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L’isola di San Pietro tra bellezza, storia e leggende
Situata nella parte sudoccidentale più estrema della Sardegna, Carloforte fu teatro della mitica Crociata dei fanciulli
Giovanni Medolago, testo e foto
Passeggiando sul lungomare o tra le crêuza de mä (viottoli o mulattiere) di Carloforte, nell’estremo sud/occidentale della Sardegna, non vi sfuggirà lo spiccato accento ligure nella parlata dei suoi abitanti. Meta prediletta dai velisti di mezza Europa, l’Isola di San Pietro (parte del comune, con altre isolette) ha una storia particolare. Anzi delle storie invero singolari, dove talvolta la realtà trascende nella leggenda.
Chiamata dapprima Isola degli Sparvieri da fenici, greci e romani (restano vestigia di queste civiltà), l’isola prese poi il nome di San Pietro. Sembra infatti che il Santo, nel suo viaggio verso Roma, dove poi pose «la prima pietra» del Cristianesimo, fece tappa su quest’isoletta nel 46 d.C.. Passò da Cagliari e da lì risalì l’intera Sardegna. A piedi o più probabilmente su un’imbarcazione? Non si sa.
Nel XVI secolo, l’isola venne progressivamente abbandonata e in pochi anni divenne disabitata. In quel periodo, dall’altra parte del Mediterraneo, un folto gruppo di pescatori e commercianti provenienti da Pegli (a pochi chilometri da Genova) si era stabilito sull’isola tunisina di Tabarka.
«Nel 1700 – racconta la giornalista freelance Emanuela Mortari – gli affari cominciarono ad andare meno bene, e i rapporti con i tunisini ancora peggio. Orde di pirati cominciarono a taglieggiare i pescherecci e a compiere qualche scorribanda sulla terra ferma. Si dice che i corsari fossero fiancheggiati dai bey di Tunisi e pure di Algeri».
Il bey, chi era costui? In pratica un re, seduto sul trono di una di queste due capitali; un titolo poi abolito dalla Repubblica turca che designava i sovrani di Stati all’epoca vassalli all’Impero Ottomano. Fatto sta che nel 1738 alcuni tabarchini (così sono nominati gli abitanti del posto) ricevettero dal re Carlo Emanuele III di Savoia un luogo per continuare in tranquillità i loro commerci: l’isola di San Pietro, appunto.
«Era completamente disabitata – continua la Mortari – e il re voleva ri/popolarla e trasformarla in un centro fortificato, al riparo dai pirati. Ecco l’accordo: mediante una regolare infeudazione, l’isola di San Pietro venne colonizzata dai primi 462 abitanti riscattati con una somma notevole di denaro, in gran parte provenienti da Tabarka, ma originari di Pegli (ndr: quartiere del ponente genovese; comune autonomo fino al 1926)» .
Costruire una cittadina dal nulla non fu facile, però la prospettiva di tornare a Tabarka in schiavitù e soprattutto l’operosità ligure permisero ai primi 462 abitanti di compiere l’impresa: terrazzamenti per le coltivazioni, case, strade e infrastrutture importanti come il porto realizzate a tempo di record. In onore del re fu eretta una statua nella piazza principale del paese, unico insediamento umano sull’isola che venne denominato Carloforte (Forte di Carlo; nella foto, la piazza del paese).
La proverbiale abilità commerciale ligure favorì poi una discreta crescita economica, grazie soprattutto alla pesca dei tonni e alle saline. Oggi le saline sono anch’esse abbandonate, fanno però ancora bella mostra di sé sulle strade che portano alle spiagge: è altresì facile scorgervi stormi di eleganti fenicotteri rosa, col collo perennemente piegato su quei pochi centimetri d’acqua. La pesca e poi la trasformazione industriale del tonno – unitamente a quelle parallele del corallo, che danno lavoro a parecchi artigiani – sono invece ancora oggi, accanto al turismo, una voce importantissima dell’economia locale. Numerosi i negozi e i ristoranti dalle insegne che annunciano: «Qui il miglior tonno dell’uiza (isola)».
Solo due infelici avvenimenti turbarono la quiete di Carloforte: nel gennaio 1793 fu invasa dalle truppe napoleoniche (e la statua di re Carlo venne amputata di un braccio!); nel settembre 1798 i corsari tunisini depredarono la cittadina, portandosi poi via oltre 900 malcapitati, donne e bambini compresi, costretti in schiavitù per cinque lunghi anni.
Un ulteriore insediamento di coloni provenienti da Tabarka arrivò nel 1770 e rimase nella vicina isola di Sant’Antioco, dove fu fondato il paese di Calasetta e dove ancora è possibile trovare chi parla un dialetto con inflessioni liguri, sebbene con qualche differenza rispetto ai carlofortini/tabarchini.
Infine, ecco la cosiddetta leggenda della Crociata dei fanciulli: la versione tradizionale afferma che nel maggio del 1212 un pastorello francese dodicenne di nome Stefano si presentò alla corte del re di Francia Filippo II, affermando che Gesù in persona gli era apparso mentre pascolava le sue pecore e gli aveva ordinato di raccogliere fedeli per un’altra crociata, consegnando al sovrano la lettera che diceva essergli stata affidata brevi manu dal Figlio di Dio. Filippo II passò la missiva ai teologi parigini, i quali la considerarono un falso. Ordinò quindi al fanciullo di tornarsene a casa, ma questi non si lasciò scoraggiare e iniziò a predicare in pubblico sulla porta dell’abbazia di Saint-Denis. Prometteva a quelli che si sarebbero uniti a lui che i mari si sarebbero aperti davanti a loro, come aveva fatto il Mar Rosso con Mosè, e che sarebbero così arrivati a piedi fino alla Terra Santa. Il ragazzo iniziò a viaggiare per la Francia, raccogliendo proseliti e facendosi aiutare nella predicazione dai suoi convertiti. Alla fine, la Crociata partì verso Marsiglia. I piccoli crociati si precipitarono al porto per vedere il mare aprirsi. Poiché il miracolo non avveniva, alcuni si rivoltarono contro Stefano accusandolo di averli ingannati, e presero la via del ritorno. Molti rimasero in riva al mare, ad aspettare il miracolo ancora per alcuni giorni, finché due mercanti marsigliesi offrirono ai fanciulli un passaggio gratis. Stefano accettò e così partirono sette navi con a bordo l’intero contingente di bambini. L’epilogo fu tragico: due delle sette navi affondarono per una tempesta al largo dell’isola dei Ratti, vicina a San Pietro, e molti degli occupanti morirono affogati. I fanciulli superstiti furono consegnati dai mercanti di Marsiglia ad alcuni musulmani che li vendettero come schiavi.
Secondo altri studi più recenti, l’espressione Crociata dei fanciulli deriverebbe dal fatto che nei documenti ritrovati e inerenti a quello strano movimento del 1212 si usa il termine latino puer (fanciullo) intendendo in realtà pauper (povero). A quanto pare i documenti dell’epoca insistono sulla miseria dei pellegrini piuttosto che sulla loro età. Non si esclude inoltre che la vicenda abbia suggerito ai Fratelli Grimm la loro fiaba Il pifferaio magico.
Magiche, quasi superfluo sottolinearlo, sono certamente alcune spiagge dell’isola, tutte baciate da un mare cristallino.