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Feu Feu Feu, ritratto di una generazione

Intervista alla regista Pauline Jeanbourquin che al Festival Visions du Réel di Nyon ha presentato il suo lungometraggio
/ 13/05/2024
Muriel Del Don

Dopo due intriganti cortometraggi: La séance de 15H (2017) che parla di un gruppo di assidui cinefili e Crépuscule (2018) nel quale mette in scena una coppia alle prese con i terribili retroscena della depressione, la giovane regista giurassiana Pauline Jeanbourquin presenta il suo primo lungometraggio Feu Feu Feu di fronte all’esigente pubblico del festival Visions du Réel di Nyon giunto quest’anno alla sua 55esima edizione tenutasi dal 12 al 21 aprile. Interessata da sempre a indagare il quotidiano di persone in apparenza comuni che sublima grazie al cinema trasformandole in personaggi straordinari, nel suo lungometraggio di debutto Pauline Jeanbourquin si interessa ad una giovane «coupeuse de feu», come si definiscono in francese i guaritori e le guaritrici che praticano «il segreto».

Juliette è una ragazza francese di diciassette anni che ha appena ottenuto la maturità e sogna di diventare ostetrica. Un futuro al contempo radioso e spaventoso si dispiega davanti a lei obbligandola a riflettere su quali siano le sue priorità. Sì perché Juliette oltre a essere apparentemente una liceale come tante altre, è anche «Junniverse», un’influencer che conta 40’000 followers su TikTok e Instagram. Una sorta di strega moderna che scruta il mondo attraverso i tarocchi, le pietre o l’imposizione delle mani, Juliette parla senza tabù del dono, ricevuto dalla nonna, con i suoi numerosi abbonati ma anche con i suoi amici con i quali parte per un campo scout in un convento in riva al mare. Tra risate per sdrammatizzare le paure legate a un futuro ancora incerto e confidenze sussurrate, Juliette ne cura le scottature solari o spiega, senza troppi dettagli, cosa significhi essere una magnetizzatrice. Il tempo di un’estate, Pauline Jeanbourquin ci permette di entrare nell’intimità di un gruppo di giovani (nella foto, un momento del film) che sognano un mondo diverso. Abbiamo incontrato la regista in occasione del suo passaggio a Visions du Réel.

Cosa la affascina dei guaritori e delle guaritrici che praticano «il segreto»? 
Sono giurassiana e in questa regione della Svizzera i guaritori e le guaritrici spirituali che praticano «il segreto» sono molto conosciuti. Volevo parlare di queste persone ma con lo sguardo della nuova generazione. Inizialmente ho incontrato una ragazza, ho iniziato a filmarla e a capire quale direzione volevo dare al film. Purtroppo, in un secondo tempo, lei ha deciso di non voler utilizzare il dono ricevuto dal nonno e fare la guaritrice costringendomi a ripensare il film. Nel mentre, sono capitata per caso su un TikTok di Juliette, la protagonista del mio film, che mi ha entusiasmata fino a convincermi che sarebbe stata la protagonista perfetta per la mia storia. Juliette è molto cinegenica e parla senza tabù del suo dono. Apprezzo molto la sua spiritualità «anticonformista», la sua filosofia di vita. Il suo modo di approcciare il dono è molto particolare, innovativo e coraggioso perché spesso i guaritori e le guaritrici che praticano il segreto non possiedono il lato spirituale che invece a lei appartiene. Juliette ha uno spirito positivo, è fiduciosa verso la vita e questo mi piace molto. Quando ci siamo incontrate mi ha subito parlato del ritrovo scout estivo al quale avrebbe partecipato con degli amici. La particolarità di questo ritrovo è che si svolge in un convento in riva al mare, un luogo misterioso ed esteticamente grandioso che ho trovato molto interessante da un punto di vista drammaturgico. Filmare una «strega moderna» in un convento non poteva che essere interessante. Sebbene all’inizio volessi fare un film sui guaritori e le guaritrici che praticano il segreto, il destino ha fatto sì che il tema si ampliasse. Il film, nella sua forma finale, parla, più in generale, di una giovane ragazza che cerca di dare un senso alla sua vita grazie alla sua spiritualità «anticonvenzionale». Feu Feu Feu è il ritratto di una generazione, di un gruppo di amici che diventano adulti. Volevo parlare di loro, dell’immagine che danno di loro stessi sui social media e di quanto questa si discosti dalla realtà.

Come affronta Juliette la sua doppia vita: quella di star dei social media e quella di guaritrice?
Per me è molto importante non giudicare le persone che filmo. Mostrare ma non giudicare. Sebbene non aderisca alla religione cattolica, soprattutto per la sua visione anti-femminista, trovo comunque che le suore che ho filmato dimostrino una grande forza di carattere. Hanno deciso di vivere una vita al di fuori della società e hanno seguito questa strada senza guardarsi indietro. Si può non condividere le scelte di vita di qualcuno, ma bisogna comunque rispettarle. Nel caso di Juliette, sui social media è molto a suo agio, ma quando l’ho incontrata per la prima volta era molto timida, imbarazzata. Trovo questa sua dualità estremamente interessante perché ci sono realmente due Juliette che coabitano in lei: quella dei social e quella della vita reale. Dietro la prima, sicura di sé, per alcuni fin troppo, si nasconde una persona umile e molto empatica. Il mio film ritrae questi due lati della sua personalità, uno iper controllato e l’altro più spontaneo e vulnerabile.

Feu Feu Feu è anche un film sull’adolescenza, sulla fragilità e la spontaneità di giovani che condividono le stesse speranze e le stesse paure. Come è stato lavorare con loro?
Non volevo fare semplicemente un film sul «dono» ma anche e soprattutto su un gruppo di giovani che vivono, insieme, dei momenti forti. Ci sono milioni di gioventù diverse e io ne mostro una, quella legata allo scoutismo. Mi affascinavano perché io, alla loro età, non mi ponevo così tante domande. Spesso la gente crede che il genere documentario metta in scena la realtà, senza filtri, ma non è così. Quando si posiziona una cinepresa, la verità non esiste più perché i protagonisti sanno che sono filmati, osservati e scrutati e quindi si trasformano perdendo la loro spontaneità. Il mio lavoro consiste nel creare un safe place dove possano essere nuovamente loro stessi ritrovando l’autenticità che hanno perso. Con questi ragazzi condividevamo la quotidianità, dormivamo vicino a loro, passavamo quasi tutto il tempo insieme e questo ci ha indubbiamente aiutato. Conoscevamo il loro programma e sapevamo che la sera facevano sempre un gioco diverso. Se il gioco ci interessava, posizionavamo la cinepresa e osservavamo come interagivano tra di loro. All’inizio erano un po’ stressati ma poi hanno dimenticato la nostra presenza e la magia è avvenuta.

Il suo film non cade nella trappola dell’ecofemminismo mainstream, al contrario mostra il rapporto che Juliette intrattiene con la natura in modo molto gender fluid. Cosa può dirci a proposito?
In un’intervista mi hanno chiesto se Feu Feu Feu è un film femminista visto che parla di streghe e di rituali ancestrali praticati da una giovane donna. Io rispondo che il mio film è intrinsecamente femminista anche se non l’ho concepito e creato in quanto tale. Nella vita ho sempre fatto quello che volevo, poco importa quello che la società patriarcale dice o pensa. Non ho bisogno di rivendicarlo, per me è un’evidenza. Nel mio film i ragazzi abbattono gli stereotipi legati al loro genere, parlano dei loro sentimenti senza vergogna e interagiscono con le ragazze trattandole al loro pari. Juliette è indubbiamente una strega moderna ma non perché volevo fare un film femminista, lo è e basta, fa parte della sua essenza.