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Cento anni di Goliarda Sapienza

Il 10 maggio 1924 nasceva la scrittrice italiana
/ 06/05/2024
Stefano Vastano

Ogni centimetro del Serapo, la più grande spiaggia di Gaeta, è tappezzata di stabilimenti con file di ombrelloni e lettini, famiglie e giovani napoletani e romani che si accalcano al sole di questo litorale fra la capitale e Napoli. È in questa cittadina a 165 km da Roma, con il suo maestoso Castello Angioino e le scogliere a strapiombo sul mare che Goliarda Sapienza (nella foto, dettaglio di copertina di Lettera aperta, Einaudi, 2017) ha finito di scrivere il suo capolavoro: L’arte della gioia. La storia di Modesta, una ragazza, o meglio di una «carusa» tosta, curiosa e determinata che nasce – poverissima, in un capanna in mezzo alle campagne e al fango – il primo gennaio del 1900. E che con le sue mille traversie, fallimenti e conquiste ci consente di attraversare l’intero Novecento. Un secolo di storia italiana rivisto con gli occhi voraci di Modesta, attraverso la pelle di una donna forte, dura, e sempre più emancipata. «Ci ha messo più di 10 anni Goliarda a scrivere questo suo capolavoro; la ricordo ancora la sera in cui venne a trovarmi qui nel mio atelier e con voce commossa mi disse: “Ruggiero, ho finito il mio romanzo!”».

Ruggiero Di Lollo, simpaticissimo pittore e scultore ci riceve nel suo studio sulle colline di Gaeta, e ne ha tanti di ricordi della sua più cara amica. Ricorda anche la sera in cui per la prima volta si conobbero: «era il 1975, Angelo Pellegrino si presentò qui a cena a Gaeta con Goliarda e noi brindammo con una bottiglia di bianco, che poi è diventato il simbolo della nostra amicizia». L’arte della gioia però non ebbe, all’inizio, fortuna. Nessuno dei grandi editori – né Einaudi né Rizzoli – se la sentì di pubblicare un romanzo così cruento, fortemente intimo, a tratti anche incestuoso come questo. Dobbiamo solo alla tenacia di Angelo Pellegrino, l’uomo che dopo i primi 18 anni passati da Goliarda con Citto Maselli, visse con lei dai primi anni 70, se alla fine il suo romanzo venne pubblicato da Stampa alternativa, nel 1998, almeno in parte e in pochi esemplari.

«I primi tempi andavo in libreria, ricorda Angelo Pellegrino, ma quelle poche copie del romanzo di Goliarda erano ancora lì, nessuno le acquistava». D’altronde, nel 1998, Goliarda aveva già lasciato questa terra da due anni, senza la gioia quindi d’aver mai visto una copia del suo colossale epos così impregnato di vita in Sicilia, così politico, e così femminista (ma senza mai suonare però ideologico, tantomeno dogmatico). Fu proprio tra le spiagge, i bar e i vicoli di Gaeta che Goliarda – dopo i primi anni del dopoguerra passati a Roma lavorando nel cinema e nel teatro (recitò anche con Visconti, in Senso ad esempio) – scoprì e si tuffò anima e corpo nella letteratura, nella scrittura intensa, arzigogolata e sempre autobiografica dei suoi libri.

«Quando lei ed Angelo venivano qui a Gaeta, continua Ruggiero, vivevano davvero di poco, per non dire in estrema povertà. Sono stato io a trovargli quel suo primo appartamentino a via Indipendenza, un quadratino di 4 metri per quattro, ma con un terrazzino sui tetti». Pazzesco che in uno spazio così minuscolo, nei vicoli di Gaeta, con un esercizio quotidiano ostinato, quasi monacale e al limite dell’assurdo – Goliarda scriveva con la una penna Bic su fogli che piegava e riempiva sino all’ultimo della sua scrittura minuta – possa nascere tanta grande letteratura. Accompagnata per giunta dall’immancabile vizio a cui lei non rinunciò mai, e che vediamo in ogni sua foto (o anche in certi video): le sue immancabili sigarette Muratti. «Si è dovuta vendere persino i suoi quadri, anche dei Vespignani, confessa Ruggiero, per poter andare avanti a scrivere la sua storia, cioè quella di Modesta e del suo grande romanzo».

Il manoscritto originale de L’arte della gioia arrivava quasi a mille pagine; la redazione finale curata da Angelo Pellegrino ne comprende, nell’ultima edizione del 2017 per i Supercoralli Einaudi, la metà. Figlia di Maria Giudice, la famosa sindacalista di Torino (una socialista che cucinò anche per Gramsci e Terracini) e dell’avvocato siciliano Giuseppe Sapienza, Goliarda mostrò sin da bambina il suo carattere forte, impulsivo, da maschiaccio. Famosi quei dieci giorni, nel 1980, in cui fu arrestata e che passò al carcere di Rebibbia. Una brutta storia che si deve alla sua estrema indigenza, e a un furto di gioielli a spese di una sua amica napoletana. «Ma era talmente ricca quell’amica che nemmeno se ne accorse del furto dei gioielli», commenta oggi Ruggiero. Per fortuna che di quell’episodio così cruento nella vita di Goliarda ci è rimasta una stupenda testimonianza: L’università di Rebibbia, il racconto del 1983 in cui Goliarda, con la sua solita e spietata sincerità, racconta la sua «esperienza» nelle carceri romane. A Gaeta in ogni caso, nei bar dove lei ogni mattina andava a scrivere – ai tavoli del bar Triestina o Hermes – qualcuno ancora la ricorda «la Signora», come gli abitanti del posto l’avevano ribattezzata. Impossibile d’altronde dimenticarsi quella donna dallo sguardo e sorriso così gentili, che «girava sempre con il suo ufficio rosso dietro», come Ruggero chiama la sacca di lana rossa in cui Goliarda, oltre ai pacchetti di sigarette, metteva i suoi fogli e la penna.

«Non appena in una gita, nella mia casa a Palmarola o per Gaeta trovava una bella pietra, lei si stendeva usando la sacca rossa come cuscino», come vediamo in certe foto in cui Ruggero l’ha immortalata. E come sentiamo anche nelle tante pagine dell’Arte della Gioia in cui Modesta, cioè Goliarda racconta il suo rapporto quasi carnale con il mare, l’amore viscerale per la terra, la campagna. «L’hanno trovata morta nel suo appartamento, sulle scale di casa a via Indipendenza, erano quattro giorni che era morta», ci dice Tonino Lieto, il direttore della Pinacoteca comunala di Gaeta. «La nostra Associazione Novecento, ricorda lui, ha fatto di tutto per organizzare alla scrittrice, che pochi allora conoscevano, un funerale e darle una degna sepoltura». E organizzare anche le prime conferenze, sempre a Gaeta, ad esempio con Giovanna Providenti, per ricordarla e iniziare a far conoscere l’opera di questa originale voce del Novecento.

Certo, oggi la sua opera – dal primo romanzo Lettera aperta del 1967 ai vari racconti postumi sino alle poesie di Ancestrale (pubblicate nel 2013) sono tutte pubblicate da Einaudi. E Angelo Pellegrino ha pubblicato l’anno scorso Goliarda, i suoi ricordi della moglie.

Quando morì però, nell’estate del ’96, Goliarda era sola a Gaeta, si sentiva abbandonata, come testimonia Ruggiero. Altri tempi. Oggi sulla piazzetta che porta il suo nome, nei vicoli pieni di vita (e turisti) a Gaeta, vicino alla sua via Indipendenza, ammiriamo il busto, il volto della scrittrice con lo sguardo lievemente melanconico che Ruggiero Di Lollo le ha dedicato. «Goliarda Sapienza», leggiamo in caratteri dorati sopra una base di tre libri in marmo. Sulla parete accanto al busto tanti fogli con frasi di Goliarda e degli scrittori da lei più amati. Sulla saracinesca di un garage ecco una delle sue frasi taglienti, e profonde sul senso della letteratura e dell’arte: «Non amo la musica, i romanzi o i quadri per poi fare bella figura in società, ma per viverli solamente senza impegno». Ne parliamo di lei con la fruttivendola, che ci offre dei fichi dolcissimi, per recuperare qualche traccia della grande scrittrice. Ne parliamo con la figlia del proprietario del bar Hermes, che ricorda l’orgoglio di suo padre quando Goliarda gli regalò, firmandola, una copia della Università di Rebibbia. «Ho scritto un articolo su di lei qui a Gaeta sulla “Gazzetta di Gaeta”, ci dice orgogliosa Claudia, per noi giovani lei è un mito». Suono al campanello del B&B Casetta Sapienza. «No, risponde la proprietaria, lei non ha vissuto qui, ma nella casa di fronte. Tutti gli anziani però ricordano quella donna che passava le mattine ai bar a fumare e a scrivere». «Piazza Goliarda Sapienza (scrittrice)»: questa la targa sulla piazza che Gaeta le ha dedicato, ed è la prima piazza col nome di donna nella cittadina. Al cimitero della cittadina un’altra targa in marmo con lo stemma rosso e bianco, i colori di Gaeta, ne omaggia la memoria: «Goliarda Sapienza (Catania 1924 – Gaeta 1996), scrittrice, Attrice Voce libera, innamorata di Gaeta». Nella cappella, la tomba che ne custodisce le spoglie è l’unico loculo, fra tanti gaetani, che non ha bisogno di foto alcuna. Perché Goliarda Sapienza, scrittrice, ci ha lasciato un’opera immensa che non ha certo bisogno di foto. Ma che vale la pena di esser letta dalla prima all’ultima pagina.