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Bibliografia
Benjamín Labatut, Maniac, traduzione di Norman Gobetti, Adelphi, Milano, 2023
Amanyo Bhattacharya, L’uomo venuto dal futuro. La vita visionaria di John von Neumann, traduzione di Luigi Civalleri, Adelphi, Milano, 2024.
Lo spettacolo dell’intelligenza
Dal cinema all’editoria, sono sempre di più i titoli dedicati alla vita e alle scoperte dei geni della fisica
Pietro Montorfani
Tornasse per miracolo tra noi, Aristotele di Stagira si guarderebbe attorno dapprincipio con aria stordita, salvo iniziare poi a interpretare il mondo secondo le sue rassicuranti categorie. È da credere che, dopo una breve immersione nella nostra società e nella nostra cultura, giungerebbe presto a una semplice quanto drastica conclusione: troppa fisica, e troppa poca metafisica. Per il filosofo che ha praticamente inventato lo studio del mondo naturale, le prospettive che ci staccano da terra erano parte integrante del nostro vivere quotidiano. Impastoiati come siamo in una complessità che si fa ogni giorno più disorientante, noi siamo invece molto più terra-terra dei nostri antenati.
Forse anche per questo motivo, rivolgiamo sempre più spesso le nostre attenzioni a chi, della dimensione fisica dell’esistenza, ha provato a capirci qualcosa, non sempre con successo. Non si contano infatti i titoli e gli studi, anche di alta divulgazione, dedicati ai protagonisti della rivoluzione scientifica che ha attraversato il Novecento ed è tuttora in corso. Un tempo si faceva quasi soltanto il nome di Albert Einstein; oggi non c’è libro, film o spettacolo teatrale che non intercetti in qualche modo la vita o le scoperte di Werner Heisenberg o Kurt Gödel, Paul Dirac o Alan Turing, Robert Oppenheimer, Janos von Neumann o John Nash (quello di A Beautiful Mind, nella foto una scena del film con Russell Crow). Privi di grandi riferimenti spirituali, o aperti tutt’al più a un generico spiritualismo, ci affidiamo ai guru della scienza nella speranza che sappiano fornirci una parola, come diceva Montale, «che squadri / da ogni lato l’animo nostro informe, / e a lettere di fuoco lo dichiari». Una parola fatta più di numeri che di lettere – di STEM, più che di umanesimo – ma ugualmente necessaria alla definizione del nostro senso del mondo.
Nella grande mole di pubblicazioni arrivate recentemente sugli scaffali colpisce la coerenza del catalogo delle edizioni Adelphi, che già nel lontano 1990 avevano tradotto in italiano il capolavoro un po’ folle di Douglas R. Hofstadter (Gödel, Escher, Bach: un’eterna ghirlanda brillante) e che in tempi più vicini a noi ha contribuito a creare il caso Rovelli, dalle meravigliose Sette brevi lezioni di fisica (2014) ai Buchi bianchi (2023), passando per L’ordine del tempo (2017), per me del tutto inaccessibile ed Helgoland (2020). Di Adelphi sono pure le versioni italiane dei fortunati libri di Benjamín Labatut, lo scrittore cileno noto per Quando abbiamo smesso di capire il mondo (2021), e che ora sta facendo man bassa di premi con l’ultimo Maniac (2023), dedicato al padre dei supercalcolatori, il Mathematical Analyzer Numerical Integrator and Automatic Computer Model (MANIAC, appunto). Labatut ha colto, e sfruttato molto bene, la nostra infatuazione per queste personalità geniali e tormentate, dalla vita non sempre invidiabile, malati nel fisico e/o nella mente, i protagonisti assoluti di quello spettacolo dell’intelligenza che non tutela dai pericoli del cinismo e dell’autodistruzione. Non è un caso infatti se, da qualsivoglia direzione la si prenda (chimica, fisica, informatica, logica o matematica pura), la perlustrazione delle scoperte scientifiche più importanti del Novecento finisca sempre per aggirarsi attorno alla bomba atomica e ai suoi terribili derivati, battezzati con nomi tristemente ironici (Fat Man, Little Boy). Come se al centro di tutto non ci fosse che il grande buco nero dell’apocalisse.
Un nome che torna più di altri, affascinante come pochi per la sua parabola esistenziale e le sue capacità cognitive, è quello dell’ungherese Janos von Neumann, divenuto poi un americanissimo John, fiero nemico di tutto quanto giungeva da un’Europa devastata da nazismo e comunismo. Passato alla storia come l’uomo più intelligente della sua generazione (e di molte altre prima e dopo di lui), matematico sopraffino ma persona a tratti insopportabile, von Neumann era un edonista con la passione per le auto veloci e una straordinaria propensione per i problemi complessi, che tendeva a risolvere con disarmante facilità. Il suo nome è associato a scoperte cruciali nell’ambito della fisica quantistica, dell’informatica, della teoria dei giochi (quindi dell’economia) e infine dell’intelligenza artificiale, come se davvero – come suggerisce Ananyo Bhattacharya nella sua ricca biografia – von Neumann fosse giunto da un futuro lontano per indicarci la strada. O meglio, le strade. Perché a seguire passo passo il dispiegarsi della sua avventura intellettuale si rimane senza parole, tanti sono gli ambiti ai quali ha dedicato relativamente poche energie, giusto il tempo di fondare e inaugurare ogni volta una nuova branca della scienza, per poi passare subito ad altro. Irrequieto per natura, saltò di ramo in ramo seguendo il suo personalissimo fiuto, collaborando quel tanto che bastava con il mondo accademico o le agenzie militari statunitensi. Un Aristotele mai veramente appagato (o forse sì?), con soltanto un po’ più di cinismo dato anche dalla sua esperienza di ebreo sfuggito per un soffio alle catastrofi del XX secolo.