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Bibliografia
Mercure Martini, CTRL + ALT + DELEUZE. 99 Snippet Quatrains, Locarno, Il Verziere, 2024
Caos disciplinato
Poesia: la raffinata giocosità di Mercure Martini
Manuel Rossello
Un piccolo e benemerito editore-stampatore locarnese, il quale confeziona ancora i libri con la perizia e la dedizione di un tempo (quasi fosse la filiale ticinese del leggendario Tallone di Alpignano), ha da poco dato alle stampe una sorprendente raccolta poetica (CTRL + ALT + DELEUZE. 99 Snippet Quatrains), il cui autore risponde al nome di Mercure Martini. Egli, ancora giovane e benché restio all’autopromozione, è stato invitato a presentare la sua raccolta sia alle Giornate letterarie di Soletta sia a Poestate. I suoi più diretti riferimenti poetici, per quello che posso dire, vanno nella direzione della raffinata giocosità e si richiamano ad autori come Tomaso Kemeny, ma anche al guizzo ironico di Valentino Zeichen o alla musicalità di Giorgio Caproni. A tratti le quartine si riallacciano ai territori della slam poetry (a volte li sfiorano), della poesia automatica, della poesia visiva, del caviardage, del limerick o del graffitismo («E se il tuo muro fosse la tua tela?»). In ogni caso lo statuto è incerto, la sua arte a rischio d’incomprensione: «Sono un poeta postmoderno? /o resto nel solco della tradizione?»; «Non scrivo manifesti di una nuova/avanguardia, /ma nemmeno mi ri-/conosco nella linea lombarda».
Le quartine (il libro ne conta novantanove) procedono essenzialmente per endecasillabi e ottonari. Ma si tratta di un’approssimazione perché l’autore si concede frequenti violazioni prosodiche con inserzioni di settenari (anche doppi), novenari o versi ipermetri. Disinvoltura determinata da ritmo e sonorità che spesso prendono il sopravvento sul metro. È un gioco sapiente, che infrange le regole per assecondarle subito dopo. Ogni pezzo è preceduto da un criptico titolo-sommario, il quale tuttavia rientra a pieno titolo nel corpo del componimento, benché l’addensarsi di riferimenti non sia sempre intelligibile. All’estremo opposto troviamo spesso una pointe, tipica dell’andamento epigrammatico e aforistico.
Terminata la lettura, la somma delle quartine produce l’effetto di una moltitudine che include il caos, l’eros, il demoniaco e l’estatico. In ogni caso un caos disciplinato dalla competenza letteraria (l’autore è docente di italiano), da una cultura cosmopolita e da vaste letture che si percepiscono in filigrana. Ma il tocco è sempre leggero, scattante, qualcosa che ricorda il free jazz. Lo swing di Martini si spiega ricorrendo al concetto di duende, un estro che avvince ballerine di flamenco, toreri e alcuni poeti e musicisti. Un’energia fatta di leggerezza, per metà demoniaca e per metà angelica. Ma se la quartina è una misura agile che si presta allo scatto epigrammatico, al tempo stesso è una massa critica sufficiente per costruire una narrazione in nuce. Non sono pochi gli esempi di micronarrazioni compiute, che nell’insieme costituiscono un canzoniere e dove l’io si mette in scena e produce una performance sfrenata che cancella i limiti tra serio e faceto. Se tutto è gioco, allora il poeta diviene un puer aeternus, giocoliere del linguaggio e sempre a rischio di cadere in balia del proprio divertimento.
In questa prospettiva è indicativo il recupero della rima nella sua funzione quasi euristica. È un crinale stretto, dal quale è facile scivolare nelle cadenze di tanta rimeria fanciullesca. Ma il gioco consiste proprio nel rivivificare moduli delegittimati dai «poeti laureati».
Le quartine sono designate con il termine snippet, che può essere tradotto come frammento ma anche come «anteprima». L’immagine calzante non è solo una metafora, è una poetica. Secondo tale principio un frammento iniziale (uno snippet appunto) si autogenera in ogni direzione stabilendo via via una solidarietà tra le sue parti. Ma come sanno i botanici, le radici rizomatiche tendono a colonizzare indefinitivamente il terreno. Bene ha fatto perciò l’autore a fermarsi a novantanove componimenti, numero emblematico della non finitezza.
Se riferendosi alla poesia della Svizzera italiana non è improprio intravvedere una (prestigiosa) linea predominante che per comodità può essere etichettata come «linea Orelli-Pusterla», Mercure Martini si colloca su tutt’altro fronte, non di antagonismo ma certamente di alterità venata da una irriducibile vena parodistico-giocosa, desacralizzante, funambolica. Se c’è un indizio minimo ma significativo che distingue le due posizioni, questo è senz’altro, in Martini, l’assenza quasi totale dell’enjambement, cioè l’effetto di dissonanza ottenuto facendo collidere prosodia e sintassi. Altra differenza è il recupero della vituperata cantabilità (non più in auge almeno a partire da Montale), funzionale all’esito ludico-parodistico.
Eppure la tradizione agisce sotterraneamente perché, nemmeno troppo nascosti, si possono reperire almeno due indizi di discendenza prettamente orelliana: a p. 16 martora, probabilmente l’emblema più potente – e inerme – del poeta leventinese; e poi spiracoli (p. 54), vocabolo prezioso che fa da titolo alla raccolta del 1989. Forse l’intento di Mercure Martini è parodico, ma come era solito ripetere Guglielmo Gorni nelle sue lezioni ginevrine, la parodia è uno splendido modo, seppure eccentrico, di omaggiare un modello.