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Dove e quando
Faccia a Faccia. Giacometti, Dalí, Miró, Ernst, Chagall. Omaggio a Ernst Scheidegger. Fino al 21 luglio al LAC di Lugano.
Orari: ma-me-ve 11.00-18.00; gio 11.00-20.00; sa, do, festivi: 10.00-18.00.
I ritratti d’artista di Ernst Scheidegger
Al LAC fino al 21 luglio si può ammirare l’esposizione a cura di Tobia Bezzola e Taisse Grandi Venturi
Gian Franco Ragno
Nato come vetrinista e illustratore, Ernst Scheidegger (1923-2016) si formò come fotografo tra il 1945 e il 1948 nella celebre classe di fotografia di Hans Finsler alla Kunstgewerbeschule di Zurigo, fucina di molti talenti. Qui ebbe anche l’occasione di lavorare con Alfred Willimann, grafico che applicava la fotografia alla pubblicità, e con l’artista Max Bill.
Diventato affermato fotografo di reportage per Magnum (1952), presente nei maggiori settimanali del tempo, Scheidegger è conosciuto per essere diventato un editore di successo (1962) e anche un gallerista (1971-1992).
Una lunga carriera e un’ampia presenza sulla scena artistica che in parte ha nuociuto storicamente alla sua considerazione strettamente artistica, in un’epoca in cui si vedevano i fotografi-fotogiornalisti e in seguito anche i fotografi di moda – come degli eroi romantici contemporanei per eccellenza.
L’esposizione a Lugano, a cura di Tobia Bezzola e Taisse Grandi Venturi, è la seconda tappa arricchita della mostra al Kunsthaus di Zurigo che l’anno scorso ha reso omaggio a Ernst Scheidegger per i cento anni dalla nascita. Realizzato in collaborazione con quest’ultima importante istituzione e con la fondazione omonima dell’artista, il percorso espositivo si snoda in due sezioni ben distinte. La prima presenta scatti inediti collocabili nel primo decennio del secondo dopoguerra (1945-55). Rispetto a ciò che conosciamo di Scheidegger appare qui, nella sua dimensione più autentica, ovvero come un fotografo di notevole caratura, capace di sommare la qualità formale dell’immagine tipica di Werner Bischof, di cui fu assistente e amico, alle poesia e liricità della vita quotidiana tipica di un Gotthard Schuh, fotografo svizzero centrale degli anni Trenta, di cui Scheidegger fu il successore come direttore editoriale del supplemento illustrato «Wochenende», della «Neue Zürcher Zeitung» dal 1960 al 1989.
La seconda sezione, ben delineata e distinta, è quella del ritratto d’artista, che spesso l’artista realizzava su commissione delle riviste d’arte dell’epoca o per l’illustrazione di cataloghi delle gallerie del tempo – come Cahier d’Art e XXème Siècle. È una fase più riflessiva, nata dall’abbandono del fronte caldo delle guerre dopo la morte di Bischof e Capa nel 1954, due tragedie che lo trascinano in una crisi esistenziale e lavorativa. In questo momento appare importante l’aiuto del maestro e amico Max Bill, artista tra i più influenti in Svizzera, che gli fornisce occasioni di dedicarsi all’insegnamento e ad altri progetti istituzionali legati alla promozione delle arti.
Nel ritratto d’artista, Scheidegger si muove con grande tatto: restituisce gli autori senza retorica o intenti celebrativi, anzi riprende i grandi nomi – l’elenco sarebbe lungo e comprende decine di personalità – con discrezione al limite dell’invisibilità. In esposizione, ad esempio, si possono ammirare Verena Loewensberg e Fritz Glarner e vedere come si muovono e si mostrano, quasi ignari della presenza dell’autore e dello scatto.
Ritratti spesso mentre lavorano, in pieno flusso creativo, i protagonisti appaiono più attenti a quello che stanno facendo, in nessun caso disturbati dalle riprese del fotografo. Ad esempio, Jean Arp, i cui scatti lo vedono completamente assorto nell’osservazione del Berger de Nuages. Assai suggestive anche le immagini degli atelier, tra cui il bellissimo scatto dello studio progettato da lei stessa a Meudon, alle porte di Parigi, di Sophie Taeuber-Arp, lasciato intatto dal marito citato precedentemente, com’era al momento della morte dell’artista nel 1943 – un luogo d’arte sospeso e poetico, tristemente immutato.
Ma il vertice insuperato in questo ambito è senza dubbio la nota amicizia con Alberto Giacometti (1901-1966), nata durante il servizio militare nei Grigioni nel 1943, prima di diventare fotografo, e proseguita intensamente negli anni a seguire, in molte riprese e anche in un celebre documentario trasmesso in esposizione: da questo rapporto nasceranno delle immagini insuperate, intense e indimenticabili come, tra le molte, il ritratto in primissimo piano che fu presente sulla banconota da centro franchi. Non solo: invisibile presenza acquisita, titolare di un lasciapassare dato dalla sua amicizia, con un passo leggero come quello di un gatto, l’obiettivo di Scheidegger poté muoversi liberamente all’interno del piccolo universo dello scultore, lo studio di Rue Hippolyte-Maindron al numero 46, lasciandoci delle testimonianze uniche di uno dei luoghi più creativi del Novecento (come quella in foto in cui Alberto Giacometti dipinge Isaku Yanaihara, 1959)
La mostra, sempre in questa seconda sezione di ritratti, da qui il nome Faccia a Faccia, presenta altresì tutta una serie di opere di straordinaria qualità provenienti in gran parte dal Kunsthaus di Zurigo. In particolare colpisce il magnifico ritratto di Ernst Scheidegger eseguito da Giacometti negli inverni tra il 1958 e il 1959.
Dopo quella su Werner Bischof, con questa mostra il MASI contribuisce a scrivere una nuova pagina della fotografia svizzera che sappiamo essere meritevole di tanti nuovi approfondimenti.