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Ritratto di signora
Il Pardo d’onore a Jane Campion
Nicola Falcinella
Si racconta che negli anni 80 Jane Campion, regista emergente che aveva girato alcuni cortometraggi, come Peel vincitore della Palma d’oro a Cannes 1986, avesse visto a teatro una giovanissima Nicole Kidman restandone colpita tanto da mandarle un biglietto di incoraggiamento. L’attrice australiana sarebbe diventata in fretta la star che conosciamo e la regista neozelandese l’avrebbe chiamata qualche anno dopo per il ruolo da protagonista di Ritratto di signora (1996). La pellicola tratta dal romanzo di Henry James avrebbe dovuto costituire il passo della conferma per Campion, reduce dal successo planetario di Lezioni di piano, che l’aveva fatta diventare la prima donna a vincere la Palma d’oro a Cannes e la seconda, dopo Lina Wertmüller, a guadagnarsi la nomination quale migliore regista all’Oscar. Il film fu però accolto tiepidamente da pubblico e critica e diede avvio a una fase di alti e bassi della sua carriera. Jane Campion, che venerdì 16 sul palco della Piazza Grande di Locarno ritirerà il Pardo d’onore (la quarta donna dopo Kira Muratova, Agnès Varda e Kelly Reichardt), non può essere limitata né ai primati né al suo film più famoso, ancora affascinante, che sarà proiettato in seconda serata dopo la premiazione.
Figlia di un’attrice e un regista teatrale, studi in antropologia e belle arti a Sydney, la giovane inizia presto a girare cortometraggi e faticosamente riesce a entrare alla televisione australiana, dove realizza il primo lungometraggio, Le due amiche. L’esordio sul grande schermo arriva con Sweetie (1989), un dramma familiare presentato in concorso a Cannes, facendosi notare per i contenuti espliciti e provocatori e pure uno stile e una voce decisamente originali.
Già si delineano elementi ricorrenti del suo cinema: la malattia mentale, la disabilità, i corpi che sfuggono ai canoni consueti, le figure femminili insolite. Ancora più dirompente è Un angelo alla mia tavola (1990), vicenda biografica della poetessa sua compatriota Janet Frame, questo presentato alla Mostra di Venezia ottenendo il premio speciale della giuria e altri riconoscimenti, come il premio Elvira Notari intitolato alla napoletana pioniera del cinema italiano. Cresciuta in una famiglia povera, numerosa e segnata da diverse tragedie (le morti delle sorelle), Janet è riccia e rossa di capelli, piena di vita e sogna di fare l’insegnante finché a scuola scopre la poesia. Dopo una crisi, non più ritenuta adatta all’insegnamento, ricoverata in ospedale psichiatrico e sottoposta ad elettrochoc, riesce a evitare la lobotomia solo perché un suo libro pubblicato nel frattempo ha vinto un importante premio letterario. La scrittrice si troverà costretta a viaggiare in Europa per sfuggire alle convenzioni sociali e all’atmosfera opprimente, altra costante del cinema di Campion. Lezioni di piano (1993) comincia da dove era finito il film precedente: Ada, musicista muta con una figlia, sbarca in Nuova Zelanda (indimenticabili le scene dei bagagli sulla battigia con la marea che sale e, ovviamente, il pianoforte sulla spiaggia) per sposare un uomo che non conosce, mentre Frame tornava in patria per provare a ricominciare. Lezioni di piano, arricchito dalla magnetica interpretazione di Holly Hunter e dalla presenza insieme selvaggia e gentile di Harvey Keitel, oltre che dalle musiche di Michael Nyman che hanno fatto scuola, è ormai un classico del melodramma e del triangolo amoroso: pur ambientato oltre un secolo fa è molto moderno e sofisticato nella realizzazione.
Altro dramma in costume è Ritratto di signora, elegante tanto da sembrare calligrafico, ma potente con la mano della Campion che, come le sue protagoniste ribelli e incapaci di stare dentro schemi imposti da altri, sa strappare i veli e i drappi al momento giusto: non ingannino l’attenzione nella ricostruzione e la cura formale.
I successivi Holy Smoke (1999) e In The Cut (2003), possono essere considerati insieme, sebbene molto diversi, per i risultati insoddisfacenti che indurranno la regista a diradare gli impegni. A riportarla al successo sarà Bright Star (2009) incentrato sulla vicenda del poeta romantico John Keats e il suo amore con Fanny Brawne. Un film elegante e sottilmente tormentato e nervoso, mai rassicurante che ne conferma la capacità di affrontare artisti non convenzionali e di parlare di poesia al cinema senza banalizzarla.
Dopo una parentesi tv con la serie Top of the Lake, la neozelandese torna al cinema con Power of the Dog e ai premi importanti: miglior regista alla Mostra di Venezia e nomination all’Oscar. Un western crepuscolare ambientato nel Montana del 1925, che mette in discussione i ruoli maschili, parla di omosessualità e porta un pianoforte nel ranch, perché tutti i film di Jane Campion sono legati tra loro da fili plurimi che la rendono cineasta ancora più complessa e interessante, oltre che virtuosa, di quanto possano far pensare presi singolarmente.