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Bibliografia

Andrea Kerbaker, Stradario sentimentale di Milano. Storie dalla città che cambia, Milano, Rizzoli, 2024.


Il bizzarro tesoro della toponomastica meneghina

Bussole: viaggio tra i nomi delle strade che raccontano vicende e figure della Città nel recente «Stradario sentimentale di Milano» di Andrea Kerbaker
/ 06/05/2024
Stefano Vassere

La toponomastica cittadina, che chi se ne occupa scientificamente chiama odonomastica, è la consuetudine di dare un nome alle aree di circolazione nelle città e può essere ritenuta tra le pratiche amministrative più esposte a una sorta di paradosso: da una parte taluni hanno la tentazione di ridimensionarne l’importanza, accompagnandola con benevolenza nel calderone delle inutilità per le quali non si ha tempo da perdere, essendo come è ormai uso dire ben altri i problemi della gente e dei comuni. D’altro canto, poco cede più facilmente all’accapigliarsi tra fazioni tanto quanto scegliere questo o quel nome, questa o quella causa, questo o quel genere di persona cui dedicare una via o una piazza.

Il costume di scegliere bene un nome da dare alle parti delle città non è acquisizione universale, tanto è che in certe regioni del mondo, anche di non seconda fila come gli Stati Uniti, si usa dare numeri o lettere, o tutt’al più si cede a nomenclature comode, nomi di piante, di musicisti, di poeti, scelti un po’ a caso e raggruppati tutti insieme nello stesso settore della città. Chi si occupi dello studio dei nomi propri sa che un nome di una via o di una piazza risponde a numerose esigenze, alcune amministrative e altre di tipo più culturale e simbolico: di sicuro l’individuazione dei luoghi del comune, l’orientamento spaziale, il controllo amministrativo; ma poi anche una sorta di messaggio di ordine culturale dell’autorità, un indirizzo politico, la condivisione di comuni valori e personalità.

Le vie, le piazze, i vicoli, i larghi ecc. della città di Milano che hanno un nome sono circa quattromila. Sono tanti, e quindi hai voglia a raccontarne le genesi, quella del luogo ma soprattutto quelle delle varie attribuzioni di un nome! Lo fa, bene, lo scrittore e facilitatore di cose culturali e librarie Andrea Kerbaker in questo Stradario sentimentale di Milano. Storie dalla città che cambia. Prima di tutto, tra i molti pregi della sua rassegna c’è l’avere capito e fatto proprio un meccanismo particolare: quello secondo cui la città cambia e anche di tanto ma per una sorta di diavoleria linguistica-onomastica i nomi rimangono intatti, e sopravvivono come fossili a testimoniare realtà nel frattempo irriconoscibili.

In uno dei non molto frequenti nomi di via che in Italia non richiami personalità, luoghi simbolici o avvenimenti storici, Largo La Foppa, non si deve leggere – che so? – «un ipotetico Erminio La Foppa, poeta dialettale e martire del Risorgimento» ma una oggi altamente irrintracciabile depressione del terreno, una fossa, come l’Alpe Foppa qui, vicino al Monte Ceneri. Gli originari e ipotetici denominatori della zona certo non avrebbero immaginato il futuro di quel molto cementificato e poco tranquillo luogo odierno; e qui sta un po’ lo scarto logico-semantico che regge qualche divertissement sui toponimi cittadini.

In uno stradario come quello passato in rassegna da Kerbaker la serie è ovviamente infinita e continuamente arricchita da questo o quell’avvenimento, da questa o quella figura che abitò case al numero x di quel viale o di quella piazza. Dunque, il libro è tutto un intrecciarsi di geografie, di storie e di biografie; un repertorio potenzialmente pieno di direzioni e spunti, il che rappresenta un po’ sempre il disordinato tesoro della toponomastica. Un possibile modo di leggerlo è quello che indaga le circostanze, talora veramente un po’ bislacche, delle attribuzioni dei nomi.

Così, un po’ all’insegna della casualità che conferisce virtù a queste incursioni, ci si chiede che cosa deve essere passato per la testa del funzionario, della comunità di cittadini, dello storico locale o della commissione che a un certo punto abbia deciso di chiamare Via Fetonte un vialone accanto all’ippodromo di San Siro. Perché si dà il caso che venga in questo modo celebrato il disgraziato figlio di Apollo che, ottenendo di guidare un po’ in giro il carro del padre, scatenò orribili apocalissi, avvicinando incautamente in quella sua scorribanda il sole alla terra. Oppure in base a quale tipo di interpretazione il menzionare la Via Melchiorre Gioia richieda sempre il prenome mentre per richiamare la celentaniana Via Gluck ci si accontenti del cognome: sarà forse un improprio e sognante richiamo al buonumore da una parte e l’onomatopea canzoniera dall’altra? Chissà! Si può chiamarla rimotivazione ed è considerata tutto sommato una ricchezza del repertorio.

Accanto ai nomi ci sono i luoghi, nei quali questo libro fa venire voglia di andare, per la prima volta o con più nuovi occhi, riprendendo un meccanismo della memoria molto simile alle evocazioni onomastiche. Incuriosiscono per esempio quelle «sponde del Naviglio della Martesana» (il miglior naviglio, lontano da quelli della belle vie del Naviglio Grande) «sovrastate da un magnifico ponte in pietra che ti fa sentire ancora nell’Ottocento». Oppure quell’anticipo un po’ timido e appartato di consapevole comunità gay che deve avere animato la Via Rosellini (Ippolito Rosellini, fondatore degli studi sull’antico Egitto in Italia, esattamente a metà tra Garibaldi e Centrale), dalle parti dell’Isola, correndo gli anni Sessanta della San Francisco di Castro Street.

Tra i quattromila nomi, la serie di spunti, storie e persone è ovviamente infinita e impraticabile nella misura di un resoconto: andate a vedere in apposite pagine la residenza dello scultore supremo Arturo Martini, le vie delle ricostruzioni postbelliche, le numerosissime sale cinematografiche che animavano la città, l’Asilo Mariuccia, la storia del Monte Stella e del suo architetto, i ricordi struggenti di poeti, giornalisti, amici, molto e molto altro. Enfin, mai come in questo caso, abbiamo tra le mani un libro che va letto e forse anche portato fisicamente in giro per la città, con le sue curiosità e anche, diciamolo forte, per la grafica e i disegni incontrati ogni tot pagine e improntati alla gaiezza (ma chi li ha fatti? Ditecelo, colophon o qualcuno, perché per esempio le pagine 150 e 151 e la pagina 30 sono sopraffine).

Insomma, un libro ricco, lieto e pieno di passione, che si legge nella più classica modalità del «tutto d’un fiato» e senza interruzioni. Quasi a chiedere, alla fine, di potere sentire ancora tante e tante storie come queste.