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Il più tipico degli einaudiani
In ricordo ◆ Ritratto di Ernesto Franco, anima della casa editrice Einaudi, scomparso la settimana scorsa
Paolo Di Stefano
Ernesto Franco (nella foto) era il più tipico degli einaudiani, pur non essendo cresciuto dentro Einaudi. Nato nel 1956 a Genova, dunque ligure come Italo Calvino, l’einaudiano per eccellenza. Franco amava Calvino e scriveva romanzi e racconti calviniani: diceva di essere debitore soprattutto delle Cosmicomiche. Come gli einaudiani storici – Pavese, Natalia Ginzburg, lo stesso Calvino – ha pubblicato i propri libri per la casa editrice in cui lavorava. Non per comodità o per furbizia ma per una irresistibile identificazione. «L’editore – diceva – prova a fare i conti con la fantasia degli altri», senza escludere di poter fare i conti con la propria. La fantasia di Ernesto era tutta rivolta al mare, che gli ha ispirato diversi libri, da Isolario, del 1994, all’ultimo, Storie fantastiche di isole vere, uscito pochi mesi fa (nella foto un dettaglio di copertina): un altro «isolario», in cui un narratore, il Pilota, che ha navigato ovunque per mete vicine e lontane, racconta al suo compagno di viaggio, incontrato nel porto di Genova, storie vere e inventate di terre e di oceani, di pirati, di fughe, di labirinti, in definitiva dei segreti che le isole (Creta, Isola di Pasqua, Tortuga, Alcatraz…) nascondono in sé. Come scrittore ottenne il Premio Viareggio nel 1999 con Vite senza fine.
«Vado pazzo per l’intelligenza degli altri», diceva Franco. È la migliore premessa per il lavoro editoriale. Un funzionario di casa editrice deve essere capace soprattutto di esercitare la curiosità e l’ammirazione per l’intelligenza altrui. Con questa idea, insieme umile e consapevole, Ernesto Franco ha costruito la sua lunga carriera, fino alla morte, sopraggiunta il 10 settembre scorso per una malattia implacabile. Laureato in Lettere nell’Università della sua città, scelse l’editoria su consiglio di Antonio Tabucchi, che gli suggerì di starsene lontano dalla carriera universitaria. Prima esperienza «artigianale» presso la Marietti, la storica casa editrice di impronta religiosa che nei primi anni 90 si era trasferita da Casale Monferrato proprio a Genova con un catalogo aperto all’ebraismo e all’islamismo, al pensiero contemporaneo (Bloch, Gadamer), alla letteratura contemporanea (tra l’altro ospitò l’esordio dei fratelli Pressburger).
Dopo un passaggio alla Garzanti, presente il bizzoso padrone Livio, Ernesto Franco arrivò in Einaudi nel 1991, sotto la direzione di Piero Gelli e grazie all’amico Vittorio Bo, allora giovane e brillante amministratore molto stimato da Giulio Einaudi. Il «principe» Giulio, che aveva fondato la casa editrice nel 1933, non ne era più il padrone ma rimaneva ben attivo e presente in via Biancamano accanto a Roberto Cerati, deus ex machina del commerciale. Nel 1994 lo Struzzo (simbolo della casa editrice torinese) sarebbe passato nelle mani della Mondadori di Berlusconi tra ovvie polemiche e conseguenti defezioni di autori (lasciarono Carlo Ginzburg e Corrado Stajano): niente di più lontano di Berlusconi dalla storia dell’Einaudi. Dopo tante crisi economiche, la casa editrice avrebbe dovuto cercare di rinnovarsi pur rimanendo nel solco di una tradizione prestigiosa da non oscurare, quella dell’impegno progressista e della modernizzazione culturale la più ampia possibile.
Ernesto Franco sceglie di puntare sulla letteratura straniera e il catalogo si arricchisce, nel corso degli anni, di una costellazione formidabile di autori, compresi molti Nobel
Una prima iniziativa in questa direzione era stata, già qualche anno prima, la collana dei Tascabili, in cui, affiancati da classici come Proust e Balzac, uscirono le scandalose Formiche di Gino e Michele, che aprivano la strada alla cultura pop poi intrapresa con decisione da un’altra collana einaudiana eterodossa: «Stile libero». Siamo nel 1996, anni di svolta. Nello scandalo generale, l’Einaudi accoglie i cantautori, i comici, i romanzi di genere, il noir, il giallo, i giovani pulp. Ernesto Franco arriva in questo clima in cui convivono i venerati maestri, con il giovanilismo e il mainstream televisivo. Nel 1998 diventa direttore editoriale sotto l’ala mondadoriana e con la benedizione del fondatore; dal 2011 sarà direttore generale.
In quell’equilibrio delicatissimo, Ernesto è stato un abile regista molto deciso a cambiare le cose e a sperimentare: abolirà, coraggiosamente, le famose riunioni del mercoledì con i consulenti. Sceglie di puntare sulla letteratura straniera e il catalogo si arricchisce, nel corso degli anni, di una costellazione formidabile di autori, compresi molti Nobel: con Yehoshua, McEwan e Ishiguro, la casa torinese potrà vantare via via Saramago, Grass, Pamuk, Coetzee, Munro, Modiano, Vargas Llosa, oltre a DeLillo, Javier Marias e Philip Roth. L’Einaudi diventa il secondo marchio editoriale italiano anche grazie ai sei premi Strega vinti negli ultimi quindici anni: la narrativa italiana è un altro cavallo di battaglia vincente. A fianco della qualità dell’amico Daniele Del Giudice, si impone la letteratura di genere, i gialli da classifica soprattutto. Senza abbandonare la saggistica di studio, e senza dimenticare un altro filone tradizionale einaudiano, i libri d’intervento, inteso in chiave non strettamente politica. Ecco due nuove collane: «Einaudi Contemporanea» (con Gadamer, Enzensberger, Perniola, Asor Rosa, Vittorio Foa…) e poi le «Vele», che nel 2003 si aprono con un dialogo tra il cardinal Martini e il costituzionalista Zagrebelsky.
Su questo stesso versante, forse memore dell’esperienza presso la Marietti, Franco aveva avviato una nuova edizione della Bibbia. La passione per la letteratura di lingua spagnola non lo ha mai abbandonato e negli anni ha tradotto e curato opere di Jorge Luis Borges, Juan Rulfo, Julio Cortázar, Alvaro Mutis (lo scrittore di mare che gli era più affine), Adolfo Bioy Casares, Ernesto Sábato, Mario Vargas Llosa, Octavio Paz. Certamente dall’amore del romanzo sudamericano e di quel felice connubio tra realismo e visionarietà nasce un altro progetto innovativo, che affida alla direzione di Franco Moretti. Si tratta dei cinque volumi de «Il romanzo», una grande opera costruita nel 2001 con il proposito di indagare l’universo del romanzo e reinterpretarlo alla luce della contemporaneità per snodi, nuclei, connessioni inconsuete.
Understatement, apertura a 360 gradi, capacità di fare gruppo e di lavorare il più possibile in armonia. Una concezione del lavoro opposta a quella del leggendario fondatore, secondo il quale le idee più interessanti nascevano dal conflitto.