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Dove e quando

Calder. Sculpting Time.

Museo d’arte della Svizzera italiana – LAC Lugano.

Fino al 6 ottobre 2024.

Orari: ma-me-ve 11.00-18.00; gio 11.00-20.00; sa-do e festivi 10.00-18.00.

www.masilugano.ch


La rivoluzione leggiadra di Alexander Calder

Al grande scultore americano il Museo d’Arte della Svizzera italiana dedica un’imperdibile monografica
/ 06/08/2024
Alessia Brughera

L’arte di Alexander Calder costituisce uno degli esempi di maggior interesse di una vena innovatrice, libera e fantasiosa, capace di dar vita a creazioni che ancora oggi, a distanza di novant’anni da quando hanno visto la luce, rimangono tra le testimonianze più singolari in ambito scultoreo. Figura tra le più significative del secolo scorso, Calder, nato in Pennsylvania nel 1898, ha sovvertito il modo di percepire la scultura. Davvero profondo, difatti, è stato l’impatto che ha avuto sullo sviluppo del linguaggio plastico, tanto da essere considerato il «padre» di molte delle ricerche artistiche moderne e contemporanee.

Cosa è stato a rendere così rivoluzionarie le sue opere? Rispondiamo a questa domanda con un’altra domanda, quella che Calder si è posto negli anni Trenta del Novecento ragionando sulle potenzialità ancora inesplorate della scultura: «Perché non mettere in movimento le forme plastiche? Non mi riferisco a un semplice moto traslatore o rotatorio, ma a vari movimenti di natura, velocità ed estensione diverse combinati in modo da ottenere un insieme conseguente. Così come si possono comporre i colori e le forme, allo stesso modo si possono comporre i movimenti». Semplice e geniale.

È così che introducendo il dinamismo in una forma d’arte statica come la scultura, Calder ne ha oltrepassato i confini tradizionali, ampliandola e aprendola alla dimensione temporale. «Se è vero che la scultura deve scolpire il movimento nell’immobilità, sarebbe sbagliato apparentare l’arte di Calder a quella dello scultore. Egli non suggerisce il movimento, lo capta», scriveva Jean-Paul Sartre. E continuava: «Grazie a materie inconsistenti e vili costruisce strane combinazioni. Sono risonatori, trappole, pendono all’estremità di uno spago come un ragno al termine del suo filo oppure si rannicchiano su un piedistallo, senza vita, ripiegati su sé stessi, falsamente addormentati; un soffio d’aria vagabondo vi rimane imprigionato, subito li anima, essi lo canalizzano e gli danno una forma fuggevole: un Mobile è nato».

Sono proprio le sue sculture cinetiche chiamate mobiles, termine coniato da Marcel Duchamp, a incarnare questa rivoluzione. Si tratta di manufatti leggeri e colorati, dall’equilibrio calibratissimo, che instaurano un dialogo inedito con l’aria sfruttando gli effetti ambientali dell’atmosfera di cui rivelano il movimento. Queste creazioni, realizzate con i materiali più disparati, dal metallo alla corda al legno, sono allo stesso tempo invenzioni liriche e composizioni tecniche, quasi matematiche, i cui elementi sospesi e astratti si muovono e si bilanciano in un’armonia mutevole. Leggiadri, ludici e ironici, i mobiles di Calder sono appesi in modo che il minimo spostamento di una parte provochi il moto delle altre, in una sorta di reazione a catena. Attivate anche dal più piccolo alito di vento, le loro movenze non sono mai caotiche ma sempre delicate e fluide.

Calder approda a questi lavori attraverso un percorso che incomincia sin dalla sua giovane età, nato com’è in una famiglia di celebri artisti. Gli studi di ingegneria segnano in maniera indelebile il suo modus operandi, sebbene dopo la laurea lo stesso Calder affermi che questa disciplina non gli avrebbe mai permesso «di giocare abbastanza con l’ingegno». Da qui la scelta di diventare uno scultore. Nel 1926 arriva a Parigi, dove frequenta l’Académie de la Grande Chaumière. In questi anni è il Surrealismo ad avere un’influenza molto forte sugli artisti, gettando le basi di una nuova visione. Nel periodo parigino Calder stringe amicizia con Jean Arp, Marcel Duchamp, Fernand Léger e Joan Miró e inizia a creare il suo emblematico Cirque Calder, un’opera-spettacolo in miniatura, di ispirazione circense, composta da piccole sculture in movimento realizzate con filo metallico, spago, legno, stracci e cuoio. Una sorta di prologo dell’arte cinetica a cui avrebbe dato vita negli anni seguenti.

Non è difficile per Calder conquistare così la stima del sofisticato mondo parigino con la sua spontaneità e il suo umorismo, qualità già tanto care a dadaisti e surrealisti. L’incontro poi con Piet Mondrian, nel 1930, è per lui fondamentale, una vera e propria folgorazione che lo porta ad aprirsi all’astrazione. Sono i molteplici esperimenti per sviluppare la scultura astratta ispirata dalle opere neoplastiche di Mondrian a condurlo infatti alle prime vere creazioni in movimento, azionate inizialmente per mezzo di manovelle e pulegge. Alla fine del 1931 prendono vita i più delicati lavori capaci di oscillare da sé grazie alle correnti d’aria, esposti l’anno seguente alla Galerie Vignon e ribattezzati appunto mobiles, per rimarcarne le proprietà cinetiche e l’irriducibilità a una forma precisa.

La mostra ospitata al Museo d’arte della Svizzera italiana, nella sede del LAC, omaggia il grande scultore americano presentando la più completa monografica a lui dedicata da un’istituzione pubblica elvetica nell’ultimo mezzo secolo. La rassegna è davvero di grande impatto, complice la scelta di allestire le opere in un ampio spazio senza pareti, così da regalare al visitatore una suggestiva panoramica delle creazioni esposte.

I lavori radunati a Lugano provengono da importanti collezioni pubbliche e private internazionali nonché dalla Calder Foundation di New York e documentano la produzione dell’artista dal 1931 al 1960, partendo cioè dalle sue prime astrazioni o sphériques per arrivare ai mobiles, agli stabiles, agli standing mobiles e alle constellations. In tutto sono più di trenta opere che le curatrici Carmen Giménez, esperta mondiale di Calder, e Ana Mingot Comenge hanno selezionato come significative per documentare le tappe di un percorso segnato dalla sperimentazione pionieristica e da un approccio all’arte fantasioso e giocoso.

Tra le prime sculture che testimoniano l’adesione di Calder all’astrazione, lavori che lo stesso artista descrive come densités, sphériques, arcs e mouvements arrêtés, troviamo Croisière, del 1931, in cui i volumi curvilinei sono delineati da sottili fili metallici. Ecco poi alcuni dei suoi mobiles, capaci di afferrare e plasmare il movimento generato dal nostro, seppur delicato, passaggio accanto a loro. Eucalyptus ne è uno dei più noti e importanti (presentato per la prima volta al pubblico nel 1940 alla Pierre Matisse Gallery di New York) nonché tra i più rappresentativi della capacità dell’artista di ottenere quel senso di aerea leggerezza e insieme di potenza. Arc of Petals, dell’anno seguente, è un altro esempio di questi organismi metallici dalle forme quasi impalpabili che vivono a metà strada tra fragilità e solidità e che ammaliano per la loro sofisticata armonia.

Nella rassegna luganese sono presenti anche alcuni stabiles di Calder, come Funghi Neri, del 1957, opere il cui nome è stato coniato da Jean Arp per definirne la natura non cinetica, e una scelta di constellations, chiamate così da Marcel Duchamp e James Johnson Sweeney, sculture appese alla parete ad altezze inusuali realizzate negli anni Quaranta con fili metallici e legno poiché in quel periodo di guerra era difficile per l’artista reperire lastre di metallo.

Osservando i lavori di Calder ci piace appropriarci ancora delle parole di Sartre per descrivere le sensazioni provate: «Non si tratta di darvi un’occhiata superficiale; è necessario instaurare un rapporto e lasciare che il fascino faccia effetto. Allora l’immaginazione si compiace di queste forme pure che si scambiano, libere e regolate al tempo stesso. I movimenti delle opere mirano unicamente a piacere, a incantare i nostri occhi, eppure hanno un senso profondo e quasi metafisico».