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Dove e quando
Enrico Castellani. Museo d’Arte Mendrisio.
Fino al 7 luglio 2024.
Orari: ma-ve 10-12/14-17;sa-do e festivi 10-18.
Informazioni: museo.mendrisio.ch
Spazio, tempo e luce nell’opera di Enrico Castellani
Fino al 7 luglio il Museo d’Arte di Mendrisio omaggia il pittore italiano e le sue tele dall’«epidermide dinamica»
Alessia Brughera
Quando, dopo gli studi di architettura in Belgio, nel 1957 Enrico Castellani (nella foto ritratto tra il 1967 e il 1970) fa ritorno in Italia, diventa una delle figure più attive e propositive della scena artistica milanese. Appena arrivato nel capoluogo lombardo stringe una profonda amicizia e una prolifica collaborazione con Piero Manzoni. I due non possono essere caratterialmente più diversi: Castellani schivo, discreto e riservato, Manzoni, al contrario, esuberante e carismatico. Eppure, sono accomunati dall’idea di concepire il proprio lavoro come una continua riflessione «sull’arte, sugli strumenti e i modi del suo esercizio».
Dal loro sodalizio nascono nel 1959 la rivista «Azimuth», che con due soli numeri pubblicati (tradotti in quattro lingue) lascia un segno importante nell’arte di quegli anni, e la quasi omonima galleria «Azimut», senza h, che con tredici mostre organizzate in otto mesi riesce a presentare gli artisti più innovativi dell’epoca. Il primo ad arrivare alle inaugurazioni di queste rassegne è sempre Lucio Fontana, padre estetico e mentore di Castellani, il primo, anche, ad acquistare una sua opera a rilievo per la propria collezione.
È in questi anni meneghini che Castellani dà vita al suo distintivo linguaggio, fatto di estroflessioni e introflessioni della tela monocroma, che cattura l’attenzione del panorama artistico internazionale e che lo fa emergere come figura di grande rilevanza.
L’attitudine alla vita solitaria e la totale devozione al proprio lavoro portano l’artista, nel 1970, a lasciare Milano, una città che Castellani non ritiene più vicina al proprio sentire e che per lui, uomo poco disponibile a sottomettersi al sistema del mercato, incomincia a essere opprimente. Dopo un breve soggiorno in Ticino, nel 1973 l’artista va a vivere in un castello medievale a Celleno, un piccolo borgo della Tuscia, vicino a Viterbo, dove, con regole quasi monastiche, si dedica anima e corpo alla creazione.
Nato nel 1930 a Castelmassa, paesino del Polesine in provincia di Rovigo, Castellani, grande ammiratore di Piet Mondrian, sin da giovane vuole diventare pittore. Prima però si laurea in architettura all’École nationale d’architecture et des arts décoratifs di La Cambre, studi che influenzano profondamente il suo approccio all’arte.
Nella seconda metà degli anni Cinquanta, proprio quando arriva a Milano, Castellani, dopo un breve periodo in cui risente delle suggestioni dell’Informale e dell’Espressionismo astratto americano, ravvisa l’esigenza di abbandonare i mezzi tradizionali del lessico pittorico per orientare tutta la sua attenzione verso il supporto. La tela monocroma incarna per l’artista il momento zero della pittura presentandosi ai suoi occhi come uno spazio nuovo e assoluto da utilizzare come punto di partenza per il suo stesso superamento.
È questa un’esperienza di rottura che porta alla costruzione di qualcosa di inedito. La tela diviene una sorta di «epidermide dinamica», come la definisce la storica dell’arte Ester Coen, animata dall’artista con sequenze di rilievi e di rientranze (ottenuti mediante l’uso di chiodi inseriti nel retro) che nel loro succedersi incorporano nell’opera la dimensione temporale e conferiscono alla superficie vibrazioni luminose.
Sulle potenzialità della tela monocroma estroflessa Castellani avvia un percorso di ricerca che lo accompagna fino alla fine, in una continua variazione sul tema e in un’inesauribile scala di combinazioni che, nell’intreccio di spazio e tempo, innescano stimoli visivi sempre nuovi.
Che Castellani abbia goduto di ampia considerazione grazie alle sue indagini artistiche peculiari lo testimoniano le tante mostre collettive di rilevanza internazionale a cui è stato chiamato a partecipare nei più grandi musei del mondo: il MoMA di New York, nel 1965 (anno in cui il padre del minimalismo Donald Judd lo indica come unico artista europeo meritevole di plauso per la sua ricerca); Palazzo delle Esposizioni a Roma, nel 1970; il Centre Georges Pompidou di Parigi, nel 1981; il Guggenheim di New York, nel 1994. Al culmine della sua carriera, c’è anche il conferimento, nel 2010, del Praemium Imperiale per la pittura, il più alto riconoscimento artistico, assegnato a Tokyo.
Non così numerose sono invece le mostre personali di Castellani organizzate fuori dall’Italia. A voler cercare le ragioni di tale «mistero», si potrebbero forse trovare nel fatto che l’artista è sempre stato considerato dalla critica internazionale una figura molto legata alla tradizione culturale italiana, sebbene abbia avuto un ruolo da innovatore. Non ha poi giovato il fatto che gran parte della sua bibliografia critica sia solo in lingua italiana.
A colmare un po’ questa lacuna ci pensa il Museo d’Arte di Mendrisio, che omaggia Castellani con una splendida rassegna aperta al pubblico fino ai primi di luglio, curata da Barbara Paltenghi Malacrida, Francesca Bernasconi e Federico Sardella in collaborazione con la Fondazione Enrico Castellani. Si tratta della prima esposizione dedicata all’artista in territorio elvetico nonché della prima retrospettiva di Castellani dopo la sua morte, avvenuta nel 2017.
Il museo di Mendrisio ci racconta l’intera attività dell’artista, dalla fine degli anni Quaranta alla prima decade del XXI secolo. In tutto ci sono circa sessanta lavori tra dipinti, superfici a rilievo, opere su carta, sculture e installazioni, allestiti secondo una scansione cronologica che vede ogni sala documentare un momento specifico della ricerca di Castellani.
È un percorso che mette bene in evidenza come il linguaggio dell’artista, definitosi nel 1959 senza subire poi variazioni concettuali e di metodo, sia stato applicato da Castellani con costanza ma anche con grande libertà, per ottenere ogni volta risultati diversi. La mostra contribuisce così a smentire un giudizio negativo spesso riferito a Castellani, ovvero la monotonia della sua arte. Un pensiero, questo, già più volte contraddetto anche dalla critica, che ha definito la cifra stilistica di Castellani con l’emblematico ossimoro «ripetizione differente»: una poetica che dà vita, nella purezza strutturale della reiterazione accurata di pieni e di vuoti, a illimitate possibilità combinatorie. Non a caso, uno degli aggettivi spesso collegati al lavoro dell’artista è «infinibile»: ripetibile all’infinito.
La rassegna di Mendrisio apre con l’ampio salone che funge da compendio dello sviluppo dell’arte di Castellani: qui sono raccolte opere realizzate nell’arco di più di quarant’anni ma che a osservarle sembrano tra loro molto vicine nel tempo. È uno spazio davvero suggestivo dove le grandi superfici monocromatiche di colore bianco rivelano «la pregnanza di una riflessione silenziosa», come scrive Paolo Bolpagni nel catalogo dell’esposizione.
Le sale successive testimoniano le varie applicazioni del linguaggio di Castellani, la cui modernità, ancora oggi, si fonda sull’aver esplorato concetti assoluti come lo spazio, il tempo, la luce e l’ombra.
Da un piccolo olio giovanile del 1947 raffigurante un paesaggio, già foriero di alcune geometrie utilizzate in seguito, si incontrano poi i lavori che documentano l’evoluzione di Castellani nel concepire la tela non come supporto ma come materia, fino al suo approdo alla prima opera estroflessa del 1959, ottenuta inserendo delle semplici nocciole sotto la superficie ben tesa.
Troviamo poi alcuni lavori degli anni Sessanta, tra cui Superficie bianca, del 1964, destinata all’ingresso di un condominio milanese progettato da Nanda Vigo, la bellissima Serie blu, datata 1996, o ancora le opere dei primi anni Duemila, in cui Castellani utilizza nuovi materiali come l’alluminio aeronautico. Nell’ultima sala, Superficie angolare nera chiude degnamente la mostra facendosi piena espressione di quello spazio assoluto, spirituale e privo di contraddizioni a cui l’artista ha sempre aspirato.