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Bibliografia
Cent'anni di libri e di libertà 1924-2024,
Prefazione di Fabio Casagrande, Libreria | Edizioni Casagrande, Edizioni Casagrande, Bellinzona, 2024.
Pubblicato in occasione
del centenario della Libreria Casagrande e del 75° anniversario delle Edizioni Casagrande
Edizioni libere e indipendenti che guardano al futuro
La libreria e la casa editrice Casagrande tagliano due traguardi importanti. Un secolo di storia culturale e intellettuale ticinese che ripercorriamo con l’editore Fabio Casagrande discutendo delle sfide presenti.
Natascha Fioretti
Un secolo della libreria bellinzonese e settantacinque delle Edizioni Casagrande. Un traguardo importante la cui genesi viene raccontata nel libretto fresco di stampa Cent’anni di libri e di libertà: «Nel 1924 il mio prozio Marino Casagrande apriva a Bellinzona una libreria (quella nella foto, si trovava in via Codeborgo, ndr). Da allora sono passati cent’anni e sotto varie insegne si è sempre tenuto vivo questo luogo d’incontro tra autori, editori e lettori». Di alcuni di loro è stata raccolta la testimonianza. Per Sandro Bianconi le Edizioni Casagrande sono «una pietra miliare, irrepetibile, nella storia culturale di questo Cantone». Paolo Di Stefano ricorda la figura di Libero Casagrande (Bibi per gli amici), come «uno di quegli editori protagonisti che amano più il lavoro del retrobottega che non le vetrine mondane della cultura» (è ritratto nella foto sotto a destra con il figlio Fabio Casagrande) .
Prima di tuffarci nella storia insieme all’editore Fabio Casagrande vogliamo partire dall’attualità ripensando alla recente presentazione del libro di Dick Marty Verità irriverenti nella hall gremita del LAC. Quella serata ha avuto un enorme successo...
Quella serata è stata certamente indimenticabile sia per la carica e la schiettezza di Dick Marty nell’affrontare i problemi dell’attualità politica e della democrazia, sia per la bravura del moderatore Roberto Antonini nel sollecitarlo. Ed è stata emozionante per l’abbraccio corale delle quasi 500 persone presenti. Marty ci aveva affidato il testo definitivo a fine agosto dicendoci apertamente della malattia implacabile che stava affrontando e della necessità di uscire col libro in breve tempo. Il grande rispetto e la stima per lui ci hanno spronati a farcela. La sera di quella prima presentazione Marty ha firmato copie per più di un’ora. Il libro in Ticino è stato il bestseller dell’anno.
Qual è stata la ricetta del successo di questa pubblicazione e più in generale qual è per l’editore Casagrande la ricetta di un libro di successo per un mercato innanzitutto ticinese e poi italofono?
Nel caso di Marty, del quale avevamo già pubblicato nel 2019 Una certa idea di giustizia, ha contato certamente la statura del personaggio, cui si aggiunge la sua grande capacità di parlare a tutti, e in particolare ai giovani. Mia figlia, ad esempio, allora non ancora ventenne, ha letto il libro tutto d’un fiato, trovando in quelle Verità irriverenti una chiave di lettura per affrontare il complesso mondo in cui viviamo: fatto anche di guerre, pandemie e ingiustizie che solo uno stato di diritto credibile e una democrazia viva possono risolvere o perlomeno contenere. Più in generale, per i successi che comunque abbastanza regolarmente riusciamo ad ottenere una ricetta vera e propria non c’è. Cerchiamo sempre di pubblicare buoni libri, e se l’alchimia del momento è buona è possibile che la risposta del pubblico sia positiva. Ma c’è sempre qualcosa di imponderabile in tutto questo.
Ricordo quando in occasioni importanti come quella del Salone del libro di Torino molti nomi importanti dell’editoria italiana, molti intellettuali e scrittori venivano a salutare Libero Casagrande. Cosa ha imparato da suo padre sul lavoro e nella vita di tutti i giorni? E non ha mai sentito il peso – nel rapporto con gli altri – del confronto con la sua figura?
Credo di aver imparato ad ascoltare gli altri, che siano lettori, collaboratori o le personalità importanti che nel nostro lavoro talvolta si incontrano. Come abbiamo cercato di dire nel nostro libro, il nostro mestiere coinvolge tante persone, sia gli autori, i giornalisti, i professori, sia chi al libro lavora, dal magazziniere al libraio – tutti con percezioni e umori diversi. Come tutti i figli, anch’io mi sono confrontato con la figura di mio padre, che però non è mai stato ingombrante in casa editrice: lasciava fare a me e al mio collega Matteo Terzaghi molto liberamente, fiducioso che avremmo fatto bene il nostro lavoro.
Guardando alle diverse collane, quella più importante è senz’altro «Scrittori», e proprio di questa fa parte Infanzia e bestiario il libro di Claudia Quadri che ha vinto il Premio svizzero di letteratura 2024, premio che aveva ricevuto anche nel 2015 con Suona, Nora Blume, sempre uscito per Casagrande. Quanto conta per un editore vedere insignite le proprie opere di importanti premi e riconoscimenti letterari?
Il premio è per l’autore e riconosce la qualità letteraria della sua opera. Per l’editore c’è la soddisfazione di veder confermate le sue scelte da altri lettori qualificati. I premi aiutano inoltre, dando una grande visibilità ai libri, a rilanciare un titolo che magari non tutti avevano notato; di solito apponiamo sul volume una fascetta con la distinzione, che aiuta certamente i librai a presentarlo ai lettori.
Quanto conta invece la collaborazione e la presenza ai festival letterari? Penso a Babel che tra pochi giorni inaugura la sua nuova edizione.
Come si sa l’idea di un festival letterario a Bellinzona è nata in casa editrice, poi ci ha pensato Vanni Bianconi, allora redattore da Casagrande, a immaginarlo (e a decidere di mettere l’accento sulla traduzione) e l’associazione fondata dall’avv. Paolo Agustoni a concretizzarlo. Un po’ come i premi, i festival aiutano a dare o ridare visibilità ai libri e soprattutto agli autori che affrontano il pubblico. Quest’anno Babel dedicherà una serata ai 75 anni della casa editrice, cosa che ci fa molto onore. Ci saranno letture e interventi dei nostri autori Alberto Saibene, Fabio Pusterla, Claudia Quadri, Maurizia Balmelli e Michael Fehr, e tutti sono invitati ad assistere. (v. programma sul sito di Babel: www.babelfestival.com)
Pensando alla pluralità linguistica della Svizzera, uno dei grandi impegni della vostra casa editrice sin dagli anni Settanta è quello della traduzione. In passato, correva l’anno 2010, avete pubblicato Arno Camenisch con la sua opera prima Sez Ner, di recente è uscito Grit e le sue figlie di Noëmi Lerch ma penso anche a Leta Semadeni con Tamangur o a Peter Stamm (Andarsene, 2022; La dolce indifferenza del mondo, 2020). Nel catalogo complessivo quale rilevanza hanno le voci letterarie e narrative del resto della Svizzera?
Crediamo fortemente nell’importanza di proporre in italiano voci letterarie provenienti da altre regioni linguistiche. La collana Ch, con cui collaboriamo fin dalla sua nascita, cinquant’anni fa, è stata certamente uno stimolo importante: si tratta di un progetto che incentiva le traduzioni di opere svizzere tra le regioni linguistiche. Noi ne abbiamo beneficiato sia perché abbiamo ricevuto tramite la collana proposte di libri da tradurre, sia perché nostri libri sono stati tradotti grazie a questa collaborazione in tedesco, francese e romancio. Da questo primo stimolo, le traduzioni letterarie non ci hanno più abbandonato, e oggi rappresentano una parte importante del nostro catalogo. Sfogliandolo si può facilmente individuare il grande peso dato alla traduzione, non solo letteraria ma anche saggistica. Nei prossimi giorni uscirà sia la traduzione dal tedesco della raccolta di racconti di Michael Fehr Hotel Bella Speranza, curata da Alessia Ballinari e pubblicata proprio con il sostegno della Collana Ch, sia il saggio di Pietro Boschetti, L’affare del secolo. Il secondo pilastro e gli assicuratori, tradotto da Marco Marcacci.
Nell’introduzione al libretto commemorativo, un passaggio sottolinea la bella collaborazione con Matteo Terzaghi e menziona la linea editoriale. Come si riflette nelle varie collane?
La linea editoriale è disegnata dalle nostre collane nel loro farsi nel tempo. La nostra idea è sempre stata quella di fare buoni libri che possano incontrare tanti lettori e soprattutto durare nel tempo. Ogni proposta viene valutata per il valore letterario, per la qualità della scrittura o per la rilevanza del tema che propone. In redazione c’è un continuo confronto sul senso dei titoli da pubblicare nelle nostre collane, in cui coinvolgiamo anche, per alcuni casi, collaboratori esterni vicini alla casa editrice.
Tornando alla hall del LAC da cui eravamo partiti, i libri e gli autori Casagrande – ma non solo – sono un po’ di casa grazie alla libreria che dal 2015 lei gestisce. Perché questo interesse e quasi un decennio dopo come valuta questa esperienza?
Abbiamo creduto da subito in questo grande progetto di apertura culturale per Lugano e la Svizzera italiana in un momento in cui le critiche erano molto forti e le incognite ancora molte – tanto che, quando ci siamo candidati al bando per la gestione del bookshop, eravamo i soli partecipanti. C’è stato poi un gran lavoro di impostazione, di correzione del tiro, di dialogo costruttivo con i referenti del LAC, e ora credo proprio che il bookshop si sia rivelato un valore aggiunto per tutto il centro culturale. Il grande merito va dato a Luca Pascoletti, un bravo e colto libraio con esperienza nelle librerie Feltrinelli di Roma, che abbiamo assunto per questo progetto: è riuscito a creare una vera libreria, con un accento particolare sull’arte, la fotografia e il teatro, ma anche sulla letteratura di qualità (anche in inglese, tedesco e francese) e su una saggistica selezionata. La libreria è molto apprezzata dai visitatori (turisti e locali) ed è ormai un punto di riferimento imprescindibile per i cultori d’arte. Questo ha permesso anche alla casa editrice di lavorare alle pubblicazioni del MASI, accrescere il nostro catalogo di libri d’arte e le collaborazioni con altri musei, artisti ed editori.
Pensando alla filiera del libro, ai vari processi e passaggi, e pensando al mondo di oggi fatto in larga parte di comunicazione e immagine e per fortuna anche di incontri, quanto conta promuovere i libri con degli eventi e degli incontri pubblici? Quanto conta per la sua casa editrice?
Fare arrivare i libri, anche i migliori libri, nelle mani dei lettori non è un’impresa evidente. La comunicazione e la promozione editoriali oggi sono basilari, ma non bastano. Il libro è un concentrato di informazioni organizzato con un’architettura grafica e redazionale che segue dei canoni secolari. Oggi questi ingredienti detti anche metadati (titolo, copertina, risvolti, argomenti, descrizione, rassegna stampa, biografia dell’autore, indici, peso, numero di pagine) sono catalogati in banche dati bibliografiche che servono a tutta la filiera del libro. Ci vuole però anche un’organizzazione logistica (distribuzione) per raggiungere le librerie e i lettori. La presentazione pubblica di un libro rappresenta solitamente una piccola festa che conclude un lavoro sempre intenso, ma è anche occasione per ricevere un primo riscontro da parte del pubblico: gli apprezzamenti riguardo alla copertina, i commenti sulle tesi o la trama ecc. È qualcosa di importante perché da qui può nascere il passaparola sul valore e l’interesse di un libro. E il passaparola oggi, anche grazie ai social, può essere determinante per il successo di una pubblicazione.
Fabio Casagrande lei siede anche nel comitato di Alesi, l’Associazione librai e editori della Svizzera italiana. A marzo di quest’anno Alesi, insieme a sbvv e Livresuisse, ha redatto un documento programmatico che chiede un maggiore sostegno all’editoria: la Svizzera non fa abbastanza per i suoi editori?
Nelle prossime settimane il Parlamento si chinerà sul Messaggio Cultura 2025-28 che determinerà la politica culturale della Svizzera nel prossimo quadriennio. Dal 2016, fra le varie misure figura anche il Sostegno all’editoria, che da parte nostra è certamente visto positivamente, ma che è valutato come troppo esiguo. Finora i contributi della Confederazione per tutti gli editori della Svizzera ammontavano a 1,6 milioni di franchi annui (ca. 200’000 franchi per il Ticino). Quello che si chiede ai parlamentari è di accrescerlo a 2,8 milioni con questi argomenti: difendere la promozione di una Svizzera multilingue e culturalmente aperta; diffondere la conoscenza attraverso l’editoria per formare cittadini informati, istruiti e alfabetizzati; contribuire a migliorare la reputazione della Svizzera nel mondo attraverso l’editoria; sostenere gli editori per far fronte alla pressione economica e alle sfide della digitalizzazione; ridurre il divario che attualmente si registra tra il sostegno all’editoria e quello riservato ad altri settori culturali, anche in confronto a quanto avviene nei Paesi limitrofi. In giugno una piccola delegazione di editori ha potuto incontrare a Palazzo federale, in uno spazio conviviale, vari parlamentari ticinesi e ha discusso con loro dei nostri problemi. Nonostante la situazione finanziaria della Confederazione non sia proprio rosea anche loro hanno convenuto che l’aiuto attuale all’editoria, rispetto a quello riservato ad altri settori, è decisamente esiguo. Speriamo che abbiano la lungimiranza di sostenerci al momento del voto.
A questo proposito penso al Rotpunktverlag che esiste da molto meno tempo, dal 1976, ma che di recente, a causa delle sue difficoltà finanziarie, ha chiesto aiuto ai suoi lettori tramite una campagna crowdfunding (136mila franchi raccolti grazie a 682 sostenitori). Come curate il rapporto con i vostri lettori?
Il problema delle risorse finanziarie per affrontare le grandi sfide che abbiamo davanti è di tutte le case editrici. Mi fa piacere che l’iniziativa di crowdfunding di Rotpunkt abbia avuto successo ma credo che nella Svizzera tedesca lo spirito dell’auto-aiuto abbia più presa che da noi. Noi coltiviamo il rapporto con lettori e lettrici cercando sempre di proporre loro libri in cui crediamo e di presentarglieli al meglio tramite i nostri vari canali di comunicazione, dalla quarta di copertina alle newsletter alle presentazioni pubbliche, fino al servizio fornito nella Libreria Casagrande e nel Bookshop del LAC.
Se l’esperienza del Bookshop del LAC è segno dei tempi moderni è vero, come dice lei nell’edizione che festeggia il doppio anniversario, che bisogna ricordarsi del lavoro, e della lungimiranza di chi ci ha preceduti. Quando ha capito per la prima volta che avrebbe seguito le orme di suo padre Libero in casa editrice?
La trappola è forse stata così ben congegnata che non me ne sono ancora accorto. È stato naturale aiutarlo nell’attività aziendale: assieme si analizzavano gli investimenti e le questioni operative e organizzative e lui decideva. Abbiamo discusso molto di lavoro anche a pranzo (mia madre è stata una vera santa a sopportarci). Talvolta avevamo idee contrastanti, ma lo spirito è sempre stato buono e siamo sempre riusciti a mantenere il buon umore anche nei momenti difficili. Il libro che presentiamo è dedicato a mio padre.
Suo padre Libero le ha lasciato una grande eredità umana e professionale. Nel libretto dice che anche sua figlia sembra voler raccogliere il testimone: a lei e ai giovani lettori quale messaggio vuole dare?
Negli ultimi anni abbiamo accolto in casa editrice parecchi giovani stagisti redattori e notiamo un certo ricambio generazionale anche fra i lettori: lo si percepisce soprattutto alle fiere. Il libro ha certamente un futuro davanti a sé. Da figlio di Libero che ero, oggi sono ormai il più vecchio in azienda, ed è normale che si guardi avanti. Mia figlia è ancora ventenne e studia all’università. Qui c’è una bella professione da portare avanti con nuovi strumenti e nuove idee. Vedremo.
A proposito del titolo: perché cent’anni di libertà? In che cosa siete stati e vi sentite liberi?
La libertà di pensiero è sempre stata un valore, sia in famiglia sia in azienda. Leggere libri permette di confrontarsi con altre idee e farsi le proprie liberamente. Inoltre mio padre è stato chiamato Libero, e Libero lo è sempre stato – anche nel modo di pensare. Su questa strada vogliamo continuare noi, liberi e indipendenti.