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«Fanny Ardant è molto rock and roll»

Tamer Ruggli, regista svizzero-egiziano, racconta il suo film Retour en Alexandrie con Nadine Labaki e Fanny Ardant
/ 20/05/2024
Nicola Falcinella

Retour en Alexandrie, il film debutto di Tamer Ruggli che vede protagoniste Fanny Ardant e Nadine Labaki, da qualche giorno è approdato nelle sale ticinesi. Presentato anche al Zurich Film Festival e alle Giornate di Soletta, il film vede la collaborazione di Marianne Brun per la sceneggiatura e del regista egiziano Yousri Nasrallah (uno dei maggiori cineasti nordafricani, noto per Al medina – La città) e racconta la storia della quarantenne psicologa Soussi, detta Sue, che vive nella Svizzera francese e riceve l’inattesa telefonata dalla zia Indij in cui apprende del malore che ha colpito l’anziana madre. Sue torna in Egitto, da dove era fuggita 20 anni prima, e trova un Paese cambiato. Incontra un tassista – ingegnere di formazione – che fa quattro lavori diversi e visita il negozio di vestiti raffinati dove si serviva la madre. Intanto si affacciano personaggi che la accompagnano a Il Cairo e ad Alessandria, in una società che quasi non esiste più. Retour en Alexandrie è un melò, un road-movie e una commedia, sul fare i conti con sé stessi, il passato e le persone care, che cita espressamente Thelma&Louise.

Tamer Ruggli, il film nasce dalle storie della sua famiglia, ce ne parla?
Sono metà svizzero e metà egiziano, mia madre apparteneva alla vecchia aristocrazia egiziana. Ho sempre sentito raccontare le sue storie, con la nonna gelosa della sua bellezza. Mi sono ispirato pure ai miei ricordi d’infanzia tra Cairo e Alessandria.

La protagonista trova la capitale diversa da come l’aveva lasciata e deve riscoprirla.
Soussi conosce la città ma deve impregnarsi di nuovo dell’ambiente. Le serve un momento di acclimatazione, per riapprendere i codici sociali. Mi piace pensare il film come un romanzo di formazione a un’età adulta, Soussi cambia e diventa una persona migliore.

C’è un tono nostalgico in questo Egitto rivolto al passato.
La nostalgia è un sentimento onnipresente in Egitto, anche attraverso le canzoni.

A proposito di canzoni, Parlez-moi de lui di Dalida ricopre un ruolo importante nella vicenda.
Mi piace utilizzare la musica per aggiungere un significato. La canzone parla di un amore impossibile, è anche un riferimento alla storia della madre con il capitano francese. Dalida era italiana, ma crebbe in Egitto e il suo francese aveva un accento egiziano. Anche il destino tragico della cantante ha che fare con la madre del film.

Come avete coinvolto Nasrallah nella scrittura del film?
Yousry è entrato nella fase avanzata della sceneggiatura. Sua sorella è amica di famiglia di mia madre, ne ho sempre sentito parlare fin da piccolo anche se non lo conoscevo. Durante la scrittura la coproduttrice francese ha pensato di contattarlo, perché Yousry conosce questo ambiente sociale ed era importante il contributo del suo sguardo.

A parte l’incontro con il tassista, che accenna alle difficoltà della vita nell’Egitto di oggi, non si parla della contemporaneità.
L’Egitto di oggi non era il nucleo della storia, l’autista del taxi è moderno, ma il film è ambientato in un microcosmo privilegiato. Non aveva senso fare riferimenti all’Egitto di oggi, che si vede molto nel cinema arabo odierno. Per me è stato importante Caramel di Nadine Labaki, il primo film arabo in cui identificarmi, che parlava di sentimenti.

Così ha coinvolto Labaki.
Ho pensato subito a Nadine, mi ha ispirato tanto con i suoi primi lavori. Per me è importante immaginare le attrici mentre scrivo. Avevamo un amico in comune, l’ho contattata mentre era nominata all’Oscar per Cafarnao, era molto stressata per quegli impegni, ma ha letto la sceneggiatura e ha accettato. Le piace tanto fare l’attrice, mentre recita mette da parte l’essere regista. Le ho lasciato libertà di improvvisazione ed è stata molto brava. Anche con Fanny Ardant ho fatto così, contattandola tre anni prima di girare. Ardant è molto rock&roll, molto generosa, aiuta i registi esordienti. Poi non guarda i suoi film finiti, vive per l’esperienza delle riprese, voleva girare in Egitto, è stata quattro settimane con noi, si interessava alla gente e agli ambienti.

In qualche modo è anche un film di fantasmi.
Direi più di ricordi, che fanno parte della nostra vita, perché l’infanzia ci forma. La protagonista ritrova emozioni con cui non voleva più confrontarsi, i traumi d’infanzia e d’amore.

Com’è nato l’omaggio a Thelma&Louise?
Mi piaceva il rosa per l’auto (nella foto), un colore femminile in una storia femminile. L’auto è stata trovata in Egitto dai miei collaboratori. Thelma&Louise è un film di donne e d’azione, fa parte del mio universo. Anche se ci sono poche scene sulla strada, il mio film è un road-movie, un viaggio verso il passato.