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L’essenza del viaggio e dell’esplorazione

A Fontanellato, il dedalo di sentieri più grande del mondo fatto in canne di bambù noto con come il labirinto di Masone
/ 29/07/2024
Luigi Baldelli, testo e foto

Oggigiorno, e il più delle volte, i viaggi sono programmati per filo e per segno. Si conoscono già la data di partenza, i luoghi da esplorare, il tempo per riposarsi e il tempo per comprendere, si sa già dove dormire e dove mangiare, cosa visitare e cosa no; tempi e luoghi. Difficilmente si esce da una strada già tracciata. Eppure il bello del viaggio sta anche nella scoperta, nel cambiare strada e direzione, uscire dalla via maestra per perdersi e scoprire cose nuove e poi ritrovarsi ancora sul percorso principale per riprendere il viaggio, e andare avanti verso nuove piccole o grandi scoperte.

Il viaggio è divertimento, spensieratezza ma anche un modo per imparare a conoscerci, per mettere alla prova paure e certezze, e soprattutto per alimentare la nostra curiosità. Se non si ha tempo e modo di affrontare un viaggio lungo dove prendere da soli le proprie decisioni, si può provare, in piccolo, a fare la stessa esperienza dentro un labirinto, simbolo per eccellenza di viaggio esteriore e interiore.

Non lontano da Parma, a Fontanellato, si trova il labirinto più grande del mondo realizzato in canne di bambù: il labirinto di Masone. Costruito tra il 2005 e il 2015 dal nobile Franco Maria Ricci (1937-2020) famoso in tutto il mondo come collezionista d’arte ed editore, sorge accanto alla casa museo sede di mostre permanenti di sculture e disegni che spaziano dal Cinquecento al Novecento.

Il labirinto si espande su circa sette ettari di terreno per un percorso di circa tre chilometri e le pareti dei suoi viali sono interamente realizzate con più di trecentomila canne di bambù. Geometricamente, la pianta quadrata rimanda ai labirinti dei romani, mentre le spire che muovono verso il centro ricordano quello cretese, il più noto tra i labirinti.

Il labirinto fu inventato più di 5mila anni or sono e la sua costruzione si è tramandata attraverso le epoche, dai greci ai romani, al Medioevo e nei tempi moderni. Una delle grandi fantasie dell’umanità. Prima di realizzarlo, Franco Maria Ricci – da sempre affascinato dai labirinti – aveva parlato a lungo di questo suo desiderio con un caro amico, che era nientemeno che lo scrittore argentino Jorge Luis Borge.

Come in tutti i labirinti, l’ingresso sarà anche la porta d’uscita, ma solo quando verrà trovata la strada giusta. Appena entrati ci si ritrova immersi in alte gallerie di canne di bambù e foglie verdi. Dopo pochi metri si è subito confrontati con il primo dilemma: svoltare o andare diritti? Non dimentichiamoci che il fine del labirinto è arrivare al centro dello stesso, benché tutto dipenda da come ci si arriva.

I viali, puliti e pianeggianti e senza barriere architettoniche, invogliano subito al cammino. Non ci sono indicazioni, quindi perdere l’orientamento, girovagare e ritrovarsi nello stesso posto, fa parte dell’esperienza. E, si sa: è bello perdersi, ma è anche bello a un certo punto ritrovare lo stimolo per proseguire, andare avanti nel viaggio e scoprire se poi alla fine la strada intrapresa è quella giusta, se la decisione di voltare a destra invece che andare diritto è stata quella corretta, se rimarremo delusi oppure se ci emozioneremo nel vedere cosa ci sarà in fondo al vialetto, se dietro a quell’angolo la stradina porterà verso il centro del labirinto.

Durante la passeggiata incontriamo coppie che camminano mano nella mano, comitive di ragazzi che ridono e si divertono nel gioco di trovare il percorso giusto. Camminiamo accompagnati dal fruscìo delle piante di bambù, e dalla luce del sole che filtra tra le foglie e rende piacevole la passeggiata, tanto che non ci accorgiamo del passare del tempo.

La logica a volte ti fa dire di seguire il gruppo, che forse loro sanno come arrivare, altre volte invece l’istinto ti suggerisce di cambiare strada. Ogni viale sembra uguale a quello precedente. Ma non bisogna perdersi d’animo e nemmeno aver fretta: non serve per forza continuare a spron battuto per affrontare il viaggio prendendo decisioni a raffica, ci si può anche prendere il proprio tempo per pensare e riposarsi su una delle panchine che ogni tanto si trovano lungo il percorso.

Dall’altro lato della parete di bambù sentiamo risate e grida di bambini che corrono sotto l’occhio attento dei genitori. Non è inusuale sentirsi chiedere dagli altri visitatori se quella è la direzione che porta alla fine del percorso, al centro del labirinto. Ma nessuno è in grado di dare la risposta. Le certezze che avevamo poco prima spariscono quando comprendiamo di aver sbagliato di nuovo, abbiamo allungato il percorso, siamo finiti fuori rotta. Ma è questo il bello del labirinto, perdersi, ritrovarsi, decidere, esplorare, conoscere una strada nuova, mettersi in gioco. Camminare tra le alti pareti verde smeraldo di bambù è certamente come fare un piccolo viaggio, un viaggio dal tempo lento, scandito dai passi e dall’ambiguità della certezza e del dubbio. Non c’è un programma, non ci sono tappe da rispettare. Andiamo avanti, scegliamo dove fermarci o dove girare e ci domandiamo che cosa si troverà dopo la svolta. A volte veniamo sorpassati da altri visitatori, che all’apparenza sembrano sicuri di dove andare, per poi ritrovarli poco dopo, persi o indecisi su quale strada prendere. Su tutti però aleggia una leggerezza che è quella del divertimento e di sapere che prima o poi si arriverà al centro del labirinto. Ma è anche una sfida con noi stessi. E chi alza bandiera bianca, chi si sente totalmente perso non deve avere paura perché all’ingresso, dopo aver acquistato il biglietto, a ogni ospite viene dato un braccialetto di carta con scritto il numero di telefono per farsi venire a prendere dai custodi che ti riaccompagnano verso l’uscita.

E se viaggiare vuol dire esplorare, il labirinto è forse l’essenza del viaggio e dell’esplorazione. Cercare strade nuove, perdersi e ritrovarsi, è inconsciamente anche un modo per affrontare un viaggio dentro di noi. Ed è così che dovrebbero essere tutti i viaggi, una migrazione e una conoscenza verso nuovi posti, nuove culture e popoli ma anche un cammino per una conoscenza di sé.

Continuiamo a camminare nel labirinto di Masone convinti di essere sempre più vicini alla meta. Il sole si è fatto più alto e sedersi su una panchina all’ombra delle canne di bambù è un ottimo refrigerio. Riposandoci possiamo guardare gli altri mentre passano davanti, toccano le canne di bambù e fanno selfie abbracciati, qualcuno ridendo grida «mi sono perso» mentre altri rispondono «siamo qui». Il labirinto è un bel gioco, per grandi e bambini. Dopo poco, riprendo il cammino e un totem con una cartina fornisce un aiuto indicandomi dove mi trovo. Comprendo che non sono lontano dall’arrivo: ok, bisogna andare diritti, poi a sinistra, ancora diritti. E così si arriva alla piazza centrale coi portici, dove d’estate si tengono concerti e feste.

Franco Maria Ricci, quando descrive il suo labirinto ne parla insieme come di un dedalo di sentieri e come di un giardino, intendendo il giardino dell’Eden, che incarna innocenza e felicità. Labirinto perché è fonte di turbamenti: riflette la perplessa esperienza che abbiamo della realtà e la fatica nel percorrere la vita. Ma, aggiunge anche che il labirinto è un percorso dell’anima, un perdersi e ritrovarsi. Un percorso che deve servire a ritrovare la serenità, il silenzio, noi stessi.

Certo, è una bella soddisfazione essere arrivato nel centro del labirinto. Ma forse è ancora più importante il percorso. Perché come diceva T. S. Eliot: «È il viaggio, non la metà, ciò che conta». E il labirinto simboleggia il viaggio che l’uomo deve compiere attraverso le prove e le difficoltà. Ma anche la curiosità, la scoperta e l’ignoto, elementi che devono essere sempre alla base di chi si appresta a viaggiare, anche se fosse solo per una gita fuori porta. Perché spostarsi non vuol dire andare per forza dall’altro capo del mondo. Si può viaggiare anche andando a pochi chilometri da casa, se si affronta il viaggio non con regole ferree ma con la mente aperta. Riassumendo il pensiero di Tagore, si possono vedere monti e mari, ma aprendo gli occhi si può vedere la goccia di rugiada sulla spiga di grano a due passi da casa.