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Dove e quando

Born Digital, Kunsthaus Zürich, fino al 29 settembre.

Orari: ma-me, ve-do 10.00-18.00; gio 10.00-20.00.

www.kunsthaus.ch


L’arte cambia volto nel nuovo millennio

Un progetto espositivo valorizza l’importante collezione di arte digitale – 620 opere – del Kunsthaus di Zurigo
/ 22/07/2024
Emanuela Burgazzoli

Una mostra sull’arte digitale che costituisce «la punta di un iceberg», come la direttrice del Kunsthaus Ann Demeester definisce la collezione di Medienkunst del museo zurighese che conta 620 opere (molte di queste mai esposte) ed è una delle più importanti a livello svizzero. Video art soprattutto, ma anche diapositive, computer art, installazioni digitali e immersive. Se chiediamo cosa si intende oggi per «Medienkunst» a Eléonore Bernard, co-curatrice insieme a Luca Rey, dell’esposizione che presenta una selezione di undici lavori scelti nel decennio a cavallo del nuovo millennio tra il 1995 e il 2005, ci risponde che la questione terminologica è un po’ complicata, ma che «gli elementi discriminanti per definire questa tipologia d’arte in sintesi sono la durata temporale e la componente tecnica o tecnologica: queste opere non esistono come esistono già compiutamente un dipinto o una scultura, ma vivono nel tempo della loro presentazione, che è specifica per ognuna di esse».

Come è nata la mostra

La «rivoluzione francese» della video art risale agli anni Sessanta e oggi tutta la Medienkunst è diventata parte integrante delle collezioni pubbliche; ma non lo era alla fine negli anni Settanta quando Ursula Perucchi-Petri, conservatrice al Kunsthaus, grazie a un soggiorno a New York, ha scoperto questa nuova arte lanciando una lungimirante campagna di acquisizioni culminata nel 1995 con un’importante pubblicazione sulla video art.

Sul lavoro pionieristico di Perucchi-Petri si innesta direttamente il progetto Born Digital, un articolato lavoro di restauro, archiviazione e valorizzazione, come ci spiega Eléonore Bernard, che lavora da cinque anni come conservatrice di new media al Kunsthaus: «La mostra Born Digital è nata da un progetto di restauro di due anni, grazie anche al finanziamento della fondazione Memoriav (associazione per la salvaguardia del patrimonio culturale audiovisivo in Svizzera, ndr); abbiamo potuto restaurare una cinquantina di opere della collezione, che abbiamo scelto anche per le loro caratteristiche tecniche; rispetto al 2014 quando abbiamo restaurato e digitalizzato dei video analogici, questa volta ci siamo concentrati esclusivamente su opere che hanno una componente digitale, in particolare sulle più “antiche”, quelle entrate in collezione tra il 1995 e il 2005, che erano state acquistate in formato DVD e compact disc, supporti ormai a rischio. Si trattava quindi di aggiornarle sul piano tecnico senza perdere però le informazioni sui loro contenuti artistici; abbiamo così dovuto ricontattare gli artisti per essere sicuri di poterle presentare nella forma più fedele all’originale; è stato possibile anche grazie a una stretta collaborazione tra il dipartimento di restauro e quello di arti grafiche».

I progressi tecnologici e l’arrivo di nuovi software e supporti sono una continua sfida per i restauratori. «Ci chiediamo se e come dobbiamo migrare il contenuto su altri supporti, per renderlo compatibile con i dispositivi attuali; se è sempre possibile sostituire uno schermo catodico con uno schermo piatto al plasma; ogni tipo di traduzione e migrazione implica delle modifiche e quindi pone un problema di originalità dell’opera», conclude Bernard.

Gli artisti esposti

Del resto il medium, si sa, è anche il messaggio; e che la tecnologia influenzi i contenuti e l’estetica lo dimostra l’opera di una pioniera della nuova video art, l’artista svizzera e ormai star internazionale Pipilotti Rist. Il suo Pickelporno – oggi in collezione al Kunsthaus – girato nel 1992 contiene già tutti i tratti del suo stile ludico e sperimentale; poco dopo l’avvento sul mercato di piccoli schermi le consente di realizzare Yoghurt on Skin – Velvet on TV (1994), installazione in cui i video sono nascosti come piccoli tesori in borsette e conchiglie.

«La mostra Born Digital è nata da un progetto di restauro di due anni, grazie anche al finanziamento della fondazione Memoriav»

La sua carriera riflette in modo esemplare – secondo Tobia Bezzola – la moltiplicazione delle possibilità espressive offerte dalle nuove tecnologie; l’allora conservatore al Kunsthaus (e attuale direttore del Masi), insieme alla curatrice Mirjam Varadinis, sono stati due testimoni diretti dell’evoluzione della new media art, che poneva nuove sfide anche sul piano dell’allestimento e della presentazione: come attirare il pubblico dei musei verso queste nuove forme d’arte? I video di lunga durata richiedevano infatti una capacità di concentrazione inabituale in un luogo come il museo, dove si è abituati a un continuo «zapping» visivo da un’opera all’altra.

Nel selezionare i lavori esposti in mostra, l’intenzione dei due curatori, non a caso due «nativi digitali», era quella di documentare sia la svolta tecnologica epocale dall’analogico al digitale sia la ricchezza espressiva e stilistica della collezione, che deriva anche da una tendenza ad abbattere i confini tra i vari media per creare un’arte transmediale. Significativo in questo senso il progetto Mae West (2003/2004), della scultrice e video artista americana Rita McBride, che costruisce un viaggio visivo tra danza, architettura, musica, a metà tra il vintage e il futuristico. Le interferenze e le distorsioni visive diventano invece un pretesto estetico per Tatjana Marušić, che nella sua videoinstallazione dal titolo Woman under influence (2003) lavora su un film-tv degli anni Novanta grazie a un software di elaborazione di immagini.

Sono anni di grande sperimentazione, che esplorano i temi imposti dai cambiamenti tecnologici, come il rapporto tra reale e virtuale, ma anche grandi temi sociali quali la migrazione o le sottoculture nelle città di un mondo in piena globalizzazione, come nel caso di Cosplayer, omaggio al fenomeno del Costume Play, quasi sconosciuto nel 2004, dell’artista cinese Cao Fei: in questo video di 8 minuti appaiono 16 personaggi in costume che si cimentano silenziosamente in duelli in stile manga e videogames, nello scenario di periferie urbane quasi apocalittiche. Diventa quasi naturale riflettere su temi politici come l’identità nazionale, utilizzando gli stessi strumenti di una società mediatica di quegli anni: è il caso di I love Swtizerland (2002) di Com&Com, monologo televisivo fittizio che racconta di una società elvetica sospesa tra miti nazionalisti e modernità, progressismo e tradizionalismo. Oggi la tecnologia apre continuamente nuovi orizzonti, facendo entrare il futuro nel nostro presente, anche nell’arte, che non sappiamo che cosa ci riserverà.