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Il grande omaggio di Cannes alle donne

Meryl Streep ha aperto la 77esima edizione del Film festival ed è stata la protagonista di una gremita masterclass
/ 20/05/2024
Nicola Mazzi

Assoluta protagonista della 77esima edizione del Festival di Cannes è stata l’attrice, tre volte premio Oscar e 21 nomination, Meryl Streep. Omaggiata il primo giorno con la Palma d’oro alla carriera da una sala in visibilio che le ha regalato una standing ovation d’eccezione, l’attrice americana, iconica protagonista di memorabili pellicole come Kramer contro Kramer (1979), La mia Africa (1985), I ponti di Madison County (1995) e Il Diavolo veste Prada (2006) ha regalato momenti di vera emozione e di grande cinema.

Se durante l’apertura della rassegna è stata omaggiata del premio e da un toccante discorso di Juliette Binoche – che a un certo punto si è anche commossa ricordando che la Streep ha cambiato il modo di vedere le donne nel mondo del cinema e ha dato loro una nuova immagine – il giorno seguente si è dedicata al pubblico in un’affollata masterclass. Sollecitata dal giornalista Didier Allouche è partita ricordando la sua prima volta a Cannes, nel 1989. «Quando venni mi dissero che dovevo avere nove guardie del corpo per proteggermi. Ma io non ero abituata, negli Stati Uniti non ne avevo. Poi, una volta qui, mi accorsi dell’affetto delle persone e del caos che si creava. All’epoca, non c’erano le transenne di oggi e la gente poteva tranquillamente avvicinarsi. Tornata in albergo tremavo, non sono una rockstar, a casa avevo una vita normale, mi occupavo di tre figli e non ero abituata a tutto questo clamore».

Meryl Streep ha poi ricordato l’esperienza di Kramer contro Kramer. «L’abbiamo girato in un momento particolare, era l’inizio della emancipazione femminile e quella pellicola trattava, appunto, del divorzio di una donna che voleva essere indipendente e per la prima volta affrontò la paternità in modo non scontato. In particolare, mi ricordo che sul monologo finale – ha aggiunto Streep – abbiamo discusso parecchio perché volevamo qualcosa di efficace. Il regista aveva scritto una versione, Dustin Hoffman una seconda e io una terza. Alla fine, scelsero la mia», ha evidenziato soddisfatta l’attrice.

Passando a un’altra storica pellicola, Il cacciatore di Michael Cimino, Streep ha confessato: «Mentre giravo non avevo coscienza dell’importanza che avrebbe avuto quell’opera. Per me era un lavoro su un tema che mi toccava particolarmente in quanto un mio amico che all’epoca era stato arruolato in Vietnam tornò tossicodipendente e con diversi altri problemi». Rispondendo a un’altra sollecitazione Streep, sorridendo, ha messo in evidenza un altro elemento: «È vero, non mi si vede molto in quel film, ma vi ricordate che c’ero. Probabilmente perché quella era l’epoca in cui nei film c’era sempre una sola donna e quindi era più facile ricordarselo».

Quello fu il primo film nel quale l’attrice ha cantato. «Infatti, ma la musica è sempre stata una parte importante per me perché credo che attraverso di essa si riesca a stabilire un contatto più profondo con gli altri esseri umani e il loro cuore. Da ragazza presi lezioni di musica d’opera e quindi anche da attrice avevo una base sulla quale lavorare. Detto ciò, vi confesso che l’opera non mi è mai piaciuta particolarmente, preferivo il rock».

Pure La scelta di Sophie è stato un grande successo di Meryl Streep e lei, di quel film, ha ricordato che il regista Alan J. Pakula non faceva ripetere troppo le scene agli attori. In quell’occasione si era creato un grande rapporto con il cast e soprattutto con la bambina presente nel film: «Ora credo sia diventata una donna di successo, mi sembra lavori nella finanza».

Arrivando a La mia Africa, ricordando di quando si innamorò di Robert Redford per come le lavava i capelli, l’attrice si è lasciata andare rammentando un paio di aneddoti capitati sul set. «Mi ricordo che abbiamo girato vicinissimo agli ippopotami e non era un luogo del tutto sicuro. Dovevo fare delle scene intime con Robert Redford ed ero un po’ nervosa dalla situazione, ma lui è stato bravissimo e molto tenero. Mi ricordo anche che, un altro giorno, un grosso insetto mi entrò nella camicetta e non voleva più lasciarmi; si vede che si trovava bene. Per fortuna, dopo che aveva scorrazzato un po’ sotto i miei vestiti decise di andarsene senza pungermi».

Anche di Clint Eastwood ha un bel ricordo. «Fu davvero meraviglioso lavorare con lui. Un grande professionista, molto serio e organizzato sul set. Pensate che si svegliava alle cinque del mattino per aver poi il tempo, una volta terminate le riprese di quel giorno, di andare a giocare a golf. Ma sul set non girava una mosca perché lui era tranquillo, ma esigente. Solo una volta lo sentii urlare, perché qualcuno disturbava fuori campo. Fu l’unica occasione, da quel momento tutti rimasero concentrati al massimo per la durata delle riprese».

Venendo all’ultima parte della sua carriera, Meryl Streep ha parlato anche del film su Margaret Thatcher The Iron Lady. «Ho opinioni politiche diverse dalle sue, ma quello fu un film che parlava dei suoi ultimi giorni al potere e soprattutto di una donna che tornava umile e umana. Mi ha entusiasmato lavorare su di lei, ma sicuramente un film sulla sua politica si deve ancora realizzare». L’ultimo accenno l’ha fatto a Don’t Look Up, del 2021, di Adam McKey. «Non avevo una parte da protagonista, ma è stata un’esperienza molto divertente e Adam è un regista che riesce a far passare messaggi, anche molto duri, attraverso lo humour».

E a proposito del ruolo e della posizione delle donne nel mondo del cinema, ha espresso tutta la sua stima per le colleghe produttrici Natalie Portman, Reese Whiterspoon e Nicole Kidman: «Sono così ammirata da loro. Anche io ho una società, ho prodotto bambini». Meryl Streep infatti è madre di quattro figli e nonna di cinque nipoti.

L’attrice sarà sicuramente ricordata come la vera regina di questa edizione. Sia per la sua allure da star d’altri tempi, sia per l’innata semplicità e normalità con la quale si pone al pubblico e ai cinefili.