non può fare a meno.
Nel 2004, un ulteriore incontro fortuito gli aprirà le porte ad altri innumerevoli viaggi che segneranno i suoi anni a venire. Marco entra in contatto con la società Cong che progetta la riedizione delle storie di Corto Maltese – figlie del maestro di Malamocco, Hugo Pratt – ampliandole con dei testi introduttivi e con fotografie da realizzare nei luoghi in cui le storie si svolgono. Nasce così, in questa occasione, il sodalizio tra D’Anna e Marco Steiner, scrittore e viaggiatore. Insieme, per quattordici anni, ripercorreranno gli itinerari seguiti dall’avventuroso marinaio prattiano, più altri concepiti da Steiner. Sono viaggi che, oltre a servire alla riedizione degli album di Corto Maltese, sfoceranno in molteplici altre pubblicazioni e mostre.
Prima tappa di questo lungo percorso è l’Etiopia. D’Anna e Steiner visitano poi la Manciuria, l’Armenia, l’Irlanda, la Bretagna, l’Argentina, la Turchia, le isole del Pacifico e dei Caraibi, l’Amazzonia, la Mongolia, la Siberia. Vivendo in ognuno di questi luoghi momenti e incontri straordinari. E scattando splendide fotografie.
D’Anna si prepara per questi viaggi approfondendo aspetti culturali dei Paesi che andrà a scoprire: «Vai in Argentina, ascolti Gardel, il tango, leggi Borges… In questo modo, ogni volta siamo entrati in profondità esplorando, dei vari Paesi, la cinematografia, la letteratura, la pittura, la musica soprattutto, che erano i mondi di Pratt». Partendo, poi, fanno tabula rasa delle varie nozioni acquisite e si lasciano trasportare, in modo fluido, dall’istinto e dagli eventi a cui vanno incontro, da quello che erano le occasioni e le opportunità. Spesso partono sprovvisti del biglietto di ritorno per poter godere di un massimo di libertà d’azione.
Ovviamente, degli scenari attraversati da Corto Maltese più di cento anni or sono, in tanti posti non c’è praticamente più traccia. Si tratta allora, con l’immagine fotografica, di riuscire a cogliere nei vari luoghi le emozioni e i valori – e quella certa dimensione magica – che ritroviamo nei mondi di Pratt. Da un punto di vista formale, per rendere omaggio ai disegni prattiani, alla loro genesi, D’Anna adotta l’uso di pellicole bianco e nero ad altissimo contrasto, mentre per il colore – sempre in un’ottica di omaggio, riferendosi alle raffinate colorazioni acquarellate di Pratt – impiegherà perlopiù del materiale polaroid, in sintonia con quel tipo di tonalità.
Nel fotografare i vari luoghi visitati, Marco D’Anna entra con rispetto e gentilezza nelle situazioni, non ruba mai un’immagine, ma chiede il permesso, anche perché, a dipendenza delle situazioni, potrebbe essere assai pericoloso comportarsi diversamente – e in questo modo quasi mai ha ricevuto rifiuti. Solo una volta, ci racconta, su un treno della Transiberiana, passando davanti a uno scompartimento, si è trovato di fronte a una situazione che ci descrive come dantesca e che non vuole lasciarsi sfuggire: «C’era un uomo a torso nudo, enorme, un Buddha, asiatico, con una catena d’oro. C’era del vapore acqueo, denso, all’interno dello scompartimento, e aveva tra le gambe una pentola. Stava cucinando una testa di pecora, e aveva di fianco due persone vestite di nero…». Così, insiste un po’ troppo nella richiesta e finisce per farsi rincorrere lungo i vagoni dagli scagnozzi del personaggio in questione. Una foto mancata, di cui resterà però intenso il ricordo.
Un’altra volta, invece, in Suriname, di fronte al diniego espresso da un gruppo di giovani armati di pistole, intenti a giocare a biliardo, con tanta pazienza e birre offerte riesce a farseli amici e a poter infine scattare uno splendido ritratto di gruppo (vi invito caldamente ad andare a visitare il sito marcodanna.ch, in cui trovate questa e tante altre immagini tratte da altrettante serie fotografiche).
I viaggi sulle tracce di Corto Maltese rappresentano una tappa fondamentale nel suo percorso di crescita. Viaggiare, come ci dice, se resti aperto, modifica il tuo spirito, la tua cultura, cambia assolutamente il modo di vedere te stesso e il mondo: «E questo mondo, quello di Pratt, mi ha toccato in profondità. Oggi tutto quello che faccio vive di queste esperienze profonde».
Oggi, Marco D’Anna si dedica praticamente solo a ciò che l’appassiona. Le esigenze, col tempo, riguardo la qualità dei progetti che realizza, suoi o quelli in cui viene coinvolto, si sono alzate. Nel fare, deve esserci piacere – un piacere che si traduce in bellezza – che s’instillerà nel lavoro prodotto e che, per forza, in un qualche modo verrà colto e apprezzato dall’osservatore. Ma oltre alla bellezza, ci dice, le immagini devono veicolare un messaggio, un senso profondo, trasmettere uno sguardo sul mondo che possa sollecitare domande, senza per questo dover fornire risposte.
Anche in questo risiede la potenza della fotografia, nella sua capacità etica di evocare la complessità del mondo rinnovando il nostro sguardo.