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A Ginevra il San Francesco di Messiaen

Al Grand Théâtre una nuova produzione del Saint François d’Assise con la direzione di Jonathan Nott
/ 06/05/2024
Francesco Hoch

Il compositore svizzero Rolf Liebermann, direttore del Teatro di Parigi dal 1973 al 1980, non si era sbagliato nel voler insistere presso Olivier Messiaen, che aveva dapprima rifiutato, di invitarlo a comporre un’opera, che per il compositore francese sarebbe stata in realtà anche la sua prima in assoluto. Non solo, in quell’epoca, a metà Novecento, quando il genere operistico era sicuramente in un momento di crisi, cioè in piena e ricca sperimentazione, e Messiaen stesso non si sentiva ancora a suo agio nell’affrontare un genere che richiedeva essenzialmente una narrazione, una storia da raccontare. Alla fine accettò, scegliendo un tema a lui molto caro, la fede tutta particolare come quella di un santo come San Francesco d’Assisi, in cui poteva trattare e articolare il suo discorso rifacendosi all’espressione teatrale dei Misteri medievali.

Così nasce il suo Saint François d’Assise che abbiamo visto al Grand Théâtre di Ginevra in una nuova produzione che ha dovuto affrontare una partitura di notevole dimensione che il bravissimo direttore Jonathan Nott ha voluto far notare precisando le sue dimensioni: quaranta centimetri di spessore, diciotto chilogrammi di peso e la durata di quasi cinque ore.

Anche l’indicazione scritta in partitura di voler avere l’orchestra e i cori tutti sul palco e non nella fossa, ha messo in difficoltà molti teatri che hanno spesso desistito dal rappresentare quest’opera dopo la prima a Parigi del 1983. La messa in scena di Adel Abdessemed è così dovuta avvenire davanti ai musicisti stessi, trovando interessanti accorgimenti teatrali, come le proiezioni su schermi circolari che venivano calati dall’alto.

Un raro colloquio visivo così ravvicinato, tra musica e scena, l’avevamo potuto apprezzare di recente al LAC nella stupenda proiezione di Nosferatu di Murnau, dove l’Orchestra e il direttore, sul palco dal vivo, sembravano pure proiettati nel film stesso.

Il colloquio tra musica e scena

In Saint François d’Assise a Ginevra questo strettissimo colloquio è avvenuto in particolare nel sesto quadro, la Predica agli uccelli, dove l’orchestra e i cori erano ben visibili perché la musica qui non possedeva più solo la funzione di narrare i contenuti di un discorso, ma era essa stessa il contenuto, proprio per l’uso del canto degli uccelli che Messiaen aveva a lungo studiato e messo creativamente in musica in molti dei suoi lavori.

Questo valore della musica in sé viene anche proposto nel colloquio tra San Francesco che si rivolge a Dio attraverso l’Angelo e ottiene una risposta in musica. La musica, quindi, per Messiaen acquisisce un’espressione superiore alle parole, un’arte che arriva dove le altre arti non arrivano, cioè, romanticamente, può «esprimere l’inesprimibile». Ma la musica di Messiaen è tutt’altro che romantica e quest’opera rappresenta una sorta di «summa» di tutta la sua esperienza compositiva. Più noto e apprezzato è il suo aspetto religioso o mistico, – Messiaen è un cattolico fervente – mentre i lavori strutturali di base, meno noti o quasi sconosciuti, basti citare Les modes de valeurs e d’intensités per pianoforte del 1949-50, sperimentano le strutture astratte che produrranno i fondamenti per tutta la sua produzione che gli permetteranno di mescolare avanguardie e tradizioni tonali o modali.

Nell’uso del canto degli uccelli, la musica si sviluppa in intrecci fantasticamente informali, mentre nei primi Tableau dell’opera sentiamo monodie e monoritmie provenienti da mondi più tradizionali. Spesso succede anche che una sezione con numerose dissonanze termini con una consonanza quasi a indicare la fine risolutiva di un pensiero. San Francesco, basso, canta sempre con una forza e una certezza proveniente dal suo «credere» e dalle risposte che può trovare solo in Dio. Il canto espanso è la base di tutto il discorso musicale che immette, nelle voci dei numerosi Fratelli, le domande a San Francesco, chiamato Padre, basato su un testo scritto interamente dal compositore stesso. Il Padre San Francesco si identifica con Gesù stesso: chiede di ricevere il dolore delle stigmate e di poter soffrire come Gesù sulla croce.

«La Croce» è proprio il primo degli otto Quadri dell’opera raggruppata simbolicamente in tre Atti. Le simbologie numeriche sono molte, ci fanno ricordare quelle delle Cantate o delle Passioni di Johann Sebastian Bach suddivise in Quadri con sottotitoli precisi, quasi didattici, sottolineati ogni volta da una interruzione della rappresentazione, frutto di quel desiderio antioperistico dichiarato. Il finale, comunque, con la morte di San Francesco tanto drammatica e così eccessivamente prolungata, ci riporta alla tradizione, nonostante i bellissimi interventi dei due cori che hanno collaborato con grande delicatezza per tutta l’opera.

I cori del Grand Théâtre e Le Motet di Ginevra hanno sostenuto magnificamente la loro parte in contrappunto con una sempre brillante e trasparente Orchestra della Suisse Romande anche nei passaggi più virtuosistici. Dei solisti vocali, accanto ai bravi sei Frati e al Lebbroso, spiccano il baritono Robin Adams nella parte di San Francesco e il soprano Claire de Sévigné nella parte dell’Angelo, unica parte solistica femminile dell’opera.