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Bibliografia

Walter Siti, I figli solo finiti, Rizzoli, Milano, 2024.


Anche l’Italia ha il suo romanzo del Covid

Ne «I figli sono finiti» Walter Siti racconta la storia di Augusto e Astore mettendo le loro solitudini a confronto
/ 08/07/2024
Roberto Falconi

Prima che uscisse, sapevo solo due cose del nuovo romanzo di Walter Siti: che uno dei due protagonisti sarebbe stato un abilissimo videogamer nato all’inizio del ventunesimo secolo e ripiegato su sé stesso; che sarebbe entrato in stretta relazione con un settantenne. Tuttavia, se l’obiettivo era (anche) quello di mostrare l’isolamento del giovane rispetto alle generazioni precedenti – mi dicevo – forse non sarebbe stato necessario uno scarto anagrafico così ampio tra i due personaggi.

Ora, a lettura ultimata, credo che Siti avesse bisogno di un nonno (Augusto) e di un nipote (Astore) perché il rapporto tra i due nascesse già adombrato da un anello mancante, nello spazio incolmabile dell’assenza di un padre. I figli sono finiti perché prima di loro sono finiti i padri. Augusto, omosessuale, padre non è né lo sarà mai; Astore un padre ce l’ha, ma lo riconosce solo in parte: gli errori commessi con il primo figlio precluderanno poi a Piero (questo il nome del genitore) la possibilità di riscattarsi con il bambino che nascerà dalla nuova compagna, e «che saluterà il ventiduesimo secolo».

Augusto e Astore, dopo i rispettivi traslochi, si ritrovano dirimpettai in una palazzina milanese. È l’incontro – che nasce nella reciproca diffidenza ma diverrà sempre più profondo – tra due figure apparentemente antitetiche: un giovane che conosce il mondo virtuale meglio di quello reale («Lei ha mai letto gli sviluppi di League of Legends?») e un vecchio professore di francese al liceo («Ho i tempi contingentati, per mia vergogna non ho ancora letto dei classici importanti come Il conte di Montecristo o I tre moschettieri»). Poi, a ben vedere, i due appaiono più vicini di quel che sembra. Entrambi vittime di una perdita irreparabile e non elaborata: per Augusto, la morte del compagno, su cui si apre il romanzo; per Astore, quella della madre, di cui scoprirà (proprio grazie ad Augusto) il segreto che condivideva col marito. Entrambi, a diverso titolo, postumani: Augusto trapiantato di cuore dopo un’angioplastica; Astore che al posto del cuore vagheggia di farsi trapiantare un computer e sogna un futuro di reti neuronali (ma ad apparirgli nei sogni veri sarà sempre la mamma). Entrambi inghiottiti dal senso della fine, che trova manifestazione anche sul terreno del sesso, sebbene con forza diversa e motivazioni opposte: Augusto ossessionato da un «desiderio senza speranza» che si concretizza nella relazione con lo scultoreo escort Franco (quasi un terzo del romanzo); Astore che fa sesso virtuale con la coetanea Antonia dal computer di casa (tre pagine scarse, trentuno minuti di connessione via Skype), mentre alla parete della sala da pranzo sta appesa una grande carta geografica che rappresenta la Terra nel 2872, «con il livello del mare alzato secondo le previsioni: l’Antartide diventato un ridente arcipelago, sommersa la Florida, Shanghai su palafitte e il mare Adriatico fin quasi a Pavia». Anche se poi le cose sono un po’ più complicate di così: Astore studia manuali sull’Intelligenza Artificiale ma nella notte si mette a rincorrere una zingara, «la più bella ragazza che abbia mai visto – pelle dorata, occhi neri come la pece fresca, vita sottile e seno prorompente»; Augusto si rifugia nella Pléiade ma a Franco parla «come un’adolescente su TikTok».

Difficile che due personaggi simili possano resistere (non serve a niente) di fronte all’insensatezza del Mondo. La Natura, con la pandemia di Covid che sfilaccia anche la Milano di Astore e Augusto, ha fatto solo le prove generali per «l’estinzione soft della specie». (Marginalmente: quando ebbi occasione di incontrarlo, poco prima dell’uscita del libro, dissi a Siti che in Italia mancava ancora «il romanzo del Covid». Ora anche quella lacuna è stata colmata). Né serve accanirsi nel cercare le relazioni tra le cose: Putin che invade l’Ucraina; Augusto in coda al supermercato che dice a una donna incinta che «i figli sono finiti»; i fratelli Bianchi che massacrano Willy Monteiro Duarte. Le traiettorie di persone e personaggi si rompono e si intrecciano, Storia e storie si determinano in modo imperscrutabile. A Siti non interessa interrogare la Natura, tanto sa già le risposte. Gli basta non abbassare lo sguardo davanti alla sabbia che ci seppellirà (e che può essere anche quella di una spiaggia greca, ma sul finale davvero non si può dire di più).

Astore (che fa tradurre a una macchina i versi di Baudelaire) e Augusto (costretto ad ammettere che la traduzione non è poi male, anche se solo i veri scrittori sanno inventare uno stile che non c’è ancora) possono allora trovare un fragile punto di contatto solamente nello spazio eterno e immateriale del libro che scrivono insieme. Da una parte, I figli sono finiti ostenta infatti l’artificio della costruzione romanzesca: nell’organizzazione dei capitoli; nei parallelismi allegorici (la vicenda di Minosse e Pasifae – nell’affresco pompeiano nella foto – che si sovrappone a quella dei genitori di Astore); nelle replicazioni (i vedovi Augusto e Piero che parlano alle tombe dei congiunti); negli indizi disseminati e poi illuminati; nel dialogo con i paratesti, copertina compresa; nell’ambiguità della voce narrante. Dall’altra, solo lo stile inconfondibile e inimitabile di chi sa maneggiare con cura la parola letteraria avrebbe potuto fare vibrare le pagine del libro. Se l’unico orizzonte di possibilità si trova entro il perimetro del romanzo, non è allora un caso che questo si chiuda – nell’ultimo dei Titoli di coda, cioè nella sua parte per certi versi più metaletteraria – sulla figura di un padre che decide finalmente di fare il padre, e che progetta di scrivere un (altro) libro su Augusto.