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Bibliografia

Susan Sontag, Sulle donne, prefazione di Benedetta Tobagi, Einaudi, Torino, 2024.


Politica e femminismo, Sontag è ancora attuale

È uscita per Einaudi una raccolta di saggi e interviste risalenti agli anni Settanta
/ 24/06/2024
Laura Marzi

Sulle donne, edito da Einaudi con la traduzione di Paolo Dilonardo e la prefazione di Benedetta Tobagi, raccoglie alcuni saggi di Susan Sontag e interviste che le sono state fatte negli anni 70. Si tratta di una lettura complessa e ricchissima non solo per le straordinarie capacità della pensatrice statunitense, vero e proprio genio del Novecento, ma anche per le continue domande che ci si pone rispetto all’applicabilità delle parole di Sontag al presente, all’abilità che ha avuto nel predire il futuro e anche, a volte, alla costatazione che alcune cose sono irrimediabilmente cambiate.

Per esempio, la riflessione e l’analisi dell’opera di Leni Riefenstahl, famigerata per essere stata la regista del nazismo, amica intima di Adolf Hitler, è saldamente collocata nel tempo in cui Sontag ne ha scritto, in anni in cui il fascismo non era uno spettro, ma un nemico di cui si ricordava ancora il volto. Dai suoi testi sull’opera di Riefenstahl prende le mosse, poi, una diatriba con la poeta femminista Adrienne Rich che accusa apertamente Sontag di non aver utilizzato le lenti del femminismo per analizzare il Reich, di non aver quindi specificato quanto i regimi totalitari siano sempre «patriarcali». Anche leggere i botta e risposta fra le due intellettuali è un’esperienza anacronistica: lungi dallo scambiarsi tweet infuocati o commenti sui social, le due riflettono sul diverso ruolo da attribuire in un’opera al contenuto e alla forma e se sia possibile parlare di altro che non sia il femminismo, senza essere tacciate di «diserzione» dalle proprie «sorelle».

Proprio rispetto al femminismo, colpisce la descrizione di questioni contemporanee che nel tempo in cui Sontag scrive erano per lei dei rischi da evitare: per esempio, rispetto alla fluidità di genere, insiste sulla necessità di evitare che diventi solo una questione di stile, quindi che si scelga di non mostrarsi né donne né uomini per una sorta di capriccio della moda. O, ancora, immagina la possibilità che l’etichetta del femminismo possa essere utilizzata per veicolare qualsiasi tipo di contenuto: «Queste pretese di semplicità hanno convinto molte donne che non è democratico sollevare obiezioni sulla qualità del discorso femminista, purché sia sufficientemente militante, o la qualità delle opere d’arte, purché siano sufficientemente sincere e benintenzionate». Nelle due interviste che pure sono contenute in questo libro emerge chiaramente come Sontag sentisse l’esigenza di difendere l’arte da accuse di tipo moralista o forme di censura: ecco, leggendo questi brani salta agli occhi che quel livello di complessità nella riflessione è andato perduto, disintegrato da ore di deconcentrazione sui dispositivi elettronici piuttosto che di studio matto e disperato sui manuali di filosofia e di critica del pensiero.

Discorso diverso per il saggio che apre la raccolta: Invecchiare. Due pesi e due misure, chi legge non riscontra nessun cambiamento rispetto a oggi. Qui Sontag descrive la condizione di schiavitù e di ingiustizia in cui si ritrovano le donne condannate fin dalla pubertà a considerarsi merce in rapido stato di avaria, parla della lotta impossibile contro canoni estetici che sono quelli della prima giovinezza, sottolinea come: «ogni ruga, ogni segno, ogni capello grigio rappresentano una sconfitta». E poi descrive che invece agli uomini tutto questo non accade: le trasformazioni sul viso di un quarantenne vengono considerate elementi che aumentano l’intensità espressiva, non certo come piaghe che bisogna risanare con cosmetici e chirurgia plastica. Si tratta in questo caso di una lettura dolorosa, per l’evidenza non solo di come l’immaginario non sia affatto cambiato, ma anche per la consapevolezza che le conclusioni a cui giunge Sontag riguardano quasi tutte. Sono davvero poche, infatti, le donne che possono ritenersi libere dal giogo di sentirsi via via sempre più disprezzabili col passare del tempo e quindi di dover costantemente rinnegare sé stesse e la propria sopravvivenza, perché restare vive significa diventare ogni giorno più «oscene», come sono considerate, appunto, le vecchie.

C’è un altro tema di estrema attualità in questo libro che contiene testi tutti composti entro il 1975: la politica. Sontag scrive molto chiaramente che «tutto ciò che non implica un mutamento nella natura del potere e di chi lo detiene non è liberazione, ma pacificazione» e che di conseguenza qualsiasi forma di rivoluzione deve avere come premessa quella della fine del patriarcato, per utilizzare un’espressione contemporanea. Sottolinea quindi in diversi punti il fraintendimento politico tipico della sinistra, credere cioè che dopo aver preso il potere, si sarebbe potuta concedere alle donne una nuova condizione di vita. Quella di Sontag è una visione perfettamente corretta alla luce dei fatti contemporanei: spiega, in effetti, sia l’evidente fallimento della sinistra e della socialdemocrazia, sia l’inganno sotteso all’idea che sarebbe bastato che le donne andassero al potere per cambiare le cose, mentre ciò che per Sontag va modificato è il potere stesso. Per questo: «Un femminismo che non sia diluito e addomesticato nel marketing resta scomodo, urticante».