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Pretese di genitorialità
Tre testi nati e pensati per la scena nell’ambito di «Luminanza» sono stati recentemente trasposti in versione radiofonica da Audiofiction RSI
Daniele Bernardi
Ascoltando le tre produzioni del settore Audiofiction RSI realizzate in collaborazione con «Luminanza – reattore per la drammaturgia svizzera di lingua italiana», percorso di formazione da qualche anno attivo sul nostro territorio con lo scopo di offrire uno spazio formativo nell’ambito della scrittura scenica, sorge una prima, generale considerazione di carattere contenutistico: i nati alla fine degli anni ’80 e agli inizi del ’90 – Lea Ferrari, Elisabeth Sassi e Lalitha Del Parente sono di questa generazione – evidenziano, in modi diversi, il mostruoso crepaccio che divide genitori e figli.
Ma se tale crepaccio, in passato, è sempre esistito, oggi, attraverso questi esperimenti drammaturgici, esso ci appare strutturalmente aberrante. Infatti, che si tratti di figure paterne o materne, sono sempre individualisti estremi quelli che le giovani autrici ci mostrano in La scuola ticinese, Fortuna e Siamo quelli giusti.
Nel primo caso, con l’architetto Luigi – personaggio vagamente ispirato (e si sottolinea «vagamente ispirato») alla figura di Luigi Snozzi – Lea Ferrari ci mostra una figlia, Tania, schiacciata dall’idealizzazione e alla continua ricerca di un accesso a un padre trincerato nel mondo delle idee. In effetti, al di là delle frasi fatte («tu sei la cosa più importante»), per il geniale protagonista sono sempre esistite solo l’architettura e la politica, e la sua tendenza all’egocentrismo; in alcuni passaggi del testo Ferrari suggerisce quanto le posizioni assolutiste, per quanto nobili in nuce, potenzialmente ci arrocchino in noi stessi.
L’interessante lavoro di Lea Ferrari realizzato per la regia sonora di Alan Alpenfelt – creatore e responsabile del progetto «Luminanza» – è quindi strutturato su un doppio registro: da un lato vi sono chiari riferimenti all’opera di Snozzi, dall’altro si discosta da questi attraverso la spinta all’invenzione.
Pure nel caso di Fortuna, il «dramma borghese contemporaneo» ideato da Elisabeth Sassi e diretto da Flavio Stroppini, le figure genitoriali decisamente non ne escono bene. Patricia, la madre della giovane Satu Anna, si dimostra insopportabilmente incapace di assumere la posizione materna e in perenne rapporto orizzontale con la figlia.
Accentratrice e capricciosa, mette prima di ogni cosa – soprattutto prima della famiglia – la sua smania di successo in quanto scrittrice, mentre il marito di origini coreane è come confinato in una posizione sacrificale. Il risultato, naturalmente, è il rapporto confusionario di Satu Anna sia con la relazione affettiva sia con la realizzazione di sé: la sua relazione col compagno risulta infatti disastrata da un’ambizione in continua gara con l’ostilità materna.
Veniamo infine a Siamo quelli giusti, di Lalitha Del Parente per la regia di Sarah Fladt, certo il migliore dei tre testi sia per la forma sia per la precisione dell’idea (non a caso, il dramma è stato menzionato per le Giornate del Teatro svizzero 2024). Con spietata sagacia l’autrice inquadra immediatamente la questione di fondo – la pretesa di genitorialità da parte degli affettivamente immaturi – e la mette in gioco attraverso ciò che è stato – e ancora è – uno degli emblemi della società del consumo e dello spettacolo: il quiz a premi. I personaggi del grottesco e sulfureo racconto sono infatti degli aspiranti genitori impegnati a contendersi una bambina da adottare attraverso un talent-show.
Quasi fosse un Black Mirror nostrano, coi suoi protagonisti Siamo quelli giusti costringe alle corde la vanità di chi, oggi, pensa che essere padri o madri sia un diritto piuttosto che una responsabilità; mostra come la contemporaneità capitalista spacci per verità una menzogna suprema: e cioè che non ci siano fatica, dolore e prezzo da pagare in nome del proprio desiderio di famiglia; e ancora, rivela quanto la nostra visione della nuda vita sia ormai alienata dal punto di vista affettivo, al punto da farci credere che ciò che renda casa una casa siano i feticci al suo interno e non il sentimento sul quale questa parola – casa – andrebbe edificata.
Ciò detto, l’operazione di Audiofiction RSI in accordo con «Luminanza» dimostra, ancora una volta, quanto il nostro territorio, nella collaborazione fra enti pubblici e realtà indipendenti, sappia rendersi luogo di sperimentazione, occasione e confronto per chi, della parola scritta così come della sua trasposizione artistica, vuole fare un mestiere. È bene sottolineare e ricordare che tutto questo, nel mondo di oggi, non è affatto scontato e che è doveroso avere grande cura di possibilità e intuizioni del genere.