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Film Festival, è stata un’edizione luminosa
La Signora con la torcia, simbolo della Columbia Pictures, ha portato bene a questa edizione che al fascino dello studio system ha dedicato un’intensa retrospettiva
Robin Pellanda
Una donna che regge una torcia nella mano destra, levandola in alto sopra al capo in una posizione innaturale ma elegante, statuaria quasi pacata; mentre l’altra mano ferma all’altezza della vita un drappo azzurro che le ricopre trasversalmente il corpo. È l’immagine che appare prima di ogni film della Columbia Pictures da ormai un secolo. Certo, negli anni è cambiata e all’inizio non c’era nemmeno la torcia, ma su un piedistallo in mezzo alle nuvole, «la signora con la torcia» ha un che di mariano. In realtà è ispirata a Columbia, la personificazione degli Stati Uniti e infatti se si osservano con attenzione i film fino al 1937 si può notare come il drappo consistesse inizialmente in una bandiera a stelle e strisce.
The Lady with the Torch è il titolo della retrospettiva che quest’anno il Locarno Film Festival ha dedicato al centenario della Columbia Pictures. Non è la prima volta che il festival omaggia una casa di produzione, nel 2014 era stata la Titanus mentre bisogna tornare al 1984 per un omaggio alla Lux Film. La casa di produzione americana è però di altra caratura produttivamente parlando, perché pone di fronte a un catalogo che include titoli quali It happened One Night di Frank Capra (che nel 1934 fu il primo film a vincere gli Oscar nelle cinque maggiori categorie: miglior film, regia, sceneggiatura, attore e attrice protagonista), On The Waterfront (Elia Kazan, 1954), Taxi Driver (Martin Scorsese, 1976) e tanti altri capolavori della storia del cinema.
Missione ardua dunque per il curatore: come portare a Locarno 100 anni di produzione Columbia in una ristretta selezione di film? Ci ha pensato Eshan Khoshbakht, regista iraniano dalla grande esperienza nel settore, perché co-direttore e curatore del festival Il Cinema ritrovato a Bologna, che della riscoperta di capolavori del passato ha fatto un suo mantra. La scelta è dunque ricaduta su una porzione di tempo che permette una selezione rappresentativa della Columbia Pictures.
Vale però la pena prima ripercorrere un po’ di storia del cinema perché, sebbene la Columbia possa vantare oggi un catalogo fra i più blasonati, non è sempre stato così. Nell’epoca dello studio system infatti la casa di produzione fondata dai fratelli Harry e Jack Cohn insieme a Joe Brandt rientrava con Universal Pictures e United Artist fra le tre minors, mentre le altre Big Five dominavano il mercato. Metro-Goldwyn-Mayer, Paramount Pictures, Warner Bros., 20th Century Fox ed RKO Radio Pictures (l’unica il cui nome ci è meno familiare oggi ma che fu la casa di produzione della coppia Fred Astaire/Ginger Rogers e soprattutto che nel 1941 diede a Orson Welles la possibilità di realizzare Citizen Kane) rappresentavano in quegli anni una vera e propria oligarchia cinematografica. Il cosiddetto studio system prevedeva infatti che gli studios controllassero tutti gli aspetti della settima arte, dalla produzione alla distribuzione. Quindi le majorpossedevano le loro sale cinematografiche e offrivano alle sale indipendenti dei pacchetti di film, contenenti film di successo insieme ad opere meno riuscite per evitare perdite economiche.
Tornando al presente sono 44 i titoli selezionati da Khoshbakht per Locarno77 che celebrano il centenario della Columbia, da Wallstreet di Roy William Neill (1929) fino a Ride Lonesome di Budd Boetticher (1959). Un arco di trent’anni che include autori come Frank Capra, Howard Hawks, Fritz Lang e che rappresenta «l’epoca d’oro della Columbia ripercorrendone la stupefacente ascesa da Poverty Row (termine gergale usato a Hollywood dagli anni 20 agli anni 50 per riferirsi a una varietà di piccoli studi cinematografici di serie B) a grande potenza hollywoodiana». Un periodo che coincide anche con la presidenza di Harry Cohn, produttore che emerge in modo trasversale fino a diventare emblematico quasi quanto Monroe Stahl, il Last Tycoon dell’opera incompiuta di Fitzgerald, anche se con un carattere decisamente più sanguigno. Un periodo in cui la Columbia era conosciuta più che altro per film a basso costo e di rapida produzione (i cosiddetti B movies).
Ma non c’è solo questo: lo spettro scelto permette anche di conoscere almeno tre innovazioni tecniche del cinema. La prima passa quasi inosservata perché la selezione inizia poco dopo il suo avvento, ma è fondamentale segnalarla perché cambia tutto: è l’arrivo del sonoro nel cinema. La seconda è il colore, che nel cinema – peraltro come il suono – c’è sempre stato, ma grazie alla Technicolor (una tecnologia che sarebbe poi diventata un monopolio fra gli anni 30 e gli anni 40) diventa possibile avere la pellicola a colori. E quanto sono sgargianti i colori della Technicolor! Mai New York sarà così vivida come sulla celluloide di My Sistereileen (Richard Quine, 1955). E infine il formato: l’immagine si allarga grazie alle lenti anamorfiche e arriva il CinemaScope (2,39:1), così il west di film come The Last Frontier (Anthony Mann, 1955) risulta ancora più vasto.
La retrospettiva ci permette così di (ri)scoprire come il cinema evolva sempre sia tecnicamente che artisticamente. E scoprirlo in sala è ben diverso che scoprirlo a casa o sui libri di storia. Perché c’è la possibilità di apprezzare una piccola magia in più. Quel fascio di luce crepitante che attraversa la sala sopra le nostre teste. Sì, perché il 35mm non è scomparso e guardare un film proiettato su pellicola non è solo vintage ma anche un’esperienza di cinema per chi, come il sottoscritto, non ha vissuto l’epoca in cui il cinema era fatto di celluloide. E lo si può fare proprio al GranRex dove il proiezionista Jean-Michel Gabarra si occupa delle pellicole (26 dei 44 film sono in 35mm) fornite dalla Sony (proprietaria della Columbia) e le proietta su due Kinoton FP 30 E in serie: un’altra luce che illumina Locarno.