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Marlon Brando: l’ombra di un mito inquieto

Anniversario: omaggio, polemiche e nuove riflessioni a cento anni dalla nascita di un’icona immortale
/ 30/12/2024
Nicola Falcinella

Marlon Brando continua a essere un punto di riferimento e a dare scandalo. A cento anni dalla nascita, e venti dalla morte, il grande attore è stato oggetto di omaggi che hanno rinfocolato mai sopite polemiche. A fine novembre, il 42° Torino Film Festival gli ha dedicato un’importante retrospettiva in 24 lungometraggi che nelle settimane successive si è spostata alla Cinémathèque française di Parigi.

Se le proiezioni torinesi non hanno suscitato reazioni, oltre a un buon afflusso di pubblico, in Francia si sono sollevate le voci di alcune attrici e attiviste, di nuovo contro il controverso Ultimo tango a Parigi (1972), censurato e condannato all’epoca e più volte oggetto di accuse della protagonista Maria Schneider verso il regista Bernardo Bertolucci e lo stesso Brando relative alla celebre scena del burro.

La pellicola è diventata esempio di «cultura dello stupro» e di mancanza di consenso, mentre il regista ha sempre chiesto di contestualizzare il fatto in quegli anni e ribadito che sul set avvenne una simulazione del rapporto sessuale, sebbene alcuni elementi della messa in scena (e l’impiego del burro) fossero stati tenuti nascosti all’attrice per ottenerne una reazione più immediata. Un fatto che oggi non potrebbe verificarsi (è stata introdotta la figura dell’intimacy coordinator per le scene delicate), ma la polemica ricorda quanto ancora dobbiamo imparare a leggere i film e le opere d’arte, non fermandoci a informazioni superficiali o a interpretazioni del momento.

Resta che le proiezioni parigine di Ultimo tango sono state cancellate per evitare incidenti, ma creando un brutto precedente di cedimento delle istituzioni culturali: se la storia d’amore tra due sconosciuti, scatenando passioni e pulsioni primordiali, divide ancora, è il caso di confrontarsi e rifletterne a partire dal testo e non rifiutandolo a priori.

Il film di Bertolucci è centrale nel percorso di Brando e ben illustra quanto, al di là delle capacità attoriali (fu tra i primi a portare al cinema il metodo Stanislavskij) e del carisma, fu la sua presenza fisica magnetica e disturbante a renderlo unico. Per molti è stato l’attore per eccellenza, interprete tormentato, scostante e di forte personalità, capace di andare al fondo dei suoi personaggi, interprete di non molti titoli, ma in buona parte divenuti caposaldi del cinema mondiale.

Il successo gli arrise giovanissimo con Un tram che si chiama desiderio del 1951, tratto dal testo di Tennessee Williams che l’attore aveva interpretato a fine anni Quaranta sui palcoscenici di Broadway. Il film fu diretto da Elia Kazan come i successivi Viva Zapata! (1952) e Fronte del porto del 1954, la cui interpretazione gli valse l’Oscar.

L’esuberanza di Brando era apparsa già nel film d’esordio, Uomini (1950) di Fred Zinnemann, nel quale interpretava un reduce di guerra paraplegico ricoverato in ospedale. Tra i suoi film fondamentali ci sono Il selvaggio, Bulli e pupe (1950) di Joseph L. Mankiewicz, Gli ammutinati del Bounty (che a inizio anni Sessanta gli fece conoscere Tahiti), La caccia, La contessa di Hong Kong di Charlie Chaplin e Queimada di Gillo Pontecorvo (abbinato a Viva Zapata! forma un curioso dittico rivoluzionario). Si arriva agli anni Settanta, quando viveva in Polinesia francese, con pochi, epocali, lavori: Il padrino e Apocalypse Now di Francis Ford Coppola, con gli intermezzi di Ultimo tango, Missouri e Superman. Della parte finale della carriera, sempre più estranea a Hollywood, da ricordare Un’arida stagione bianca (1989) di Euzhan Palcy, storia di apartheid in Sudafrica e primo film hollywoodiano affidato a una regista afroamericana.

Forza, fascino e ambiguità sono le caratteristiche di spicco di Brando, perfetto per interpretare il ribelle o il capo carismatico. Un uomo che non ha mai distinto l’attività professionale dall’impegno politico e sociale, sostenitore di John Fitzgerald Kennedy, amico di Martin Luther King, difensore di molte cause, dai diritti civili all’antirazzismo al sostegno ai nativi americani: quando si aggiudicò l’Oscar per Il padrino mandò sul palco in sua vece la squaw Sacheen Littlefeather.

Alcuni di questi episodi sono ricostruiti nel biografico Waltzing With Brando di Bill Fishman, presentato in anteprima mondiale proprio a Torino e in uscita nelle sale nel 2025. Si tratta della storia, situata tra il 1969 e il 1974, del rapporto tra Brando e l’architetto Bernard Judge e il loro sogno di realizzare un’oasi ecologica all’avanguardia in Polinesia. Il film descrive l’attore come eccentrico, contraddittorio, ostile al sistema degli Studios (li definiva «fogna autoreferenziale» e usava la statuetta dell’Oscar come fermaporta) e ambientalista convinto. A parte l’interpretazione mimetica di Billy Zane, ancora ricordato come il «cattivo» di Titanic in quanto Cal fidanzato di Rose, il film di Fishman è purtroppo superficiale e noiosetto, poco a che fare con le ribellioni di Brando.