azione.ch
 


Bibliografia

Franck Thilliez, Norferville, Fazi, Roma, 2024.


Parla Thilliez, il maestro del thriller francese

L’intervista: lo scrittore in cima alle classifiche transalpine ha creato i suoi primi romanzi per liberarsi dagli incubi
/ 15/07/2024
Blanche Greco

«I miei primi romanzi, li ho scritti per liberarmi dagli incubi. La passione per i film polizieschi, per le serie Tv che raccontavano di assassini seriali, di inchieste criminali, di “cuori di tenebra” che sorgevano dall’ombra e disseminavano di cadaveri il loro cammino, aveva finito per immergere i miei sonni in sogni terrificanti e io, allora, per sfuggirgli, ho cercato di estrarre, attraverso la scrittura tutte quelle immagini dalla mia testa». Così ci parla Franck Thilliez, francese, giallista (nella foto) che in Francia domina le classifiche con il suo romanzo Norferville presentato per la prima volta in contemporanea anche in Italia, con grande successo. Venticinque libri, thriller, avventure poliziesche, romanzi che raccontano ossessioni, allucinazioni, omicidi efferati, inchieste, ma anche realtà lontane dove la sopraffazione, la discriminazione sono state la causa di crimini a catena e hanno lasciato tracce storiche e sociali come succede in Norferville, romanzo avvincente pieno di colpi di scena. Ambientato nel Grande Nord del Quebec, nel gelo dell’inverno, in una cittadina mineraria accanto a una riserva indigena Innu, è la storia di un delitto brutale e disumano che divide e unisce, in una catena di disprezzo e di odio, i bianchi che sfruttano la miniera di ferro e distruggono la natura, e gli indigeni sempre più espropriati del loro territorio e delle loro tradizioni. Leonie Rock, tenente della Sûreté del Quebec conosce bene quella storia, lei, figlia di un bianco e di un’indigena a Norferville ha vissuto la sua adolescenza e ne porta le ferite indelebili e, se non fosse stata incaricata dell’inchiesta, non ci sarebbe tornata neppure adesso, dopo vent’anni. Un’eroina che è parte del mistero evocato con abilità da Franck Thilliez che abbiamo intervistato su questo libro e sulla sua maestria nell’esplorare tutte le sfaccettature del thriller.

Cosa l’ha spinta ad ambientare questo romanzo nel Quebec?

Alcuni anni fa ho viaggiato in quelle regioni, come molti francesi attratto dalla bellezza della natura selvaggia, dai grandi spazi dove le foreste, I laghi, i fiumi sono magnifici e smisurati e ci si trova calati in uno scenario splendido, spesso inospitale per l’uomo, dove anche la meteorologia cela insidie a noi sconosciute. La voglia di ambientarvi una storia è stata immediata e facendo ricerche più approfondite ho scoperto l’esistenza delle città minerarie, isolate, tra difficoltà di ogni tipo. Poco dopo mi sono imbattuto in un’inchiesta le cui rivelazioni hanno scioccato la società canadese portando alla luce violenze e abusi perpetrati per anni sulle donne delle popolazioni autoctone, una realtà a lungo nascosta. Questo è stato il punto di partenza per creare la mia storia e la mia Norferville, versione inventata della vera Schefferville, paese dove si arriva solo col treno (non ci sono strade), dopo tredici ore di viaggio dalla cittadina di Sept-îles, che a sua volta resta a dieci ore di auto da Montreal.

È un’impressione, o la sua Norferville emana una malvagità che ricorda certe città descritte da Stephen King?

È uno scrittore che mi ha molto influenzato, King mi ha causato i primi incubi quand’ero ragazzo. Ho adorato la forza della sua scrittura, la potenza del suo immaginario e la sua capacità di giocare con le nostre paure infantili e anche se scrivo storie molto diverse dalle sue, penso a lui quando m’interrogo su come provocare un fremito di terrore nel lettore. Per la mia Norferville, città nefasta dove il male è in agguato, non potevo non pensare a Derry, città malefica e orrenda, dall’anima luciferina creata da King, e mi fa piacere che emani un’atmosfera simile.

Quanto conta la realtà nei suoi romanzi?

Le storie dei miei romanzi scaturiscono in genere dalla mia immaginazione, ma alle volte ci sono aspetti della società che m’indignano; argomenti sociali che mi coinvolgono, mi emozionano in modo irrazionale, mi spingono a fare ricerche più approfondite e a scriverne; come stavolta.

Molti dei suoi libri inediti in Italia, hanno un protagonista famoso in Francia, il commissario Sharko, perché secondo lei è così amato?

È stato il mio primo personaggio poliziesco e non è stato facile dargli una sua propria identità in un ambiente letterario che pullula di personaggi simili ormai famosi. Ma ha fatto breccia nell’animo dei lettori per la sua profonda umanità: Sharko è un commissario, un uomo corroso dai problemi personali e familiari, vulnerabile sentimentalmente che però non si tira mai indietro, segue delle inchieste pericolose ed è un eroe che in fondo ci assomiglia, o potrebbe essere uno dei nostri amici. Per questo credo sia tanto amato e i libri su di lui sono sempre molto attesi.

Secondo lei qual è la differenza, a parte lo scarto temporale, tra un Maigret e il commissario Sharko?

Sono personaggi emblematici di un tipo di società. All’epoca di Maigret c’era un rispetto totale per il mestiere del poliziotto, mentre oggi è cambiata la percezione della violenza, come pure lo sguardo della società sulla professione di poliziotto, spesso vista in modo critico e con diffidenza. Scrivere di Sharko significa esplorare il rapporto tra scienza e indagine poliziesca, ma anche quello con la criminalità. Si uccide sempre per vendetta, per gelosia, per soldi e per gli stessi motivi delle tragedie greche, ma il modo di uccidere è diverso, anche i criminali usano i computer, i cellulari e approfittano di ogni nuova scoperta. Per scrivere dei polizieschi bisogna rimanere in contatto con i poliziotti per essere aggiornati sulle tecniche più moderne utilizzate sia da loro che dai criminali.

Anche lei, come molti autori, pensa che bisogna iniziare dal finale della storia per scrivere un buon thriller?

Spesso il crimine dal quale prende avvio la storia viene commesso nelle prime pagine, come succede anche in Norferville e io sin dall’inizio conosco l’assassino e le sue motivazioni. Perciò il finale serve per spiegare al lettore ciò che lo scrittore sa da sempre. Come sarà la scena finale anche l’autore spesso lo scopre solo un po’ alla volta. Diciamo che il finale fa parte del delicato equilibrio tra gli elementi della storia: l’inchiesta, i personaggi, lo scenario e la massa di informazioni e di scoperte che ci piacerebbe trasmettere al lettore. Ma ci sono momenti in cui lo scrittore s’interroga se a quel punto debba sorprendere il lettore, o piuttosto fornirgli delle risposte, o magari confezionargli un altro crimine. Un giusto dosaggio e il ritmo appropriato non sono facili da individuare.

Qual è il sogno di ogni scrittore di gialli?

Creare un personaggio capace di attraversare il tempo, di diventare più importante delle storie delle quali è il protagonista. Un modello, come: James Bond, Hercule Poirot, Harry Potter, o Lisbeth Salander, un personaggio che il pubblico adotta, non si sa perché, e ne fa un mito che segue ovunque.

Qual è il lato negativo del mestiere di scrittore?

La solitudine nella scrittura e il dubbio. Nessuno, né della mia famiglia, né l’editore più intelligente del mondo, in un determinato momento della stesura di un romanzo, può aiutarmi a trovare quella soluzione perfetta che sto cercando da ore per raccontare ciò che è dentro di me e che continua a sfuggirmi. So che dovrò sbrigarmela da solo, che nessuno può scriverla al mio posto, o dirmi se va bene, o se c’è di meglio. E poi c’è il solito dubbio: «Quello che sto scrivendo, piacerà?». È un dubbio permanente, ma è utile e necessario perché forse è quello che alla fine ci permette di avere una buona storia.