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Il ritorno dei Diablos Rojos: arte e caos a Panama
Dalla rivalità con i Metrobus all’orgoglio popolare, i vecchi e fiammeggianti pullman scolastici riprendono possesso della città, tra sfide quotidiane e una tradizione che resiste al cambiamento
Enrico Martino, testo e foto
Uno scintillante grappolo di torri di acciaio e cristallo che tende dritto verso il cielo sembra emergere dal mare di Punta Paitilla. Potrebbe essere Miami, ma la seduzione glamour del cuore finanziario di Panama City viene bruscamente spezzata dall’esplosione di colori, luci lampeggianti e ritmi tropicali sparati a tutto volume da stagionati bus impegnati in spericolati sorpassi da Formula Uno.
I Diablos Rojos si stanno riprendendo le strade da cui erano stati ufficialmente cacciati una ventina di anni fa in nome della sicurezza stradale e di un sistema di trasporti più moderno e confortevole. Il perché potrebbe nascondersi nel nome, «Diavoli Rossi», con cui da sempre sono stati ribattezzati per i loro colori quasi fosforescenti questi vecchi bus scolastici Made in USA, o più probabilmente per il loro modo di aprirsi la strada nel traffico convulso della capitale.
Di bus dipinti ne esistono anche altrove, da Haiti all’India e alle Filippine, ma quelli di Panama rappresentano un vertice quasi inarrivabile di horror vacui e sono uno dei tanti effetti collaterali della costruzione di una delle più complicate infrastrutture esistenti, il Canale di Panama, una via d’acqua che sale e scende per oltre ottanta chilometri tagliando la foresta pluviale per collegare l’Atlantico al Pacifico.
Storicamente le prime apparizioni di bus di seconda mano importati dagli Stati Uniti risalgono al 1911 nella Zona del Canale controllata dagli Stati Uniti, ma l’esplosione di questo sistema di trasporto, pubblico seppur gestito da privati, risale agli anni Sessanta con il rapido aumento della popolazione. Lavoratori provenienti dal Caribe anglofono, cinesi, arabi, indiani, europei e nordamericani trasformarono rapidamente una città provinciale in una metropoli multiculturale provocando lo sdegno indignato delle élite intellettuali, la ciudad letrada (città alfabetizzata) che vagheggiava l’idillico ricordo di una panameñidad a base di feste che rallegravano pueblitos popolati da allevatori di origine spagnola.
Nel frattempo, oltre tremila Diablos Rojos invadevano le strade trasportando i panameños da un quartiere all’altro senza un percorso prestabilito. Sono gli autisti a decidere che strada percorrere, a seconda del traffico e dell’umore, segnalando le destinazioni solo con svolazzanti scritte dipinte sulla parte anteriore di autobus scatenati in una spietata competizione che ricorda le corse di bighe romane immortalate da decine di B movies. Con qualche inevitabile problema, anche Wilfredo – che guida un salotto viaggiante di lamiera arroventato da un sole che non perdona – continua a dribblare concorrenti per arrivare primo alla prossima fermata, occhio spiritato e riflessi d’acciaio, mentre tuona «noi siamo il transporte de los pobres, il trasporto dei poveri, ecco cosa siamo!».
C’è poco da fare con i pochi dollari al giorno che gli rimangono in tasca, se la giornata è buona, dopo averne pagati almeno cinquanta d’affitto al padrone dell’autobus. Per farcela Wilfredo deve navigare nel magma umano di Panama City dalle tre del mattino a notte inoltrata senza perdere un colpo, un occhio al traffico e uno alla prossima fermata per giudicare al volo se ci sono clienti o se conviene buttarsi su quella successiva, e magari nel frattempo intrattenere i passeggeri con qualche battuta, «tanto per personalizzare il viaggio» come dice lui. Se non basta, per fidelizzare i clienti si trasforma in DJ alternando personalissime hit di romantiche ballate a irresistibili ritmi di salsa e reggaeton sparati dagli altoparlanti.
All’esterno, il suo arrivo è annunciato dal demenziale bestiario umano e animale che si affolla sulle fiancate rosso fuoco. Eroi pop, attrici, icone sportive e leader politici inseriti in una complicata texture di decorazioni e colori, nata dalla necessità di rendere più attraenti vecchi scuolabus decisamente bisognosi di un restyling, che devono averne viste delle belle da quando nella loro vita precedente conducevano una rispettabile esistenza in qualche sonnolenta cittadina degli Stati Uniti.
A Panama ogni bus è diventato un’installazione unica di «arte rodante», street art su ruote accessibile a tutti, a differenza di musei e gallerie d’arte. Immagini da fumetto, salaci espressioni popolari e nomi delle fidanzate dell’autista, l’ultima invariabilmente segnalata dalla vernice più fresca, in una sorta di gossip viaggiante, termometro in tempo reale di mode e passioni dell’intero paese, «Se non sei aggiornato, i passeggeri preferiscono un concorrente» conclude con olimpica saggezza Wilfredo. I Diablos Rojos da mezzo di trasporto si sono trasformati in un’autentica esperienza culturale dove i passeggeri sono obbligati a socializzare in una vicinanza obbligata a ritmo di musica e commenti sui fatti del giorno. Intorno a loro è cresciuto un vero e proprio ecosistema, dai pavos, gli assistenti dei conducenti che si sporgono urlando per annunciare il percorso e prendere i soldi, ai meccanici che si affannano a resuscitare rapidamente autobus defunti. Tutti trasudano l’amore riservato a un figlio quando parlano del loro diablo, fonte di orgoglio e autostima, sbattendo queste espressioni artistiche sopra le righe in faccia a una società che ha sempre denigrato e cercato di sradicare la cultura popolare afrocaribeña come «non-panamense».
Dopo il 2003, il crescente numero di incidenti favorito da una competizione sfrenata, un’idiosincrasia per le regole stradali degli autisti e la mancanza di sicurezza spinsero il Governo a sostituirli con trasporti più efficienti. Dal 2011 una flotta di oltre milleduecento fiammanti Metrobus dotati di aria condizionata e conducenti in uniforme ha provato a mandare definitivamente in pensione i Diablos Rojos. Ma senza successo, perché – con il tempo – inaffidabilità e prezzi troppo alti hanno messo in crisi i nuovi bus, ridotti a meno della metà per problemi di manutenzione, e i panameños sono spesso obbligati a pagare due volte, la prima per accedere alle aree riservate dei Metrobus aspettando per ore invano, la seconda per ripagare uno dei quasi settecento Diablos Rojos che scorrazzano di nuovo allegramente per le strade.
Moltissimi passeggeri, pur di arrivare in tempo sono disposti ad accettare questo verdadero calvario di bus rumorosi, affollati e insicuri dove l’assistente del guidatore spesso blocca dall’esterno la porta posteriore per impedire a qualche passeggero di scendere senza pagare. Così Gesù Cristo, l’inossidabile Madonna, Giulio Cesare, Sri Aurobindo e San Judas Tadeo, popolare protettore di cause impossibili, sono tornati a convivere felicemente con una folla di reginette di bellezza, anche se il genere che tira di più è il fantasy, almeno a giudicare dall’esagerato numero di muscolosi guerrieri vichinghi e biondissime fate che sembrano liquefarsi a ogni istante, non sai bene se per il calore del tropico o per il grasso che trasudano motori inclini a tirare le cuoia a ogni accelerata.
Non mancano campioni di skate-board che duellano con minacciosi tirannosauri e seducenti eroine sado-maso occhieggiate da scafati ragazzini, mentre i parafanghi sono riservati a proverbi popolari e ironici sfottò alla concorrenza. Si cambia decisamente soggetto sulla parte anteriore del bus con improbabili ghiacciai, foreste di pini e romantici cottage di legno ispirati a film e serie televisive americane che – per chi vive ai tropici – sono molto più esotici della lussureggiante vegetazione quotidiana.
«Le pitture devono catturare l’attenzione con colori quasi fosforescenti e scegliamo i soggetti insieme agli autisti, anche se spesso siamo chiamati in modo un po’ dispregiativo busistas» mi ha raccontato tempo fa con un po’ di amarezza Oscar Melgar, il più famoso artista di Diablos Rojos in un’officina persa nella campagna accanto al motel El Incanto. «Io che arrivo dal nulla sono riuscito a esportarli dalla strada a mostre e gallerie d’arte, compresa la Biennale di Liverpool, ma l’unico risultato che non sono mai riuscito a ottenere è che i panameños guardino questi bus come parte della nostra cultura. Ci vogliono da due a quattro settimane per completare le decorazioni e molti, anche per risparmiare, hanno cominciato a semplificarle o addirittura eliminarle, ma anche se dovessero sparire dalle strade resterebbero per sempre icone di Panama, perché guardarli è come vedere la nostra bandiera. Non puoi uccidere la cultura del tuo Paese senza neanche rendertene conto, è come toglierti un pezzo di vita, e se lo fai te ne accorgerai troppo tardi. È l’ironia di governi che utilizzano i Diablos Rojos come marketing turistico e contemporaneamente cercano di cancellarli dalla vita quotidiana. Che modernizzino pure, però molte persone povere non possono pagare biglietti più cari, e una lunga catena di microimprese scomparirà insieme a un fenomeno unico in tutto il continente americano, forse nel mondo, nato nei sobborghi più poveri».
Pionieri come Luis Evans, «El Lobo», probabilmente uno dei tanti discendenti degli schiavi-operai importati per la costruzione del Canale, sono i dimenticati precursori di un’arte collettiva nata negli anni Quaranta del secolo scorso decorando le chivas, pick-up Chevrolet e Chrysler convertiti in minibus con panche di legno. Il loro stile ha influenzato quello dei Diablos Rojos, celebrati ai tempi d’oro persino in popolarissimi concorsi pubblici per il più bello. Per due decenni, politici e urbanisti hanno annunciato la loro fine preferendo l’asettica estetica di bus più efficienti e moderni, ma i Diablos sono sopravvissuti a dispetto di tutto e di tutti perché esprimono la cultura popolare di Panama, come i murales in altre città. Sono una tela di lamiera su cui gli artisti locali esprimono la loro visione del mondo.
«Anche se ogni nuovo governo promette mezzi di trasporto più efficienti una cosa è dirlo, un’altra è farlo» sorride Elwin, che ha traghettato passeggeri per decenni su un bus che proclama dalla sua luccicante fiancata, «Solo hay respeto pa’l q’me respete», «Io rispetto solo quelli che mi rispettano». «Il Metrobus è una comida sin sal, un pranzo senza sale, mentre i Diablos rojos sono piccanti e a me spiace molto che ai nostri figli possa mancare questa esperienza. Appena entri inizi a chiacchierare con lo sconosciuto accanto a te e magari puoi incontrare la ragazza dei tuoi sogni – perché le migliori prendono gli autobus più fighi – innamorandoti degli spostamenti quotidiani. Per molti di noi il primo bacio è stato dato sui sedili posteriori di uno di questi diablos e il giorno in cui non ci sarà più sarà come un giardino senza rose, un cielo senza stelle».