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Adolescenze tossiche
Intervista a Saulė Bliuvaitė che a Locarno presenta Toxic
Giorgia e Muriel Del Don
Cosa significa crescere alla periferia di città industriali che si sono trasformate in deserti? Come fare per sopravvivere in un ambiente al contempo ostile e affascinante che non lascia spazio ai sogni? Nel suo primo potente lungometraggio Toxic, selezionato nella Competizione internazionale del Locarno Film Festival, la giovane regista lituana Saulė Bliuvaitė (nella foto), diplomata all’Accademia lituana di musica e teatro, sceneggiatrice, regista e montatrice risponde a queste domande attraverso la sua esperienza personale. Cresciuta nella stessa città ritratta nel film, la regista filma le sue protagoniste con il coraggio di chi non ha paura di nulla.
La voglia di fuggire da una realtà soffocante che non offre più nulla nutre Marija (Vesta Matulytė) e Kristina (Vesta Matulytė), le giovani protagoniste spingendole a fare scelte rischiose come quella di frequentare una più che ambigua scuola locale di modelle dove un’altrettanto ambigua «direttrice» promette alle sue protette un futuro migliore. Qual’è però il prezzo da pagare per realizzare il proprio sogno? Quali sono le insidie che si nascondono dietro un mestiere, quello di modella, che sembra troppo bello per essere vero? Attraverso la storia di adolescenti che vivono in ambienti tossici, attorniate dalla violenza, la giovane regista lituana ci mostra il lato oscuro dell’adolescenza. Osservando con attenzione i corpi dei suoi personaggi, Saulė Bliuvaitė ne esalta la bellezza, le apparenti imperfezioni che li rendono unici. Prima di essere presentato al Locarno Film Festival (proiezione il 15 agosto al Palexpo Fevi alle 14.00) abbiamo avuto l’occasione di discutere con Saulė Bliuvaitė della genesi del suo film, del suo rapporto viscerale con il cinema e della fragilità dell’adolescenza.
Abbiamo letto che lei condivide molte cose con la protagonista. Possiamo parlare di un film parzialmente autobiografico?
È difficile da dire, alcuni elementi sono di finzione mentre altri derivano da esperienze vissute in prima persona. La maggior parte delle scene sono state filmate nella mia città natale, nella zona dove sono cresciuta, in un universo che mi è molto famigliare. Come le protagoniste, anch’io nella mia adolescenza volevo diventare una modella. A quell’epoca, specialmente in Lituania, molte ragazze vedevano nelle agenzie di modelle l’occasione per viaggiare all’estero. Il contesto fuori controllo nel quale evolvono i personaggi è stato anche il mio. Non è facile quando hai tredici, quattordici anni sopravvivere in un ambiente del genere. Ho davvero cercato di mettere in scena tutte queste esperienze, queste emozioni, anche le più difficili e le più dure, il fatto di essere un’adolescente che evolve in un mondo di adulti in cui tutti vogliono rubare un pezzo di te, approfittare dalla tua vulnerabilità. Sebbene la desolazione, la sensazione di pericolo palpabile contraddistinguano tutto il film, le protagoniste non perdono la loro ingenuità e come tutte le adolescenti e gli adolescenti, si innamorano, danno il loro primo bacio. Il film è anche una sorta di analisi sguardo adulto a posteriori che faccio dell’adolescenza.
Dove ha trovato le sue attrici e come hai lavorato con loro?
È stato un processo molto lungo, c’è voluto tempo per conquistare la loro fiducia. Il casting è durato più di tre anni. Una volta trovati i nostri attori e le nostre attrici abbiamo fatto alcuni workshops di gruppo per capire le dinamiche. Devo ammettere che è stato molto complesso trovare le protagoniste perché, in Lituania, non ci sono attori minorenni, solo dei «nuovi talenti» e io volevo trovare attori che avessero veramente tredici o quattordici anni. Come spesso accade, sarebbe stato molto più facile scegliere delle attrici più vecchie per interpretare delle adolescenti, ma io volevo captare la fragilità dell’adolescenza così com’è, il tentativo di apparire più grandi di quello che si è rimanendo però ancora bambini. Non è stato semplice fare interpretare a delle minorenni le scene di violenza. Abbiamo parlato del copione, ho cercato di spiegarglielo, abbiamo lavorato sull’improvvisazione, ci siamo prese il tempo di giocare e capire ciò che succede nel film. Per me era importante che non si affezionassero troppo troppo ai personaggi.
Toxic è un film velenoso che ricorda universi cupi ma terribilmente affascinanti come quelli di Christiane F. (Noi, i ragazzi dello Zoo di Berlino) in cui l’infanzia sembra svanire in un batter d’occhio. Come regista dove coglie le sue ispirazioni?
Ha menzionato uno dei film che mi hanno ispirato, ossia Christiane F., un film che ho visto molto tempo fa e nel quale, come dice lei, «l’infanzia sembra sparire in un batter d’occhio». Mi piace anche molto l’universo dark ma ironico di Harmory Korine, la sua stranezza, i suoi personaggi strampalati. Sono appassionata di film che ritraggono le periferie americane, le vite ai margini. Mi piace la scrittrice messicana Fernanda Melchor che scrive storie oscure in cui si mescolano realismo magico e violenza. Adoro gli artisti che giocano con l’oscurità e creano opere d’arte bizzarre e uniche.
Nel suo film, che parla di aspiranti modelle, il corpo e il rapporto con esso non è per forza centrale. Può parlarci di quest’aspetto?
Ogni personaggio ha una relazione molto personale con il proprio corpo, alcuni come la protagonista che zoppica, il ragazzo con un occhio di vetro o la nonna a cui tremano le mani, hanno delle fragilità. Nel film ho voluto riflettere sul fatto di potere o meno controllare il nostro corpo in modo che si conformi a certi standard. Già durante i casting riflettevo su come ritrarre questi corpi e, piano piano, vedevo sempre più bellezza e unicità in ognuno di loro. Al contrario, l’apparente bellezza di tutte le ragazze che cercano di conformarsi agli standard del mondo della moda non mi interessa. Trovo molto più affascinante la diversità e volevo che questa si opponesse all’oscurità che traspare dal mondo della moda.
Toxic è il suo primo lungometraggio. È stato difficile produrlo?
Bisogna sapere che, in Lituania, abbiamo un sistema di fondi dedicato alle opere prime. Il 90% di tutti i fondi del film proviene da qui, dunque non abbiamo dovuto trovare degli investitori. In queste circostanze, i registi e le registe hanno la libertà di fare film senza preoccuparsi troppo di quanti lo vedranno e di quanti incassi farà. Concretamente, la parte più difficile è stata la produzione stessa perché i soldi messi a disposizione dal fondo non sono molti e bisogna fare molta attenzione a non sforare. D’altra parte questa ristrettezza di mezzi ci impone di riflettere con attenzione su come raccontare le nostre storie, su come creare i nostri universi. E si possono fare cose fantastiche anche con pochi mezzi e forse, se ce ne fossero di più, i film sarebbero diversi.