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Bibliografia

Enrica Ferrari, Mia madre aveva una Cinquecento gialla, Fazi Editore, Roma, 2024.


«Con fatica ho lasciato alle spalle la vita precedente»

Nel suo romanzo d'esordio Enrica Ferrara racconta la sua storia di famiglia segnata dal destino del padre, esponente DC nell’Italia degli anni 80
/ 06/05/2024
Blanche Greco

«Mia madre aveva una 500 gialla … mio padre un’altrettanta blu. Nell’Alfetta di papà si poteva arrivare alla quinta. Nella 500 gialla ce n’erano solo 4 di marce. A volte papà scherzava e diceva a mamma che era piccola, gialla e aveva una marcia in meno. Mamma, non la macchina».

Si può leggere quasi come una favola la storia di Gina: dieci anni, una fantasia sfrenata, una famiglia qualsiasi fino a quando suo padre, il suo idolo, non si dà alla fuga inseguito da una balena bianca e sparisce. Allegorie? Non proprio, Enrica Ferrara nel suo romanzo di esordio Mia madre aveva una Cinquecento gialla rievoca la propria infanzia gioiosa e poi lacerata da quel fatto traumatico che cambiò la sua esistenza, perché Gina è lei, che con la sua famiglia fu travolta da uno di quegl’ingarbugliati scandali politici e finanziari che martoriarono l’Italia a cavallo degli anni 80. Come Gina, dovette abbandonare i sogni dell’infanzia e confrontarsi con parole nuove: «brigatista», «camorrista», «latitante», «capro espiatorio», ma quale di esse celava la vera identità di suo padre? Il vocabolario non l’aiutava a capire la politica e la società dell’epoca: chi erano «i rossi»? E la «balena bianca», ossia la Democrazia Cristiana, il partito politico italiano più potente dell’epoca? Il romanzo inizia come un’avventura infantile, ma poi il tono leggero, pieno di humour, assume il ritmo serrato di un thriller, emergono episodi inquietanti, personaggi ambigui e minacciosi, la realtà e la finzione s’intrecciano e la ricerca della verità per Gina diventa qualcosa di più di un’esigenza sentimentale come, ci ha raccontato la stessa Enrica Ferrara.

Cosa l’ha spinta a scrivere al contempo una favola, un giallo e un romanzo di formazione a 40 anni dai fatti ai quali s’ispira?
Volevo fare chiarezza, prima di tutto dentro di me. All’inizio avevo scritto un romanzo su tre donne che sopravvivevano alla fuga di un uomo misterioso. Era una storia di emancipazione femminile che piaceva molto a mia madre, a mia sorella e anche a me, perché ci raccontava bene, senza mio padre. Ma quel «buco nero» m’impediva di affrontare il nodo della questione: il trauma dell’abbandono che mi porto dietro dal giorno della sua fuga. E poi volevo fare i conti con la verità storica di quella vicenda: i fatti che lui mi aveva raccontato, quanto era apparso sui giornali e poi era emerso nelle varie inchieste.

Chi era suo padre e cosa l’aveva indotto a lasciarvi e a fuggire?
Mio padre era giovane, era un politico che aveva fatto una carriera folgorante nella Democrazia Cristiana a Napoli, ed era a parte di alcuni segreti che i suoi compagni di partito non avrebbero voluto condividere. Quando alcuni di questi personaggi pensarono che lui potesse minacciare i loro schemi di potere, decisero di «silurarlo». Era il 1980, lui era direttore del Banco di Napoli e si occupava della propaganda elettorale, e venne accusato di avere creato dei «fondi neri». Per evitare l’arresto lasciò la famiglia e si dette alla latitanza.

Lei cosa sapeva di tutto questo?
Niente. Mia sorella era più grande di me ed era la confidente di mia madre che, impaurita e amareggiata, riteneva che lui dovesse proteggere noi prima di sé stesso. Io ero la bambina «piccola» che, come si dice spesso, «a quell’età tanto non capisce»; io invece capivo tutto. Mio padre mi mancava terribilmente, così sprofondata nella solitudine e nelle fantasie, un po’ spia e un po’ detective, costruivo la mia verità con quello che vedevo e che sentivo. Quando un pomeriggio al telegiornale riconobbi la foto di mio padre sorridente, ero felice, convinta che fosse diventato famoso! Nei giorni successivi a scuola le mie compagne presero a ignorarmi e io piansi disperata. Non sapevo che mia madre non avesse più rapporti sociali. Ci avevano fatto terra bruciata intorno.

È Gina, bambinetta di diecianni innamorata di papà, la voce narrante del libro: perché?
Perché nelle mie fantasticherie di quel periodo c’era la chiave di tutto, anche di un’avventura alla Mark Twain che mi permetteva di raccontare quelle vicende vere, come un romanzo. Quando un bambino subisce un trauma così profondo è difficile che la ferita si rimargini. Io vivo in Irlanda dove mi sono costruita una famiglia e una carriera accademica e, attraverso la letteratura e la scrittura, anche un’identità diversa. Con fatica mi sono lasciata alle spalle la vita precedente per poi riappropriarmene pian piano. Salvo mio marito e un po’ i miei figli, il resto della famiglia ignora la mia storia.

Nel libro racconta un incontro con suo padre sette anni dopo la sua fuga, è avvenuto davvero?
Sì, anche se non abbiamo mai avuto una giornata intera per noi. Papà era in latitanza e per incontrarlo bisognava proteggerlo e proteggersi. Perciò quello del libro, in realtà, è il frutto di alcuni appuntamenti rocamboleschi, durante i quali mi raccontò molte cose perché voleva che capissi che era innocente e che sapessi che avrebbe fatto di tutto per farci risarcire di tante sofferenze.

Suo padre riuscì a tornarea una esistenza normale?
Mentre era in fuga si era costruito una nuova famiglia con una donna meravigliosa che aveva accettato di nascondersi con lui e che gli ha dato due figli. Come mio padre mi ha detto varie volte: nel 1978 tutti nella DC sapevano dove i brigatisti tenevano prigioniero Aldo Moro. Quindi anche nel caso di mio padre, i suoi nemici nella Democrazia Cristiana, sapevano bene dove lui si nascondeva, ma per loro era meglio che restasse «latitante», così la verità non veniva a galla. Dopo l’assoluzione al processo di Pescara si tranquillizzò un po’, ma c’erano ancora delle vicende giudiziarie in sospeso a Napoli. Mio padre è morto a sessantun anni per un attacco di cuore.

Lei fa un elenco dei casi eclatanti di quegli anni, a corollario di quanto successo a suo padre: dall’omicidio Moro, a quello Ambrosoli, alle vicende del Banco Ambrosiano. Suo padre fuggì per salvarsi la vita, o per paura?
Nel libro rifletto molto su quegli anni, sulla società italiana, la politica, sui rapporti tra uomini e donne che fanno da sfondo alle avventure di Gina. Io ho perdonato mio padre, ma non perdonerò mai i politici coinvolti in questa storia per quello che ci è stato fatto. Non faccio i veri nomi e so che non hanno distrutto solo la mia famiglia. Ma io almeno sono riuscita a trasporre la mia storia in un libro, mentre altri che sono stati cinicamente «tolti di mezzo», non hanno potuto lenire in alcun modo la paura, il trauma e il dolore di quanto hanno subito.