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L’emozione di incontrare Muti

Etienne Reymond ripercorre il suo decennio fortunato al LAC
/ 17/06/2024
Enrico Parola

Era il 2013, la musica non risuonava ancora al LAC, ma al Palazzo dei Congressi, e le grandi orchestre internazionali si esibivano al Lugano Festival. In quella stagione Etienne Reymond (nella foto) veniva nominato direttore artistico e amministrativo della rassegna, con lo scopo di portare nel nuovo polo culturale cittadino la classica nelle sue migliori espressioni. Lunedì prossimo 24 giugno alle 20.30 arriverà Simon Rattle alla guida della Chamber Orchestra of Europe, l’ultimo concerto della stagione 2023-24 e l’ultimo che vedrà Reymond nel ruolo di direttore artistico (e un’ora prima sarà proprio lui a presentare al pubblico il programma). Ha comunque disegnato anche la prossima stagione (i grandi solisti e le grandi orchestre hanno agende congestionate e devono essere «prenotate» con anticipo) che prenderà in mano il triestino Andrea Amarante, designato nuovo direttore artistico settore Musica del LAC.

Maestro Reymond, come sta vivendo questi momenti?
Bene. Credo che le sfide che segnavano il passaggio dal Palazzo dei Congressi al LAC e da una rassegna stagionale come Lugano Festival a una annuale come LuganoMusica siano state vinte.

Poteva dire il contrario?
No, in effetti (ride, ndr). Non voglio fare quello che incensa ogni concerto definendolo «meraviglioso, incredibile», registro e sintetizzo quello che ho visto e sentito in questi anni fino a questi ultimi concerti. Parto dalle tre sfide: posizionare Lugano come grande polo musicale tra Milano e Zurigo; contribuire, assieme a tutti gli altri professionisti coinvolti, a far sì che i luganesi potessero dire che il LAC valesse i milioni di franchi che era costato; infine, ma per Giovanna Masoni Brenni era l’aspetto cruciale, aiutare la crescita culturale della città. Penso che chi ha frequentato il LAC in questi anni possa giudicare se tutto ciò si sia avverato.

Quali i suoi meriti?
Conoscere personalmente i grandi musicisti mi permetteva di avere la possibilità di convincerli a venire a Lugano per debuttare al LAC. Però ho sottolineato di aver lavorato «assieme a»; al primo concerto di Lugano Musica al LAC suonarono Valery Gergiev e l’orchestra del Mariinskij Teatr; quando glielo proposi mi chiese come fosse l’acustica; quando seppe che era stata realizzata dello Studio BBM di Müller accettò. Io lo conoscevo, ma non avevo certo né costruito la sala né scelto chi si occupasse dell’acustica. E a proposito di ringraziamenti, fu Pietro Antonini (suo predecessore alla guida di Lugano Festival, ndr.) a segnalarmi il concorso per l’incarico.

In effetti in queste stagioni è riuscito a portare a Lugano quasi tutti i massimi interpreti della classica. Ricordi particolari?
Tanti, troppi, e mi scuso fin d’ora di quelli che non ci staranno negli spazi consentiti da questa intervista (altro sorriso, ndr). Vorrei ricordare che il primo «artista in residenza» fu un giovane e al tempo semi sconosciuto pianista che veniva da Niznij Novgorod, un certo Daniil Trifonov. Per lui un recital, il Concerto K 271 di Mozart e una serata liederistica con Matthias Goerne. Mi avvicinò una coppia luganese dicendomi: «Qualche giorno fa eravamo a New York e abbiamo assistito a un recital di Trifonov; ritrovarlo a Lugano ci ha sorpresi»; mi ha confermato che stavo percorrendo la strada giusta per promuovere la centralità di Lugano come polo musicale. Poi, ovviamente, le sue tre esibizioni folgorarono il pubblico: una sorpresa palpabile per l’incanto sonoro che quel giovane sapeva creare facendo volteggiare le sue mani sulla tastiera.

Dal poco più che ventenne al quasi novantenne Bernard Haitink, che scelse proprio il LAC per i suoi ultimi concerti con l’orchestra Mozart.
Un mito vivente, per lui arrivarono gruppi da Londra. Credo che l’applauso più lungo in questi anni sia stato quello alla fine della sua interpretazione della sinfonia La grande di Schubert.

L’applauso più lungo all’inizio?
Forse quello tributato a Riccardo Muti quando salì sul podio, davanti all’orchestra Cherubini. Mi permetto una confessione personale: andai io a prenderlo all’aeroporto; quando lo vidi venirmi incontro mi emozionai, pensando: «Ecco, è venuto apposta per noi». Anche gli applausi che salutarono l’ingresso sul palco di Maurizio Pollini e Radu Lupu, due leggende del pianoforte, furono clamorosi.

Sono poi venuti i Wiener e i Berliner Philharmoniker, il Concertgebouw di Amsterdam, Petrenko con la Bayerisches Staatsorchester, Antonini con la sua orchestra di strumenti d’epoca; ci sono delle stelle che non è riuscito a portare?
Daniel Barenboim, con cui non trovammo mai una data utile; ci teneva, anche perché adora un vino ticinese, Riflessi d’epoca (altra risata, ndr)! E Anne-Sophie Mutter. Mi spiace anche non aver riportato Muti con la Chicago, i Wiener e i Berliner; avevo la loro disponibilità, ma non quella della sala: una volta c’era una replica di West Side Story, un’altra FIT… Sono i problemi della convivenza, ma capisco l’importanza del teatro e in particolare del teatro di prosa per il LAC.

Altri problemi?
All’inizio c’era il timore che la sfilata delle grandi orchestre internazionali potesse in qualche modo sminuire o addirittura nuocere alla OSI; credo che il tanto, tantissimo pubblico che la segue sia la risposta incontrovertibile che non solo LuganoMusica non abbia fatto concorrenza, al contrario, perché ha stimolato la curiosità musicale dei luganesi.

Quindi vinte anche le altre due sfide.
Non solo con i grandi nomi, cui vorrei aggiungere progetti indimenticabili come i percorsi da Monteverdi a Bach di Luca Pianca, i concerti di Diego Fasolis o l’Offerta Musicale bachiana interpretata da Ton Koopman, ma anche con i cicli dedicati ai quartetti e al Novecento, con la creazione, tra l’altro, del LuganoMusica Ensemble. Mi ha riempito di orgoglio ascoltare al LAC i quartetti di Ligeti, Et expecto resurrectionem di Messiaen suonato da Riccardo Chailly e la Filarmonica della Scala, nuove opere di Eric Montalbetti e Jörg Widmann.

Che cosa farà dopo l’esperienza luganese?

Continuerò a vivere qui, si sta benissimo! E rimarrò nella musica; ho degli impegni a Parigi, mi piacerebbe creare delle rassegne da camera; leggere tanto e pensare a qualche formula per raccontare la musica.