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L’omaggio alla bellezza di Sorrentino
Esce in questi giorni nelle nostre sale cinematografiche l’ultimo lavoro del regista napoletano
Nicola Mazzi
Non sono molti i registi che possiedono e trasmettono uno sguardo preciso e riconoscibile sul mondo. Paolo Sorrentino è tra questi. Il suo cinema può piacere o meno, lo si può trovare più o meno formale, ma l’immaginario che riesce a creare – scavando soprattutto nel proprio passato – è unico e solo suo. Anche l’ultimo film, che arriva in questi giorni nelle sale della Svizzera italiana, è un ulteriore tassello che si inserisce nel suo percorso creativo.
L’opera è anzitutto un omaggio alla bellezza, della giovane protagonista (Parthenope) e di Napoli (del resto è anche l’antico nome della città). Siamo all’ombra del Vesuvio negli anni 50 e la ragazza (l’incantevole debuttante Celeste Della Porta, ritratta in foto), nata in una famiglia dell’alta borghesia, è già molto conosciuta per le sue fattezze e per la carica erotica che emana. Ma, lei, da sempre attirata dalla cultura e dall’antropologia, ci bada poco e si concentra sugli studi. Il film segue la sua crescita; se all’inizio è una ragazza ingenua e innocente, nel prosieguo il suo l’approccio alle cose della vita diventa più disincantato e critico. «Nel medesimo tempo, tuttavia, è sempre più consapevole della propria libertà. Proprio come la città di Napoli si sente molto libera e priva di giudizi», ha precisato lo stesso Sorrentino alla presentazione del film, sulla Croisette.
Se al centro della narrazione c’è la giovane Parthenope, ai suoi lati abbiamo figure più mature e ben riconoscibili che hanno dei ruoli definiti e limitati, ma comunque molto potenti. Tra questi, Stefania Sandrelli che interpreta Parthenope da adulta e soprattutto Gary Oldman che assume le sembianze dello scrittore John Cheever, uno dei tanti incontri che segneranno la vita e la crescita della ragazza. Figure adulte (insieme al personaggio del professore di antropologia interpretato da Silvio Orlando) che sono diventate mentori, dentro ma soprattutto fuori dal set, per la giovane attrice. Ed è interessante questa ambivalenza tra il piano cinematografico, finzionale, e quello reale. Una sovrapposizione che si osserva anche all’interno di un’opera in costante galleggiamento tra passato e presente, tra realtà e fantasia, tra vita e morte.
Non è un film immediato, non è di quelli che uscendo dal cinema esclami «wow». È un lavoro che richiede calma, meditazione e anche di una seconda e magari una terza visione per capirne le sfumature, che vanno oltre la splendida fotografia di Daria D’Antonio.
Un tempo si parlava di «The Lubitsch Touch» in riferimento allo stile di quel meraviglioso regista che è stato Ernst Lubitsch. Oggi, chi vede un film di Paolo Sorrentino capisce subito che è unico grazie ad alcuni tratti formali (inquadrature simmetriche, personaggi solitari, un linguaggio antinaturalistico e musiche che interagiscono col racconto) e come tale va guardato. Parthenope è l’ultimo capitolo di questo viaggio intimo e personalissimo da assaporare come un Aglianico, il vino coltivato ai piedi del Vesuvio, che promette emozioni intense a chi avrà il tempo di aspettare per gustarselo con tranquillità.