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La salvezza tra i fiumi in piena
Vallemaggia: la commovente testimonianza degli ex voto dei secoli scorsi
Carlo Silini
All’oratorio del Boschetto di Cevio c’è un ex voto impressionante che mostra la Maggia in piena scorrere impetuosa sotto un ponte, con la scritta: «Grazia ricevuta il 18 ottobre 1846 sul bellissimo ponte di Lodano». Il pittore ha anche raffigurato un uomo con l’ombrello aperto che indica la furia degli elementi sotto gli occhi benevoli della Madonna e di un santo indecifrato. Vedo l’immagine sul volume di Raffaello Ceschi Ottocento ticinese, e non posso fare a meno di pensare alle vittime del maltempo in Vallemaggia, in Mesolcina, in Vallese e in tutti i luoghi funestati dai disastri climatici negli ultimi mesi. Penso anche ai tre ragazzi spazzati via dalla corrente del Natisone, in Italia, qualche settimana fa, inghiottiti dai flutti mentre si abbracciavano sotto lo sguardo agghiacciato delle telecamere. Nessuna Madonna di valle si è accorta di loro?
I numerosi ex voto ticinesi hanno attestato per secoli i pericoli del vivere ruvido nelle montagne. Ne fa stato un libro di Piero Bianconi che vale la pena di sfogliare in questi giorni di lutto, in onore dei sopravvissuti e dei morti di ieri e di oggi: Ex voto del Ticino (Armando Dadò editore, 1. edizione 1977). Bianconi coglie il senso profondo di queste testimonianze artistico-religiose ricordando la scritta trovata nella «mirabile» cappella della Varda, all’imbocco della Bavona: «Ferma il piè, o passagier, mira che sorte c’ai d’invocar Maria in un pericolo di morte». Consuetudine con il pericolo, commenta Bianconi, «quindi bisogno di una costante fiduciosa protezione, e la riconoscenza quando dalla improvvisa sciagura l’uomo riesce a portarsela fuori indenne».
Parole, quelle dipinte nella cappella della Varda, che deve aver letto anche l’anomalo contadino di Lodano Giuseppe Bonenzi, morto giusto giusto 200 anni or sono nel 1824, di cui trovo traccia nel volume I maestri di casa di Tiziano Tommasini. Anomalo, perché sapeva scrivere e infatti ci lasciò un manoscritto memorabile sull’anno della fame 1816 in Vallemaggia e altrove, arrivato – guarda caso – dopo un biennio di pessime condizioni meteorologiche: piogge, gelate inusuali, nevicate estive, frane, smottamenti, inondazioni alternate a siccità. Nei dipinti votivi ecco donne – soprattutto donne – che cadono nel torrente, fissate a una corda in bilico sopra un dirupo, bloccate su terrazzi erbosi a strapiombo sul nulla, aggrappate pervicacemente agli ultimi ciuffi d’erba prima del burrone, colpite da una gragnuola di sassi mentre portano la gerla col fieno, precipitate nelle sassaie o ripescate, miracolosamente, sul greto di un fiume o di un lago. «Perché davvero tutti i nodi vengono a questo pettine – scrive Bianconi citando sé stesso in un altro suo testo del 1950 – tutti i guai confluiscono in queste pitture; qui si svolge evidente e spettacolare il lunghissimo film dei malanni delle infermità delle disgrazie della malignità e cattiverie che intesson la vita dell’uomo: dalla febbre a quaranta ai ladroni di strada, e il pupo che si rovescia addosso la pentola d’acqua bollente, e il fiume che straripa sotto le piogge equinoziali…».
Molti di questi capolavori d’arte naïf recano la firma di un artista valmaggese che meriterebbe l’epiteto di Michelangelo dei poveri, nel senso più nobile del termine: Giovanni Antonio Vanoni (1810-1886), cronista ante litteram delle fortune nelle feroci sfortune di valle.