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Le colonne sonore della politica
La candidata democratica Kamala Harris cavalca la campagna elettorale sulle note di Beyoncé
Guido Mariani
La campagna elettorale della candidata democratica alle elezioni presidenziali USA Kamala Harris è iniziata sulle note della canzone Freedom interpretata da Beyoncé con la partecipazione del rapper Kendrick Lamar. «I vincitori credono sempre in sé stessi», questo il messaggio del brano, pubblicato nel 2016 nell’album Lemonade e che già aveva visto un suo uso politico durante le proteste sociali del 2020 scatenate dall’uccisione di George Floyd. Nei due giorni successivi al lancio della corsa elettorale della Harris, le riproduzioni di Freedom sulle piattaforme di streaming sono salite del 1300%. Il successo di un brano può essere tradotto in voti.
La politica scopre la musica
Quello tra politica statunitense e musica è un connubio consolidato e ha una lunga storia. Se George Washington venne accompagnato nella sua elezione a primo presidente USA da God Save Great Washington, una rilettura di God Save the King, per trovare il primo esempio di una canzone che scandì una campagna elettorale bisogna arrivare al 1824 con The Hunters of Kentucky, ballata che celebrava Andrew Jackson e i suoi trionfi militari contro gli inglesi. Ma la prima vera campagna moderna, combattuta a colpi di note, pubblicità aggressive, stampa schierata e quelle che oggi definiremmo fake news avvenne nel 1840. Gli Stati Uniti erano ai tempi una federazione di 26 stati, c’era ancora la schiavitù e la guerra contro le popolazioni indiane era endemica. Il presidente democratico uscente Martin Van Buren fu sfidato dall’esponente del partito Whig William Henry Harrison. L’aspirante presidente Harrison accusato a 67 anni di essere troppo vecchio e buono solo per la pensione, offriva ai suoi comizi alcolici e gadget e la sua popolarità venne consolidata dal lancio della canzone Tippecanoe and Tyler Too. Il brano, oggi diventato una pietra miliare del folk americano, richiamava nel titolo la vittoria della battaglia di Tippecanoe del 1811, che Harrison, ai tempi generale, aveva vinto contro il fiero capo indiano Tecumseh. Harrison sconfisse anche Van Buren, ma la sua presidenza durò solamente 32 giorni.
Nel 1860 la campagna di Abraham Lincoln fu accompagnata da un intero canzoniere, The Republican campaign songster,che celebrava il candidato repubblicano come una figura quasi messianica a favore della libertà e contro lo schiavismo. La musica iniziò a scandire ogni appuntamento elettorale, a volte senza esclusione di colpi. Così accadde nel 1884 e nel 1888 quando rispettivamente James Blaine e Benjamin Harrison nella loro corsa alla Casa Bianca dileggiavano in entrambi i casi il rivale Grover Cleveland con i brani Ma! Ma! Where’s My Pa? e When Grover Goes Marching Home che alludevano a un figlio illegittimo del loro antagonista. All’inizio del XX secolo le canzoni politiche vennero contaminate dagli stili Ragtime e dalle varie tendenze imposte dall’industria musicale della Tin Pan Alley newyorkese. Ma fu l’avvento della radio a trasformare la natura dei brani musicali di propaganda. Le campagne iniziarono a utilizzare le star del vaudeville che alternavano canzoni politiche a motivi popolari dell’epoca e i candidati divennero prodotti commerciali da vendere agli elettori.
L’effetto della TV
La svolta definitiva si ebbe con la televisione, le canzoni elettorali si trasformarono in jingle pubblicitari veri e propri. Nel 1952 la campagna per il generale Dwight «Ike» Eisenhower fu scandita dallo slogan I Like Ike che era l’ossessivo ritornello della canzoncina di uno dei primi spot televisivi politici della nuova era della comunicazione di massa. Nel 1960 la principale star musicale dell’epoca, Frank Sinatra, si schierò con John Fitzgerald “Jack” Kennedy. Gli dedicò High Hopes, un suo brano in cui il testo era stato cambiato per l’occasione: «Tutti votano Jack. Perché ha quello che agli altri manca».
La forza del rock e del pop
Un’ulteriore rivoluzione arrivò grazie alla stagione del rock e della pop music. A partire dagli anni 70, scomparvero progressivamente i brani scritti appositamente a favore dei candidati e le campagne iniziarono a utilizzare canzoni a tema che erano successi discografici in sintonia con i messaggi e gli scopi della campagna. L’abbassamento dell’età del voto dai 21 ai 18 anni contribuiva inoltre a svecchiare gli slogan e a cercare un maggior coinvolgimento del pubblico giovane. Questo sviluppo dell’uso della musica popolare fu altresì dovuto all’influenza della cultura degli anni Sessanta e all’impiego della musica per protestare contro la guerra del Vietnam e per sostenere il Movimento per i diritti civili.
Tuttavia le elezioni del ’68 e del ’72 videro trionfare un candidato non certo amato dai ragazzi, quel Richard Nixon che accolse goffamente nel 1970 alla Casa Bianca un Elvis Presley tornato da poco a calcare i palchi dopo anni di assenza dalle scene. Nel 1972 il candidato democratico George McGovern era stato invano sostenuto da un parterre eccezionale composto da Simon & Garfunkel, James Taylor, Quincy Jones e Carole King. Nel 1976 il democratico della Georgia Jimmy Carter capì che una campagna da outsider poteva essere vinta grazie al rock. Strinse una collaborazione con il discografico Phil Walden, ai tempi manager del gruppo southern rock Allman Brothers Band. I concerti della formazione divennero occasione per il lancio del suo programma a partire dalle primarie e per raccogliere fondi. Dirà poi il futuro Presidente: «Fu la Allman Brothers Band a portarmi alla Casa Bianca». Walden gli garantì l’appoggio di artisti quali Jimmy Buffett e Bob Dylan con cui Carter strinse una duratura amicizia. I quattro anni di presidenza Carter non furono fortunati e nel 1980 Ronald Reagan incarnò la rivincita dei conservatori. Frank Sinatra dimenticò i suoi trascorsi democratici e lo appoggiò, raccogliendo per la sua campagna 4 milioni di dollari.
Per la sua vittoriosa competizione elettorale del 1992 Bill Clinton, un altro outsider come Carter, fu accompagnato da Don’t stop dei Fleetwood Mac. Al ballo inaugurale della Casa Bianca nel gennaio del ’93, la band che all’epoca si era sciolta, si riunì appositamente per cantare il brano. Nel 2000 George W. Bush scelse come suo inno I Won’t Back Down di Tom Petty, ma l’artista non gradì affatto e si rivolse agli avvocati. Petty era amico del rivale, l’ex vicepresidente Al Gore, e suonò per lui il giorno in cui il candidato democratico ammise la sconfitta attenuando la delusione con una grande festa.
Il mondo del rock e del pop si mobilitò compatto in sostegno di Barack Obama. Il suo spot elettorale era scandito da Fake Empire dei The National. Il brano cardine della campagna fu Signed, Sealed, Delivered I’m Yours di Stevie Wonder. I discorsi del candidato divennero una canzone scritta da Will.i.am dei Black Eyed Peas. La sua elezione fu festeggiata con un grande concerto con artisti quali Beyoncé, Bon Jovi, John Legend, Springsteen, James Taylor, U2 e Stevie Wonder. Per la campagna del 2016 la prima candidata presidente donna, Hillary Clinton, scelse un repertorio tutto al femminile con i brani Fight Song di Rachel Platten, Roar di Kate Perry e Brave di Sara Bareilles. Donald Trump al contrario non ebbe alcun appoggio dal mondo musicale, le uniche rockstar che osarono sbilanciarsi in suo favore furono Kid Rock e Meat Loaf. All’evento inaugurale del gennaio 2017 quasi non si trovarono artisti disposti ad associarsi al neoeletto Presidente.
La campagna attuale
Kamala Harris non solo ha già un cavallo di battaglia con la hit di Beyoncé, ma ha anche ricevuto l’appoggio di numerosi artisti appartenenti a tutti i generi musicali quali Bon Iver, Stevie Wonder, Common, Jason Isbell, Ariana Grande, Cardi B, John Legend e Charli XCX. A favore di Trump per ora si sono spesi i musicisti country Billy Ray Cyrus e Jason Aldean e i controversi rapper DaBaby e Kanye West. The Donald è incappato anche in alcuni scivoloni legali e musicali, utilizzando nei suoi raduni, senza il permesso, canzoni di Adele, Abba, Foo Fighters e Celine Dion. Gli artisti hanno subito diffidato l’ex-Presidente. Ma qualcuno ha fatto notare anche l’infelice scelta tematica. La canzone di Celine Dion usata è stata quella della colonna sonora del film Titanic che rievoca una catastrofe; il brano dei Foo Fighters è Hero, non la celebrazione di un eroe come potrebbe sembrare dal titolo, ma una malinconica resa dei conti. Recita il brano: «Ecco il mio eroe, guardalo mentre se ne va». Scaramanzia o cattivo presagio? Lo scopriremo il prossimo 5 novembre.